martedì, settembre 11, 2012

Venezia 69 (12) - Thy Womb


Ritratto di una comunità che rischia di essere travolta dalla violenza del regime e dalla pochezza di un’economia di pura sussistenza. Ed ancora elegia di un mondo di tradizioni e di valori in cui alla fine è la natura con i suoi ciclo inesorabili a farla da padrone (significative le molte sequenze in campo lungo in cui i protagonisti  vengono inghiottiti dalla vastità del territorio in cui si muovono), oppure semplicemente il dramma di una moglie che si sacrifica perché il marito possa avere il figlio che lei non può dargli. C’è un po’ di tutto questo nell’ultimo film di Brillante Mendoza, esponente di un cinema come quello filippino che il pubblico(dei festival) conosce esclusivamente attraverso i suoi film. Una primato che se da un lato assicura onori ed oneri al regista, responsabile di esportare oltre confine l’immagine del proprio paese, dall’altra obbliga lo spettatore ad una specie di sudditanza psicologica nella consapevolezza che il mancato successo dei suoi film  complicherebbe un processo produttivo già precario, con il rischio di veder scomparire l'unico contatto con un mondo altrimenti sconosciuto. Una consapevolezza che in qualche modo ci obbliga ad essere accondiscendenti e pazienti nell’aspettare che “Thy Womb” produca qualcosa mentre per buona parte del film assistiamo ad una specie di documentario su usi e costumi di una popolazione che vive di pesca e di artigianato in un arcipelago situato da qualche parte nell’altrove filippino.





Ricordandosi di essere un regista Mendoza ogni tanto si produce in accelerazioni di senso come quella in cui accostando due sequenze similari, quella dell'uomo e successivamente dell'animale spinti in acqua dalla medesima violenza sembra volerci suggerire la metafora di una vita disumana, che accomuna il destino delle persone a quello degli animali, e che si può comprare come una mucca in un mercato – e di fatti così succederà per la donna che concepirà il bambino, "acquistata" in cambio di una somma di denaro – oppure nelle inquadrature del paesaggio chiamate a suggellare alcuni passaggi emotivi, legati soprattutto ai sentimenti della moglie preoccupata di trovare il ventre(questo il significato del titolo) che concepirà il figlio del consorte. Ed ancora con le rapidissime incursioni dell’esercito che si muove e spara tra la folla come se quella gente non esistesse, simbolo di un potere dispotico e noncurante. Un andamento monocorde, interrotto nella parte finale con una svolta a dire il vero sorprendente, in grado di ribaltare il candore e lo spirito di misericordia che fin lì aveva accompagnato la convivenza dei due protagonisti. Uno scarto che però non riesce ad elevare un operazione che al di là dei paesaggi magnificamente ritratti, e della suggestione derivante dal contrasto tra i colori dei vestiti e dell’ambiente naturale con la vita misera e complicata dei protagonisti, si distingue per una mancanza di concretezza drammaturgia, solo in parte rimediata dalla bella prova dell’attrice protagonista Nora Aunor. Se l’intento di Mendoza è quello di evidenziare le contraddizioni dell’esistenza, facendo convivere la vita con la morte – i due momenti forti del film sono la nascita di un bambino ripresa in primo piano e lo sgozzamento di un animale con relativo taglio della testa – il senso di condivisione – quello della comunità che organizza una colletta per raccogliere i soldi necessari alla dote  dello sposo – con il tornaconto personale – l’egoismo del marito nei confronti della moglie – e più in generale la dimensione spirituale (nel film c’è spazio per la religione e le sue liturgie)e quella materiale presente nell’insistita descrizione del lavoro quotidiano, bisogna dire che "Thy Womb" lo fa in maniera poco appassionante.

2 commenti:

veri paccheri ha detto...

stroncato con garbo, ma stroncato, mi sa :)

Anonimo ha detto...

be si :)..di Mendoza avevo visto solo Kinatay che mi era piaciuto tanto (qui su icinemaniaci ne feci una rece entusiastica)..questo no..le cose che sono dentro il film e che ho cercato di mettere nell'intervento di perdono in una struttura narrativa e drammaturgica che dire troppo vaga è un eufemismo..ed ora capisco anche perchè molte donne presenti al Lido hanno detto che il finale salva il film..credo che sia una posizione più ideologica che di contenuti..

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