di: H.Hamilton
con: P.Gabriel and his band
- GB 2014 -
Doc Musicale - 95 min
La carriera solista di un personaggio eclettico come Peter Gabriel, scaturita al termine della controversa esperienza musicale ideata/condivisa con il resto della "galassia Genesis" e maturata attraverso un articolato percorso di ricerca, incontra il favore delle grandi folle con la pubblicazione del quinto album, "So", nel 1986. Proprio a buona parte del materiale in esso contenuto si ispira "Back to front" di Hamish Hamilton, film-concerto girato durante lo spettacolo tenutosi nell'ottobre del 2013 allo "02" di Londra.
Sul palco, ingombro di strumenti musicali e apparecchiature computerizzate, attorno alle postazioni degli esecutori - la band "storica" che partecipo' alle registrazioni di "So", Tony Levin (basso), Manu Katche' (percussioni), David Rhodes (chitarra), a cui si aggiungono David Sancious (tastiere), le coriste e polistrumentiste Jennie Abrahamson e Linnea Olsson, oltre, ovviamente, a Gabriel (piano, tastiere, voce) - s'insinua a semicerchio una rotaia su cui diverse telecamere immortalano particolari curiosi, isolano i singoli artisti catturandone i cenni d'intesa, i passi di danza, gl'istanti di concentrazione e quelli più divertiti. Ad interagire - assieme al caleidoscopio di luci che inseguono o anticipano le alterne atmosfere dei brani - numerosi altri punti di vista spiano l'arena teatrale dall'alto, spaziando dal centro vivo da cui s'irradia il suono alla platea, su fino agli spalti, questa e quelli stipati di persone che ballano o si muovono trasportati dalla ripetizione all'unisono delle liriche più conosciute... Il tempo pero', come si dice, e' passato. E non tanto sugli estremi anagrafici d'interpreti e pubblico (sparuti in sala i drappelli sotto i trenta; quasi introvabili gli adolescenti: qua e la' qualche ragazzino a completare una serata "formato famiglia". Lo stesso Gabriel,
sulla
scena - ma il paragone calza, fatte salve le dovute sfumature, anche agli altri
componenti della 'line-up' originaria - oramai più nei panni e dai lineamenti
del tranquillo professionista di mezz'età che in quelli del "guastatore" rock
[con puntualità e un certo involontario (?) intento prospettico, rievocato da
inserti relativi a tour passati che a volte s'inframmezzano alle sequenze
dell'esibizione]): quanto sui supposti intenti e sull'urgenza di temi e
contenuti che alla prova di oltre un quarto di secolo risultano - fatalmente,
si potrebbe dire - del tutto inseriti in un contesto, quello post-ideologico
contemporaneo, di generico consenso di massa - seraficamente inneggiante, cioè,
programmaticamente blando idealista, politicamente corretto nell'individuazione
di idiosincrasie e predilezioni - comunque disposto ad aderire a quella che
sembra essere l'unica vera religione superstite ad oggi, a dire quella dello
spettacolo. E' chiaro, allora, che lo scarto prodotto a tratti dalle immagini
nella forma di un contagioso coinvolgimento risiede altrove, in particolare in
quella mistura di schemi percussivi, spesso di ascendenza tribale e improvvise
aperture melodiche (a suo tempo ricondotta al termine "world music"), a cavallo
tra sonorità primitive, reminiscenze folk e l'energia nuda del rock. In altre
parole, in una di quelle formule capaci di diffondersi su scala planetaria in
virtù di un felice nesso instaurato fra contaminazione, intrattenimento ed
istanze commerciali. Fondamentale importanza nella materializzazione di una
tale idea musicale assume, quindi, il ruolo della sezione ritmica che - non a
caso o non solo per ragioni legate al particolare "evento" - annovera ancora
Levin e Katche', fuoriclasse dei "tempi" e degli "spessori" del suono. La
millimetrica rotondità della tessitura del basso del 'crimsoniano' Levin
(spesso enfatizzata dall'uso delle "funk fingers", mini protesi costituite da
sezioni di bacchette di legno fissate all'indice e al medio della mano opposta
alla tastiera), da un lato, e le impercettibili ma continue variazioni nella
progressione delle battute di Katche' su tamburi e piatti, dall'altro,
costituiscono il cuore pulsante e la spina dorsale del "sound" del gruppo,
giungendo a delimitarne con precisione, grazie anche all'apporto del sempre
limpido "falsetto nasale' di Gabriel, pienezza e profondità.Scorrono così - intercalati da siparietti fuori scena, in verità piuttosto
anodini quanto prevedibili, in cui ogni musicista preso a parte parla di se',
del proprio rapporto con la musica e gli altri membri della formazione: delle
sensazioni e degli stati d'animo vissuti sul palco - riproposizioni di brani
celebri - "Secret world", "Red rain", "Mercy street" - e celeberrimi - "Shock
the monkey", "Digging in the dirt", "Sledgehammer", "Don't give up" (il cui
cantato, ai tempi affidato a Kate Bush, viene riproposto dalla Abrahamson),
"Biko" - fino all'apoteosi di "In your eyes" summa, forse, di quel sincretismo
musicale totale - tra pop sofisticato, slancio utopistico e calibrata
comunicativa - vagheggiato e inseguito da sempre dal Gabriel solista.Operazione celebrativa, dunque, quella di "Back to front" (come del resto apertamente dichiarato), ecumenica ma sostenuta dal piacere più diretto, quello di stare insieme per fare musica e dallo sforzo per farla ancora con una certa classe.
Eccezionalmente nelle nostre sale nelle date del 5, 6 e 7 maggio.
TFK
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