lunedì, agosto 30, 2010

CONTROL

CONTROL
di Anton Corbijn



Una marionetta impazzita, gli occhi sbarrati e lo sguardo perduto: forse una richiesta di aiuto od il tentativo di condividere un esperienza troppo forte. Così sul palco Ian Curtis sintetizzava il proprio disagio di fronte ad una vita che viaggiava troppo in fretta: un talento precoce e la manifestazione di un energia incontenibile fino al punto di trasformarsi in una malattia reale e psicologica. Musica ed epilessia diventano allora le muse di un Orfeo destinato a sgretolarsi sotto i colpi di un ritmo incalzante e desolato.
Il sabba messo in piedi da Antony Corbjin sfugge al controllo dello stesso, diventando per assurdo il rapporto solipsistico tra un uomo ed i suoi fantasmi: una partita persa in partenza, un funerale anticipato da un colore che assomiglia ad un referto patologico: il bianco ed il nero sono la radiografia di una storia che parla attraverso la musica, nel film come nella vita, valvola di sfogo di un urgenza che Curtis non si sforzava di nascondere: “Control” ce la mostra in maniera generosa ma senza voyerismo, facendo un passo indietro laddove neanche le parole riuscirebbero a spiegare: ed è qui, in questo cinema da camera, lontano dagli eccessi manierati dell’artista maledetto, così come in quelli del prescelto illuminato, che ritroviamo l’essenza del suo protagonista: il matrimonio prematuro, la nascita del figlio ed anche l’adulterio sono il frutto di un carattere senza mediazioni, abituato ad agire con la forza della propria immediatezza. Ma anche un uomo in fuga dalla sua fragilità, perennemente nascosto da una corazza di insondabile distanza.

“Isolation” è il refrain di una delle canzoni inserite nel film, ed alla fine sembra proprio questa la condizione di una diversità che fece di tutto per non restare tale: dalle relazioni amicali a quelle amorose, e persino nell’ufficio di collocamento dove continuò a lavorare nonostante gli impegni musicali, tutto testimonia della sua voglia di appartenere, paradosso di una manifestazione di assoluta unicità. “Control” è in ogni momento sospeso nell’imminenza di un evento ineluttabile. La telecamera filma gli scarti psicologici relegando i personaggi ai margini della scena. Gli ambienti diventano il limite oltre il quale non andare per evitare di morire; il centro del palco come punto di equilibrio ed ancora di salvezza: non si può farne a meno; ad ogni defezione corrisponde una perdita, un punto di non ritorno: nel film gli attacchi di epilessia o le crisi depressive sono il risultato di questa latitanza, dagli impegni musicali a quelli matrimoniali, fino all’ultimo atto, quello conclusivo, completamente decentrato e solitario. A questo punto è il regista a riprendere il Controllo, e lo fa per impedirci di vedere l’ultimo atto di un doloroso commiato. Ian Curtis morì suicida nel 1980 a soli 23 anni.

giovedì, agosto 26, 2010

Film in sala dal 27 agosto

Giustizia privata
(Law Abiding Citizen)
GENERE: Drammatico, Poliziesco, Thriller
ANNO: 2009
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: F. Gary Gray

Letters to Juliet
(Letters to Juliet)
GENERE: Commedia, Sentimentale
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Gary Winick

Nightmare
(A Nightmare on Elm Street)javascript:void(0)
GENERE: Horror, Thriller, Mystery
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Samuel Bayer

Shrek e vissero felici e contenti
(Shrek Forever After)
GENERE: Animazione, Commedia, Fantasy, Avventura
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Mike Mitchell

Il rifugio
(Le Refuge)
GENERE: Commedia drammatica
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Francia, Italia
REGIA: François Ozon

Indovina chi sposa Sally
(Happy Ever Afters)
GENERE: Commedia
ANNO: 2009
NAZIONALITÀ: Irlanda
REGIA: Stephen Burke

La Polinesia è sotto casa
GENERE: Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Saverio Smeriglio, Andrea Goroni

La strategia degli affetti
GENERE: Drammatico
ANNO: 2009
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Dodo Fiori

London River
(London River)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2009
NAZIONALITÀ: Algeria, Francia, Gran Bretagna
REGIA: Rachid Bouchareb

North Face
(Nordwand)
GENERE: Drammatico, Sportivo, Storico, Avventura
ANNO: 2008
NAZIONALITÀ: Austria, Svizzera, Germania
REGIA: Philipp Stölzl

Urlo
(Howl)
GENERE: Animazione, Biografico, Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Rob Epstein, Jeffrey Friedman

giovedì, agosto 19, 2010

Film in sala dal 20 agosto 2010

L'apprendista stregone
(The Sorcerer's Apprentice)
GENERE: Fantasy, Avventura
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Jon Turteltaub

Qualcosa di speciale
(Love Happens)
GENERE: Drammatico, Sentimentale
ANNO: 2009
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Brandon Camp

Pietro
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Daniele Gaglianone

lunedì, agosto 16, 2010

RADIO EGNATIA

RADIO EGNATIA (2008)
Regia Davide Barletti


La Via Egnatia è l'antica strada, ideale prosecuzione della Via Appia, costruita dai Romani per congiungere Roma a Costantinopoli, ovvero le capitali dell'Impero Romano d'Occidente e d'Oriente.
Radio Egnatia è una stazione radio immaginaria il cui palinsesto è composto da suoni e informazioni reali provenienti da vecchie emittenti balcaniche; segnali in onde medie emessi dai porti del mediterraneo; canti e testimonianze di culture balcanico-mediterranee.
Il docu-film di Davide Barletti (in concorso nella sezione Italiana doc al TFF 2008) è composto da vari episodi che segnano il viaggio lungo la Via Egnatia.
Un viaggio che ha come partenza simbolica le cave di pietra di Cursi (Le) dove la "guida" Matteo Fraterno, farà scorta di chianche (lastre di pietra leccese) che verranno utilizzate come testimone di storie, incontri, racconti e canti di quelle comunità che vivono lungo la vecchia Via Egnatia. Un viaggio che si snoderà attraverso la Grecìa Salentina, il Canale d'Otranto, l'Albania, la Macedonia, la Grecia, sino a raggiungere la Turchia.
Merita una citazione particolare la tappa che si snoda tra Brindisi e Durazzo, una imperdibile succulenta pietanza per cinefili.
In questa episodio, Matteo Fraterno si mette sulle tracce di Nikolin Xhoja, un pilastro del teatro e del cinema del paese delle aquile, tanto da meritarsi il titolo di "artista del popolo", alto riconoscimento che il regime albanese usava conferire agli artisti più meritevoli.
Sarà sorprendente per lo spettatore scoprire che Nikolin Xhoja in realtà si chiamava Nicolino Gioia, italiano nato a Brindisi e riparato in Albania con la madre negli anni '30 per sfuggire alla fame (scherzi della storia).
Sarà pura goduria, per il cinefilo militante, ascoltare i ricordi della moglie e dei colleghi albanesi e soprattutto avere la possibilità di vedere qualche fotogramma dei film interpretati da Nicolino Gioia, rigorosamente in bianco e nero e dalla misera messa in scena, seppur girati negli anni '70.
Barletti si tiene lontano dal reportage di cronaca, non va a caccia della facile indignazione, è buono ma non buonista, ed è bravo a penetrare con leggerezza nell'animo delle donne e uomini incontrati, cogliendo, tramite una canzone o un racconto le secolari contraddizioni dei popoli balcanici.
Il regista di Fine pena mai entra, quasi in punta di piedi, in storie tragiche e dolorose, amplificate dalla solitudine (fisica, culturale,) di piccolissime comunità sperdute nelle campagne o sulle alture albanesi e macedoni senza rincorrere la "pietas" ma piuttosto cercando, quando possibile, di strappare un sorriso agli improvvisati protagonisti.
Canzoni, storie e poesie ci raccontano di macedoni di etnia albanese stranieri in Albania e minoranza in Macedonia; di turchi musulmani di nazionalità greca che vivono da stranieri in quella che dovrebbe essere la loro casa; di migrazioni forzate; di etnie minuscole e di tutte le contraddizioni dovute a confini geografici imposti dalla politica e dalle armi.
Il peregrinare della mdp ci metterà difronte a vecchi custodi di cultura contadina inconsapevoli artisti della parola e giovani a cui storie e tradizioni sono state fortunatamente tramandate.
Alla fine del viaggio, è cosi possibile, tracciare un ideale percorso di memorie lontane e riflettere su quel mosaico di culture e di popoli che dalla parte più orientale d'Italia ai balcani incrociano le proprie radici nella storia.

sabato, agosto 14, 2010

UNA GIORNO SPECIALE


Mmm, no, non è un film che uscirà in sala in questi giorni, nè nei prossimi;

nè il titolo di un libro.

Oggi è un giorno speciale perché è il compleanno della NOSTRA DIRETTORA: VERI PACCHERI.

A te, mia cara, persona rara e unica che noi tuoi amici abbiamo la fortuna di avere nella nostra vita, tanti auguri di BUON COMPLEANNO.

Di certo ciascuno di noi formulerà un augurio particolare per te, ma questa non è la sede adatta per esporli.

Sappi solo che ti amiamo.

Un abbraccio forte forte



Per Te


giovedì, agosto 12, 2010

SPLICE

SPLICE
regia di Vincenzo Natali



“Splice” avrebbe potuto essere ed invece non è. Invischiato in un
cinema che si ripete senza alcuna variazione, il film di Vincenzo
Natali aveva le potenzialità per interrompere la suddetta clonazione:
e questo nonostante la scelta di una premessa scientifica, quella
della manipolazione genetica, reclamizzata a dismisura ma ormai
superata sia in termini di frontiera scientifica, che come punto di
partenza sul quale fondare il Topos di un cinema visionario e
futuribile.
Non solo il legame tra i demiurghi e la loro creatura, in
questo caso l’essere antropomorfo (Dren, punto d’incontro tra le due
specie) che i due scienziati hanno realizzato contravvenendo alle
regole della Corporation, ma anche le possibilità di un individualità
esplorata, e come oggetto cinematografico, capace di innescare, per le
sue caratteristiche di antagonismo e diversità, il dinamismo di un
prodotto destinato a sollecitare l’adrenalina dello spettatore, e come
soggetto sessuale, in grado di armonizzare istinti e tendenze che
appartengono , queste si, ad una modernità troppo avanti per la
nostra società: ne uomo, ne donna, ed al limite di un animalità a
stento contenuta da tentativi pedagogici, Dren va oltre lo stereotipo
del “villan” perché sintetizza l’aspirazione ad un unità di opposti
distanti dalla morale dominante.
Così dopo averci mostrato un
“accoppiamento del terzo tipo” che non si vedeva sullo schermo dai
tempi di Borowczyk, è proprio la morale a favorire uno sviluppo della
storia che sul più bello abbandona l’ambiguità fin allora professata
per un colpo di spugna sbrigativo e vittoriano, quasi una punizione
nei confronti dello spettatore e dei contendenti sporcati da una
visione così ardita. Insomma morte al sesso ed a chi lo pratica.

Natali come al solito riesce a dare il meglio di sé nella concezione
degli ambienti, anche qui ridotti al minimo - il film si svolge quasi
interamente tra il laboratorio scientifico e la casa/prigione dove
Dren viene reclusa - e determinanti nel rendere una claustrofobia
strettamente connessa ad i limiti di un budget da B movie.
Un po’ meno
quando si tratta di dare seguito alle implicazioni connesse con il
sentimento di attrazione/repulsione che guida le azioni dei tre
protagonisti. E se l’interesse principale risiede in un personaggio
che, al di là delle sembianze dis-umane, rimanda ad altre icone di
cinema mutaforme ( Jeepers Creepers ed Alien), così non si può dire
per il resto della ciurma, completamente ininfluente dal punto di
vista estetico e drammaturgico: sotto gli effetti della cura Dario
Argento (l’attore aveva appena girato l’inedito “Giallo”) e sempre più
deciso ad abbandonare il cinema d’autore, Adrien Brody continua a
passare da un film all’altro con la medesima espressione mentre Sarah
Polley, più regista che attrice, appare sciatta e con poca voglia di
recitare.
Resa incondizionata allo strapotere del cinema Avatar o
gioco al risparmio per aumentare i profitti di un prodotto sempre più
costoso?
Il dibattito rimane aperto.


Film in sala dal 13 agosto 2010

Sansone
(Marmaduke)
GENERE: Animazione, Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Tom Dey

Splice
(Splice)
GENERE: Fantascienza, Horror, Thriller
ANNO: 2009
NAZIONALITÀ: Canada, Francia, USA
REGIA: Vincenzo Natali

mercoledì, agosto 11, 2010

THE RUNAWAYS

THE RUNAWAYS
regia di Floria Sigismondi


Nell’america degli anni 70 il rock al femminile non è ancora
sdoganato: è il momento della contestazione giovanile, del ribellismo
ad ogni costo, ma anche della delusione di un sogno divenuto già
Utopia: in questo contesto di note ribelli ed Umori musicali si
inserisce la parabola di un gruppo di Amazzoni con la chitarra in
mano, capaci di trasformare il giocattolo per soli uomini in uno
spazio eterogeneo, capace di accelerare un fenomeno come quello delle
band rock interamente femminile: non più “Boy Toys” ma soggetti
pensanti, le Runaways sono la scommessa di un Manager schizzato ma
con il fiuto del denaro, ed al tempo stesso l’espressione di una
società in piena decadenza: accerchiate da famiglie senza amore e
destinate ad essere outsiders nella periferia di un America abbacinata
da un sole ingannatore, le quattro ragazze urlano la loro rabbia
attraverso le canzoni, dando sfogo alle comuni frustrazioni.

Preoccupato di non perdere nulla del proprio appeal musicale, ma allo
stesso tempo interessato a stimolare l’empatia dello spettatore, il
film si divide equamente tra una sfera emotiva quasi sempre
disfunzionale, incentrata esclusivamente sulla relazione tra Joan Jett
(Kristine Stewart), leader carismatica del gruppo, e Cherie Curie
(Dakota Fanning), cantante per caso ed ancora una volta cartina di
tornasole di una società largamente maschilista (il corpo acerbo e
provocante della seconda sarà la chiave di accesso ad una popolarità
da copertina) ed una dimensione cronachistica, impaginata secondo le
regole di un giornale immaginario, e perciò attaccata agli estremi di
una carriera luminosa ma fugace. Assistiamo così ad una ricostruzione
che rispetta le scadenze di un maledettismo fatto di nevrosi,
dipendenze e finta fratellanza, ma non riesce mai a legarsi con la
genesi di un ispirazione artistica destinata a rimanere ancora una
volta sconosciuta.

Lontano dallo sperimentalismo di “Io non sono qui”, ma anche dalla
compostezza formale di “Walk the Line”, tanto per citare due esempi
recenti di un filone tornato in voga, il film è penalizzato da un
impianto di tipo televisivo e da una correttezza che penalizza gli
aspetti più crudi della vicenda a favore di uno spettacolo che, anche
quando osa in termini visivi, mostrando scene lesbo tra le due
protagoniste, lo fa edulcorandone gli effetti, e favorendo una
percezione dei contenuti che non si alza mai al di sopra di un
giovanilismo di rimando. E se i musicofili non scopriranno nulla di
nuovo dalla visione del film, anche per la mancanza di una cornice
storica adeguata, “The Runaways” riesce a deludere anche il normale
spettatore per una passione molto proclamata ma a conti fatti
destinata a rimanere appesa sui vestiti sdruciti, nelle capigliature
stravaganti e sui volti inespressivi delle due giovani star,
accomunate dal tentativo di conquistare una maturità che sullo schermo
non riesce ancora a trasparire.

martedì, agosto 10, 2010

film in sala dal 6 agosto

Coming soon
(Coming Soon)
GENERE: Horror, Thriller
ANNO: 2008
NAZIONALITÀ: Thailandia
REGIA: Sopon Sukdapisit


Pandorum - L'universo parallelo

(Pandorum)
GENERE: Azione, Fantascienza, Horror, Avventura
ANNO: 2009
NAZIONALITÀ: Germania, USA
REGIA: Christian Alvart

lunedì, agosto 02, 2010

COMPLICE LA NOTTE

COMPLICE LA NOTTE
(ONE NIGHT STAND)
M Figgis


Una continua sottrazione: Mike Figgis riempie lo schermo di immagini e di suoni e poi, di colpo, si sottrae a quella sarabanda, rifugiandosi nello dimensione privata di un emozione appena nata. Karen e Max si incontrano per caso a New York, e da quel momento il film non sarà più lo stesso perché l’alchimia amorosa suscitata da quella coincidenza, lungi dall’esaurirsi nell’arco temporale indicato dal titolo originale (One night stand), diventa l’elemento disturbante che impedisce di soddisfare le premesse di un cinema interessato al contorno delle cose.
La frenesia di una città insonne e produttiva, abituata a consumare la vita seguendo i parametri del successo a tutti i costi rimane la colonna sonora ed il marchio di fabbrica della storia, attraverso l’esattezza di una messa in scena che non si fa mancare niente in termini di bellezza estetica e visuale: la costruzione asettica degli ambienti, la cura maniacale dei dettagli, i vestiti alla moda così come la levigatezza delle figure che li indossano sono l’avamposto di una civiltà vittoriana che il regista non combatte ma si compiace di sparigliare attraverso le contraddizioni da essa stessa generate: non solo l’attrazione fatale dei due protagonisti che sfonda il muro di un istituzione familiare ancorata ai principi di una felicità costruita sulle buone maniere e sul decoro, ma anche la sofferenza conclamata sulle schermo dalla vicenda di Charlie (Robert Downey Jr), l’amico sieropositivo, ancorato in un sudario che sembra quasi un monito a così tanta vanagloria.
Una realtà esibita in maniera rumorosa ed anche invadente, al quale si oppone il pudore di un uomo e di una donna costretti a fare i conti con un amore vissuto all’ombra dei rispettivi matrimoni e che il film trasforma in una assolo capace di spezzare la patinata monotonia del motivo dominante.
Un romanticismo d’altri tempi che Figgis con la consueta eleganza isola dal resto del contesto attraverso una distorsione temporale fatta di immagini rallentate, assenza di sonoro, ed uso continuo di ellissi. Tranche di un innamoramento rarefatto ed insieme potente modulato sulle facce di due interpreti al limite del vero: abituati a recitare assecondando la naturalità dei rispettivi carismi, Snipes e Kinsky riescono a sottrarsi all’evidente fisicità regalandoci momenti di emotività giocata sui non detti e sulla struggente suggestione dello sguardo. E se il primo, dopo un assenza forzata è ancora presente sullo schermo seppure con presenze diradate e di secondo fascia, così non si può dire per la Kinsky, che qui ci regala forse l’ultimo gioiello di una sensualità di cui ancora oggi siamo orfani.