venerdì, ottobre 29, 2010

SALT

Salt
di Philipp Noyce


Abituato al riciclaggio e con l’estro ridotto al lumicino il Tycon americano è spesso costretto ad affidarsi all’inesauribile miniera iconografica e mitologica di quel cinema per supplire all’assenza di una qualunque variazione. Un assemblaggio di incastri e meccanismi prelevati dal già visto, e ripuliti quel che basta per inventarsi un nuovo titolo.
Un gioco scoperto, ma non per questo meno subdolo perché in questo caso, disegnato sugli istinti di una paese in dialettica continua con i fantasmi del passato. E così dopo anni di iperboli mediorientali e teocrazia satellitare Hollywood torna all’antico riproponendo scenari da guerra fredda, ed una Nikita "bipolare" Evelyn Salt, pescata dalle ceneri dell’action movie più recente. Agente della Cia in fuga dalla propria vita e dall’accusa di cospirare a favore della Russia, la nostra si ritroverà coinvolta in una corsa contro il tempo per fermare il pericolo di un nuova escalation nucleare organizzato da fantomatici figuri.

Essere pensante ed arma letale sfuggita al controllo, Salt, invade gli spazi di un immaginario tutto maschile portandosi dietro una femminilità per nulla mortificata dalle movenze e dagli equipaggiamenti che appartengono al mestiere, ma al contempo si mantiene sottotono rispetto ad un estetica di corpi inguainati e curve mozzafiato che la stessa attrice ha contribuito ad alimentare: una decisione coraggiosa, quella dei produttori, di valorizzare gli aspetti psicologici del personaggio e le qualità recitative di una star conosciuta soprattutto per la sua avvenenza fisica. Femmina per niente fatale quindi, la nostra è una donna chiamata a risolvere le ambiguità di una personalità che il film fa emergere all’inizio del film e che in parte dovrebbero giustificare i cambiamenti di percorso di una storia caratterizzata dal continuo ribaltamento dei ruoli e delle dinamiche che legano i vari personaggi, sullo sfondo di una sfida senza esclusione di colpi.

Intenzioni lodevoli ma penalizzate da un impianto che non riesce a sostenere il bagaglio psicologico e le sfumature dell’assunto: nella contesa tra cinema pensato e quello fracassone è il secondo a uscire vincitore perché più funzionale ad un prodotto che vuole soprattutto guadagnare: inseguimenti urbani, sparatorie telefonate ma soprattutto un andamento che tende ad accumulare situazioni senza svilupparle, sembrano il risultato di un gioco pensato al risparmio, ed anche volendo stare dalla parte di coloro che dell’arte se ne infischiano, Salt appare deficitario persino dal punto di vista spettacolare, irrigidendosi su un atmosfera di plumbeo pessimismo che fa il paio con la fisionomia da sfinge della sua interprete. Aspettando gli esiti di un botteghino fin ora incoraggiante, il film si conclude restando aperto ad una possibile sfruttamento seriale. Come al solito una questione di soldi.

(pubblicato su ONDACINEMA)

(10-09-2010)

giovedì, ottobre 28, 2010

Film in sala dal 29 ottobre 2010

Maschi contro Femmine
GENERE: Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Fausto Brizzi

Adam Resurrected
(Adam Resurrected)
GENERE: Drammatico, Guerra
ANNO: 2008
NAZIONALITÀ: Germania, Israele, USA
REGIA: Paul Schrader

Bhutto
(Benazir Bhutto )
GENERE: Documentario, Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna, USA, Pakistan
REGIA: Johnny O'Hara, Duane Baughman

Il regno di Ga' Hoole – La leggenda dei guardiani
(Legend of the Guardians)
GENERE: Animazione, Fantasy, Avventura
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Australia, USA
REGIA: Zack Snyder

L'illusionista
(L'Illusionniste)
GENERE: Animazione
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Sylvain Chomet

Mammuth
(Mammuth)
GENERE: Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Benoît Delépine, Gustave de Kervern

Salt
(Salt)
GENERE: Spionaggio, Thriller
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Phillip Noyce

Winx Club in 3D – Magica Avventura
GENERE: Animazione
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Iginio Straffi

Animal Kingdom
(Animal Kingdom)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2009
NAZIONALITÀ: Australia
REGIA: David Michôd

lunedì, ottobre 25, 2010

BENVENUTI AL SUD

BENVENUTI AL SUD
Regia: Luca Miniero


Alberto (C. Bisio), direttore di un ufficio postale in Brianza, colpevole di aver simulato un'invalidità permanente al fine di ottenere un trasferimento a Milano, viene spedito per punizione a Castellabate, nel Cilento.
Il film narra di come un uomo partito dalla Brianza per andare a vivere in quello che ritiene un posto inospitale, incivile, abitato da scansafatiche, una volta toccata con mano la realtà e messo da parte i pregiudizi non può far altro che innamorarsi di quei luoghi e rispettare tradizioni e cultura dei suoi abitanti.
Il messaggio della pellicola è molto chiaro: liberarsi dai preconcetti per essere accoglienti verso gli altri.
Remake del francese Bienvenue chez les ch’tis, uscito in Italia con il titolo di Giù al nord.
Benvenuti al sud è una commediola che si basa esclusivamente sull'ormai usuratissimo tema dei luoghi comuni sulle differenze culturali tra nord e sud.
Punto di forza del film sarebbe dovuto essere il cast, che oltre ai volti noti dei protagonisti annovera una folta schiera di comprimari di sicuro affidamento tra cui spicca Giacomo Rizzo (l'inquietante Geremia de L'amico di famiglia di P. Sorrentino 2006).
Il risultato però non è quello che ci si attendeva, Alessandro Siani di solito scoppiettante in Tv e soprattutto dal vivo, sembra fare il verso a Pieraccioni e il resto della truppa pare limitarsi a svolgere il compitino assegnatogli intrappolata in una sceneggiatura che si limita al copia-incolla.
Il regista Luca Miniero, (autore del divertentissimo Incantesimo napoletano -2002- ma anche di cose inguardabili come Questa notte è ancora nostra -2008) e i suoi sceneggiatori si limitano a trasferire la storia francese nel sud Italia e poco aggiungono all'originale se si esclude che i formaggi e le birre corpose di Bergues del film transalpino, diventano rispettivamente mozzarelle e limoncello in quel di Castellabate.
Cameo per Dany Boon, sceneggiatore, regista e protagonista della versione originale.

venerdì, ottobre 22, 2010

Dieci Inverni

Dieci Inverni
di Valerio Mieli


Cosa cerchiamo in un film che parla d’amore: è questa la domanda che
sorge spontanea dopo aver visto l’ultimo film di Valerio Mieli. La
questione potrebbe sembrare scontata e forse lo è, ma di fronte ad un
opera che mette in scena tutti i “must” di un gioventù precaria ed in
cerca di identità, è necessario togliere di mezzo inutili distrazioni
e concentrarsi sul cuore del problema.
Ebbene, io direi proprio
L’amore o meglio, lo stato d’animo che lo rende credibile anche in
presenza di una storia non particolarmente originale e che in parte
ricalca nella forma (la relazione tra i due protagonisti divisa in più
atti sviluppati nel corso di arco di tempo predeterminato, i dieci
inverni appunto) ma anche nella sostanza (anche qui seppur con
qualche variazione il trasporto amoroso è segnato dall’assenza di
stabilità e soggetto a variabili incalcolabili) l’approccio di un
caposaldo del genere quale “Un amore” di Gian Luca Maria Tavarelli.

Ma in questo caso, forse per una capacità di mezzi che il film di
riferimento non aveva e che invece Mieli dimostra di saper sfruttare
senza eccessi, mettendo a disposizione degli attori una location
illuminata in tutta la sua malinconica bellezza e pronta a
rispecchiare nelle nebbie del paesaggio veneziano le reticenze verbali
di una coppia che ha paura di innamorarsi, ne risulta un opera capace
di uscire dalle estasi cinefile senza per questo farsi risucchiare dal
facile ritorno di carinerie così in voga nel cinema di questo genere.
Continuamente in bilico tra affollamenti da “appartamento spagnolo”,
adatti alla delicata guasconeria di Silvestro ed intimismi da teatro
cechoviano, perfettamente calibrati alla personalità di Camilla,
studentessa di letteratura russa e come le eroine di quei romanzi
immersa in una tempesta di sentimenti indicibili, Dieci Inverni deve
la sua empatia alla totale immedesimazione dei due attori, calati
dentro i rispettivi personaggi con una spontaneità talmente genuina da
far sembrare certe scene il resoconto di un diario personale. Buffi
nella loro indecisione caratteriali, Silvestro e Camilla (Michele
Riondino e Isabella Aragonese) sono restituiti con precisione
barometrica nell’inadeguatezze tipiche dell’età di formazione, così
come negli slanci impacciati di chi teme di non essere all’altezza.
Privilegiando una recitazione affidata ai mezzi toni e concentrata
soprattutto nel cogliere i mutamenti dell’animo, Mieli ignora
volutamente i corpi, altrove griffati e modaioli, ed affida al
linguaggio dei gesti e dello sguardo il compito di farci partecipare
all’evoluzione di una vicenda, che proprio nella sua conclusione si
concede un colpo di coda un po’ scontato ma che in fondo rende
giustizia ai motivi di ogni innamoramento.


dedicata a tutte le persone che hanno attraversato la mia vita e che ancora l'attraversano.

giovedì, ottobre 21, 2010

Film in sala dal 22 ottobre 2010

Fair Game
(Fair Game)
GENERE: Azione, Drammatico, Thriller
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Doug Liman

Figli delle stelle
(Figli delle stelle)
GENERE: Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Lucio Pellegrini

Paranormal Activity 2
(Paranormal Activity 2)
GENERE: Horror
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Tod Williams, Kevin Greutert

Séraphine
(Séraphine)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2008
NAZIONALITÀ: Belgio, Francia
REGIA: Martin Provost

Uomini di Dio
(Des hommes et des dieux)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Xavier Beauvois

Wall Street: il denaro non dorme mai
(Wall Street 2: Money Never Sleeps)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Oliver Stone

mercoledì, ottobre 20, 2010

GORBACIOF

GORBACIOF
Regia: Stefano Incerti


Marino Pacileo (T. Servillo), detto "Gorbaciof" a causa di una vistosa voglia sulla fronte, è contabile presso il carcere di Poggioreale a Napoli.
Schivo e solitario, Gorbaciof passa le sue serate nel retro di un ristorante cinese giocando a poker.
Per finanziare le sue partite al tavolo verde prende i soldi dalla cassa del penitenziario che puntualmente rimette al proprio posto.
Quando, però, si trova a dover saldare i debiti di gioco suoi e soprattutto quelli del proprietario cinese del locale, della cui figlia si è innamorato, è costretto a ricorrere ad "aiuti" esterni.
Gorbaciof è un solitario, un duro, non accetta soprusi e non si piega neanche nel pericoloso mondo del gioco d'azzardo, ma l'amore per la giovane figlia (Mi Yang) del ristoratore cinese lo porterà ad entrare in contatto con mondi pericolosi.

Gorbaciof, presentato fuori concorso all'ultimo Festival di Venezia, è un noir in salsa partenopea che oltre al merito di offrire un timido spaccato di una Napoli "orientale", si basa praticamente sul nulla.
Il regista scarica il film sulle robuste spalle di Toni Servillo, che pur facendo ricorso a tutta la sua grande arte non può reggerne il peso, rischiando seriamente in alcuni frangenti di diventare macchietta di se stesso.
A metà pellicola, la sceneggiatura (dello stesso regista e D. De Silva) comincia a mostrare la corda e i limiti del film, inevitabilmente, si materializzano sullo schermo.
Tutto è troppo scontato, persino telefonato e una buona rappresentazione degli eventi non basta a colmare l'assenza di sostanza.
Per lo scontatissimo finale, S. Incerti si rifugia in maniera palese nel confortevole abbraccio di Brian De Palma e del suo Carlito's Way (1993) e addirittura nel tarantiniano Pulp Fiction (1994), senza tralasciare un richiamo (a ruoli invertiti) a Le Conseguenze dell'amore (2004) di Paolo Sorrentino.

venerdì, ottobre 15, 2010

UNCLE BOONMEE WHO RECALL HIS PAST LIVES

UNCLE BOONMEE WHO RECALL HIS PAST LIVES
Di Apichtpang Weerasenthakul



Con l’approssimarsi della fine un uomo prende commiato dalla vita circondandosi dell’affetto dei parenti e chiamando a raccolta i fantasmi della moglie e del figlio, prematuramente scomparsi. Da questo spunto, tanto esile quanto singolare, il regista Tailandese dal nome impronunciabile imbastisce una storia che procede con assonanze imperscrutabile, e che si fa gioco delle regole della verosimiglianza e della logica, confondendo i piani temporali e le dimensioni dell’esistenza, invitando lo spettatore a seguirlo in questo processo di liberazione, con un mantra sensoriale e visivo tanto ipnotico quanto snervante: una trasformazione apparentemente impercettibile, perché costruita attraverso un uso sistematico della telecamera fissa, un utilizzazione del tempo incurante dei tempi cosiddetti cinematografici e perciò aperto anche a particolari senza apparente significato, e con inquadrature che sembrano spiare da lontano ed in maniera quasi distaccata lo svolgersi della realtà.

Spazi naturali a tutto schermo, la vita dei campi di una fattoria dove si raccolgono pesche, conversazioni di un uomo e di una donna intorno al significato della morte e della vita, sono i segni di una realtà inequivocabile e che però il regista riesce a mettere in discussione inserendo l’inspiegabile sotto forma di fantasmi che assumono una corporalità umana o animalesca (scimmie volanti o gorilla con gli occhi fluorescenti), oppure, dopo lo sconcerto iniziale, mettendo i personaggi e lo spettatore all’interno di un contenitore dove l’elemento metafisico e quello realistico diventano la stessa cosa.

Con una luce naturale pronta a cogliere i passaggi tra il giorno e la notte (una metafora dell’imminente trapasso) ed un utilizzazione del suono che spazia da quelli ambientali, quasi sempre rubati alla foresta che circonda la fattoria in cui si svolge la vicenda, a quello artificiale ma non meno evocativo- un sibilo ossessivo che preannuncia l’indicibile alla maniera di certe immersioni Lynchiane- il film si trasforma in qualcos’altro: se la storia non puo esistere senza il corredo religioso spiritista (non solo i fantasmi ma anche il richiamo alle vite precedenti rappresentate dall’episodio dell’accoppiamento tra la regina ed il pesce), così il film non sarebbe se stesso senza i continui cambiamenti che mischiano generi (sociale, intimista, fantasy) e stili (la veggenza del morituro appare attraverso una serie di scatti fotografici che sono un misto tra reportage documentaristico ed improvvisazione dilettantesca), finendo per diventare il simbolo di un indipendenza artistica e umana che da sempre appartiene alla filosofia del regista.

Detto questo “Uncle Boonmee” rimane un film di difficile fruizione per la sua “disorganizzazione", troppo legata a ciò che rimane fuori campo (simbolismi e riferimenti spiegabili solo alla luce di conoscenze che sfuggono ai non addetti) e che rischia di farlo diventare un oggetto antropologico piuttosto che cinematografico. E se alcuni momenti riescono ad affascinare per il primitivismo che li contraddistingue- evidente il contrasto tra la natura in cui l’uomo si riconcilia con se stesso, e la città rappresentata nella scena conclusiva, con un bar che assomiglia ad un non luogo, e che come nel celebre quadro di Edward Hopper raffigura in maniera evidente l’alienazione degli astanti-per la maggior parte del tempo il film sembra quasi bearsi della sua cripticità.

Palma d’oro all'ultimo Festival di Cannes, Uncle Boonme è destinato a diventare l’ennesimo oggetto misterioso promosso da una giuria sposata agli equilibri geopolitici ed alle ragioni produttive.

giovedì, ottobre 14, 2010

Film in sala dal 15 ottobre 2010

Adèle e l'enigma del faraone
(Les aventures extraordinaires d'Adèle Blanc-Sec)
GENERE: Azione, Giallo, Avventura
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Luc Besson

Buried - Sepolto
(Buried)
GENERE: Thriller
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Spagna
REGIA: Rodrigo Cortés

Cattivissimo Me
(Despicable Me)
GENERE: Animazione, Family
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Pierre Coffin, Chris Renaud, Sergio Pablos

Gorbaciof
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Stefano Incerti

L'estate d'inverno
GENERE: Drammatico
ANNO: 2007
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Davide Sibaldi

Lo Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti
(Loong Boonmee Raleuk Chaat)
GENERE: Commedia, Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Germania, Spagna, Francia, Gran Bretagna, Thailandia
REGIA: Apichatpong Weerasethakul

mercoledì, ottobre 13, 2010

LIBERI ARMATI PERICOLOSI - Italia '70 - il cinema a mano armata (18)

LIBERI ARMATI PERICOLOSI (1976)
Regia: Romolo Guerrieri
Cast: Stefano Patrizi - Benjamin Lev - Max Delys - Eleonora Giorgi - Tomas Milian - Diego Abatantuono - Antonio Guidi


IL FILM: In una Milano sempre più violenta, Mario Farra detto il "biondo", Giovanni Etruschi detto "Joe" e Luigi Morandi detto "Luis" seminano il terrore mettendo a segno sanguinose rapine e ammazzando chiunque cerchi di fermarli.
Lea (Eleonora Giorgi) fidanzata di Luis (Max Delys) si rivolge alla polizia denunciando il proprio ragazzo e i suoi complici nella speranza di evitare stragi e soprattutto per cercare di riportare alla ragione il fidanzato.
Il biondo e Joe sono sempre più scatenati, a niente servono le proteste di Luis, che si limita a guidare l'auto durante le rapine, i due ammazzano senza pietà e soprattutto senza logica: poliziotti, malavitosi e perfino i componenti di un'altra banda di giovani, compreso il loro capo Lucio (Diego Abatantuono).
Il commissario di Polizia (Tomas Milian) è molto preoccupato, cerca di agire con calma per non mettere a rischio la vita di altri poliziotti, fa di tutto per evitare scontri a fuoco nei centri abitati, ma ormai la situazione e fuori controllo.
Sentendosi braccato, Luis è tentato di mollare i suoi complici, ma il biondo, capo della banda, non sente ragioni e avendo dei forti sospetti sul comportamento di Lea, costringe Luis a portarla con loro.

COMMENTO: Una regista che sa come fare un film d'azione (R. Guerrieri); uno sceneggiatore esperto (F. Di Leo); giovani protagonisti bravi e credibili.
Un'ottima e invidiabile base di partenza per uno dei tanti film del filone poliziottesco.
Ad impedire a LIBERI ARMATI PERICOLOSI, film comunque godibilissimo, di diventare una delle pietre miliari del poliziottesco è la solita maledetta fretta con la quale venivano confezionati questi film.
Fretta (di arrivare sul mercato; per contenere il budget) che impedisce al regista di mettere in atto gli accorgimenti necessari che avrebbero dato al film più credibilità e spessore.
Alcuni esempi facilmente riscontrabili durante la visione: 1. La polizia è efficacissima (al limite dell'impossibile) ad organizzare in pochissimo tempo la trappola presso il distributore di benzina preso di mira dai rapinatori, ma poi non solo viene beffata da tre ragazzini inesperti, ma soprattutto non riesce ad intercettare i tre balordi che circolano indisturbati per Milano a bordo di una vistosissima e lussuosa auto lanciando banconote; 2. L'escamotage con cui il capobanda riesce a far allontanare l'elicottero della polizia è arguto, ma per niente credibile, anche perché i suoi complici sono perfettamente visibili; 3. Lucio, seppur giovanissimo, vive in una lussuosissima villa e dispone di un vero e proprio arsenale che tiene in casa per nulla nascosto, questo (e altro) fa pensare che viva da solo, che disponga di un ingente patrimonio e che quindi sia un pezzo grosso della malavita a capo di uomini validi e ben organizzati. In realtà però, si riduce a compiere rapine in compagnia dei tre balordi, male organizzate e mal gestite e visto l'alto numero dei partecipanti, si tratta di colpi che dovrebbero fruttargli un bottino misero.
Detto questo, LIBERI ARMATI PERICOLOSI resta comunque un buon film di genere, diretto con mestiere e mano solida e con una sceneggiatura per niente banale, che si sforza di descrivere con una certa accuratezza (inusuale per questo tipo di film) le psicologie dei protagonisti.

CURIOSITA'e NOTIZIE: Il film è ispirato a due racconti di Giorgio Scerbanenco, scrittore di riferimento per le sceneggiature poliziesco-noir di Fernendo Di Leo.
Il plot principale del film è tratto da BRAVI RAGAZZI BANG BANG, mentre la seconda parte, quella che riguarda la fuga dei tre banditi e di Lea nelle campagne che circondano Milano, fa riferimento ad un altro racconto dello scrittore italo-ucraino.
Più precisamente si tratta di IN PINETA SI UCCIDE MEGLIO, breve racconto ambientato nella campagna toscana e precisamente nella pineta di TOMBOLO.
Si tratta della stessa pineta in cui è ambientato TOMBOLO - PARADISO NERO (1947) di Giorgio Ferroni (con Aldo Fabrizi e Adriana Benetti) uno dei film catalogati come Neoralismo nero e che rappresenta uno dei primissimi esempi di film italiani con un intreccio poliziesco-criminale, una novità assoluta per quel periodo, visto che sino a pochissimo tempo prima, in Italia, era impossibile girare film riguardanti questi argomenti a causa delle severe imposizioni volute dal regime fascista.



lunedì, ottobre 11, 2010

The Town

The Town
di Ben Affleck

The Town è il secondo film di Ben Affleck che segue il bell'esordio di Gone baby gone: qui la storia appartiene senza alcuna variante ai classici del genere "guardie e ladri" ed anche lo stile non si discosta molto dal primo film, con immagini rubate alla vita reale ed un ambiente che racconta più delle parole: quello che non funziona è un meccanismo che sorvola su dettagli determinanti (malviventi sotto sorveglianza riescono ad organizzare le loro rapine senza problemi) e sulle psicologie dei personaggi, mentre la detection che ad Affleck interessa ben poco è lasciata tutta ad una faccia da schiaffi (e molto anni 40) imprestatagli da John Hamm, protagonista della serie televisiva Mad Man.

venerdì, ottobre 08, 2010

LA PASSIONE

LA PASSIONE
Di Carlo Mazzacurati



La passione fa proseliti: da quella miliardaria di Mel Gibson, fino alle rappresentazioni apocrife di Scorsese o profane dei Monthy Python, il mistero religioso è stato affrontato dal cinema con un successo accompagnato da altrettante polemiche. Incurante di tali avvertimenti e di ritorno dalla parziale delusione del suo ultimo film, Mazzacurati ripropone l’ultimo atto del vangelo dilazionandolo all’interno di una cornice in cui trovano spazio alcuni luoghi e tematiche già celebrate nei precedenti lavori.
La provincia, innanzitutto, ancora una volta al centro della scena seppur privata del grigiore padano, i tipi umani, sempre sull’orlo di una svolta radicale ed il più delle volte costretti a ritornare al punto di partenza, l’Italia, ancora una volta terra di frontiera dove vige la legge del più forte (gli indici d’ascolto della diva televisiva hanno la meglio su qualsiasi ipotesi artistica) e dove l’incomunicabilità, sintetizzata dalle difficoltà telefoniche che il personaggio di Orlando incontra nel corso della storia, a suo modo uno dei momenti più divertenti di un film in cui si ride poco, è la condizione esistenziale dominante.
Questa volta però, nel tentativo di sdoganarsi da un eccellente marginalità, e forse anche per togliersi di dosso la malinconia di una cinematografia lievemente monocorde (anche se "La lingua del Santo" rappresentava già un tentativo di cambiamento), Mazzacurati vira verso il grottesco ed il surreale, affidando il suo film alla faccia da povero Cristo di Gianni Dubuois (Silvio Orlando), regista di dubbio talento costretto ad organizzare una rappresentazione della Passione per evitare la prospettiva di una denuncia un po’ forzata, ed alla gentile pesantezza di Giuseppe Battiston, ancora una volta incapace di andare fuori parte, e qui alle prese con l’ennesimo outsider dal cuore d’oro.
Assieme a loro ed in ruoli cameo molto cinema italiano vecchio e nuovo (da Cristina Capotondi a Stefania Sandrelli) ed uno stuolo di facce ed espressioni appese al film come le luci di un albero di Natale, anonime caricature chiamate a commentare con espressioni lievemente deformate i momenti salienti della storia.
Un dolceamaro che pesca anche nel metacinema, con i cittadini del paese che alla stregua degli attori partecipano al martirio cristologico, e personaggi immaginari che dialogano con il loro scrittore, per non dire della riflessione sul cinema radicato nella storia per ovvi motivi e scandagliato nelle retrovie di un cabaret di miserie e nobiltà.
Tanta carne al fuoco, forse troppa per una sceneggiatura che fatica a tenere insieme le diverse diramazioni di una vicenda che rischia la sovraesposizione e finisce per avvolgersi su se stessa, con personaggi che entrono ed escono con motivazioni risibili - il personaggio di Battiston estromesso e poi rimesso in gioco da logiche variabili - comparsate televisive, - Guzzanti ancora imbavagliato dall’appendice televisiva – infiocchettature da commedia boccaccesca – l’amplesso sotto le coperte tra la Sandrelli e Messeri suggellato da uno stacco verso una testa di cinghiale imbalsamato.
Lanciato come un opera divertente e risaiola, La passione, manierata dalle luci pastose dell’immancabile Bigazzi, dispensa pochi sorrisi, incanalandosi verso atmosfere dilatate e pensierose che tolgono ritmo ad una storia bisognosa del contrario.

INCEPTION

Inception
di Christopher Nolan

con Leonardo Di Caprio,  Ken Watanabe, Joseph Gordon-Levitt, Ellen Page, Marion Cotillard
Usa, UK, 2010
genere, fantascienza
durata, 142'

Una grande montatura, un grattacielo costruito sulla sabbia. Se la bellezza di un film dipendesse dalle sue dimensioni allora questo sarebbe di sicuro un capolavoro. In termini di grandeur Inception non teme concorrenti o per lo meno si pone a livello dei grandi affreschi tecnologici prodotti dalla fabbrica del cinema: e se Di Caprio porta dentro al film un titanismo iconografico desunto dall’opera che lo ha reso famoso, e con lui Nolan ormai identificato dai più con l’eroismo enigmatico e tormentato di una maschera da fumetto (se mai c’è ne fosse bisogno c’è lo strillo del poster a rammentarlo), è tutto il film a ricordarci le dimensioni ipertrofiche di una costruzione architettonica che cresce su se stessa, moltiplicando livelli e spiegazioni, storie e paradossi, scenari apocalittici e performance attoriali, per non parlare dei rimandi cinematografici scelti in un contesto di consolidata fama cinefila.

Un caleidoscopio di forme e possibilità poggiate sulla scommessa più grande, quella di arrivare al dunque della nostra vita attraverso il percorso che più di altri sembrerebbe negarlo. Il sogno come flusso indefinibile eppure esistente diventa il motivo per un incursione spazio temporale capace di dare lustro all’ultima tendenza del cinema d’azione - i prossimi “Salt” e “Innocenti bugie” sono solo gli ultimi esempi di film globtrotter - ed allo stesso tempo di destabilizzare il racconto con stilemi che appartengono al noir e che vedono soprattutto nell’interiorizzazione della vicenda – un passaggio obbligato per una storia modellata sulle proiezione oniriche dei suoi personaggi-e nell’ingannevole rappresentazione di una visione sospesa e mutaforme, il loro punto di forza.

 

Per non dire della sottotrama sentimentale, ancora una volta nel cinema di Nolan negata a qualsiasi lieto fine e caratterizzata da figure femminili sfuggenti ed ingannevoli (Marion Cotillard con il suo fascino retrò è una dark lady politicamente corretta), costrette al sacrificio per alimentare le nevrosi di uomini distratti. Ma è proprio la volontà di vincere la scommessa su più tavoli a relegare Inception nella gabbia dorata del cinema blockbuster. Nel tentativo di armonizzare cinefilia ed intrattenimento Nolan si sbilancia a favore del secondo infarcendo la trama di spiegazioni, visive e letterarie, che spengono il potere evocativo dell’assunto, riducendolo ad un pretesto su cui imbastire ostentazioni di forza ed evoluzioni ipercinetiche. Nelle mani del regista le sinapsi oniriche diventano delle tavole sinottiche lacerate da suoni roboanti e scenari intercambiabili. Nulla è vero, tutto è permesso, come all’interno di un enorme videogame. Tanto se muori si ricomincia da capo.

giovedì, ottobre 07, 2010

Film in sala dal 8 ottobre

Innocenti bugie
(Knight & Day)
GENERE: Azione, Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: James Mangold

Quella sera dorata
(The City of Your Final Destination)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2007
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna
REGIA: James Ivory

Step Up - 3D
(Step Up - 3D)
GENERE: Romantico, Musicale
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Jon Chu

The special relationship
(The special relationship)
GENERE: Drammatico, Storico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna, USA
REGIA: Richard Loncraine

The Town

(The Town)
GENERE: Poliziesco, Thriller, Sentimentale
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Ben Affleck

Una sconfinata giovinezza
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Pupi Avati

martedì, ottobre 05, 2010

SOMEWHERE

SOMEWHERE
Regia: Sofia Coppola


Johnny Marco (Stephen Dorff) è un divo hollywoodiano che risiede stabilmente nel tristemente noto Chateau Marmont di Los Angeles.
Trascorre le sue noiose giornate tra birra e sesso distratto.
Senza preavviso, la ex moglie Layla gli chiede di occuparsi della figlia undicenne Cleo (Elle Fanning), dovrà prendersene cura fino alla sua partenza per il campo estivo.
Johnny Marco possiede tutto quello che un giovane dei nostri tempi può desiderare: denaro, notorietà, auto veloci e belle donne disposte a tutto pur di averlo ospite nei loro letti.
Johnny però, vive la sua vita quasi narcotizzato, in maniera distratta, annoiato dal sesso e stordito da apparizioni televisive, manager ossequiosi e lunghi viaggi di lavoro, tutto questo accade non perché dedito ad alcool e droghe come consuetudine hollywoodiana vuole, ma semplicemente perché è depresso, ha smarrito qualsiasi interesse nei confronti della vita.
Sofia Coppola porta sullo schermo questa storia apparentemente stereotipata evitando accuratamente le smancerie e i dialoghi moralistici che di solito popolano questo tipo di film.
La regista italo-americana è brava a raccontare questa storia in maniera essenziale, senza enfatizzare, con una messa in scena scarna, aiutata nel compito dalla fotografia del bravo Harry Savides (il direttore della fotografia di Gus Van Sant).
La forza di Somewhere però è tutta qui. Un po' poco, non abbastanza per attrarre l'attenzione dello spettatore che rischia di annegare nel mare calmo della sceneggiatura che si riduce ad un susseguirsi di avvenimenti dallo scarso interesse senza mai imprimere un'accelerazione emozionale.
Non basta la sequeza d'apertura, dove la ferrari nera compie ripetutamente lo stesso percorso girando all'infinito sullo stesso anello d'asfalto a simboleggiare la strada senza uscita in cui è intrappolato il protagonista, né quella finale dove la strada si presenta lunga, diritta e soprattutto nuova come quella che ha intenzione di intraprendere.
Discorso a parte merita il siparietto dedicato all'Italia, o meglio alla TV italiana.
Simona Ventura (quella che ne esce meno peggio), Nino Frassica (come verranno tradotte le sue battute non sense?), Giorgia Surina (la macchietta di se stessa) e soprattutto Valeria Marini (qualcuno dovrebbe spiegarle il senso di termini come dignità e vergogna) escono con le ossa rotte da questa esperienza cinematografica.