The Fabelmans
di Steven Spielberg
con Michelle Williams,
Gabriel LaBelle, Seth Rogen
USA, 2022
genere: drammatico
durata: 151’
Anche Steven Spielberg
prova a dare vita alla sua idea di cinema. E lo fa con lo stile che lo
contraddistingue da sempre e che lo ha collocato, con il tempo, nell’olimpo dei
grandi. “The Fabelmans” è, come spiega lo stesso regista all’inizio, un atto
d’amore alla famiglia, ma soprattutto alla settima arte, quella che ha
conferito a Spielberg la notorietà e quella che, più di ogni altra cosa al
mondo, gli ha permesso di esprimersi.
Sammy Fabelmans è un
giovanissimo alter ego del regista che viene portato al cinema dai genitori per
la prima volta e assiste a un film western il cui culmine è rappresentato dallo
scontro frontale tra un’auto e una diligenza. Sammy è travolto da ciò che ha
visto e, dopo aver ricevuto in regalo dei vagoni ferroviari giocattolo, mette
in scena, a casa, un incidente simile per capirne le dinamiche e pensando di
poterlo riprendere e “stravolgere” quando e quanto vuole. In questo lo aiuta la
madre che, nonostante i timori del padre, sembra voler incoraggiare quello che
non è “solo un hobby” per il figlio. Sammy cresce e inizia a frequentare la
scuola dove deve fare i conti con i bulli della zona che lo prendono di mira in
quanto ebreo. In parallelo vorrebbe continuare il suo interesse per il cinema,
ma in parte impaurito dagli “avvertimenti” di uno strampalato zio Boris, in
parte distrutto dalla disgregazione del rapporto tra i suoi genitori, comincia
ad allontanarsi da ciò da cui è attratto più di ogni altra cosa al mondo. Ma
uno come Sammy può davvero stare lontano dalla cinepresa e dal cinema?
Il film più personale di
Spielberg, come lui stesso l’ha definito, ma anche quello più personale per
qualsiasi cinefilo o appassionato di questa arte. Più volte nel film, le
riprese e le cosiddette “immagini in movimento” prendono il posto delle parole
e vengono utilizzate per esprimere concetti, per confrontarsi, per dialogare.
Quello che fa Spielberg
con questo film non è solo elogiare il cinema in quanto arte che ormai ha fatto
sua nel corso degli anni, ma è un omaggio a tutto il cinema, ai grandi autori
di questa arte e anche un elogio alla ricerca di un sogno (che può prescindere
dal cinema stesso) verso il quale bisogna sempre protendere, senza mai
arrendersi. Sammy è la prova lampante di cosa significhi non lasciarsi mai
scoraggiare, ma continuare per la propria strada alla ricerca del proprio
sogno. Che sia il cinema, che sia l’amore, che sia qualsiasi altra cosa,
l’insegnamento della famiglia Fabelmans è proprio questo: mai gettare la
spugna, ma supportarsi sempre a vicenda.
In un film che usa il
cinema per parlare di cinema, sono tanti i richiami e i riferimenti che il
regista inserisce, anche involontariamente, quasi sfidando il lettore, come la
scena dell’incidente del treno che il giovanissimo Sammy vede al cinema e che
strizza l’occhio alla nascita della splendida invenzione dei fratelli Lumière.
Ma “The Fabelmans” è
anche una grandissima Michelle Williams, nel ruolo della madre del protagonista.
Una donna che inizialmente si mostra forte e capace di sorreggere l’intera
famiglia, tenendo le redini e potendo controllare ogni singolo tassello. Questo
finché Sammy, proprio grazie a quelle riprese che lei stessa aveva incentivato,
non si accorge di qualcosa che, pur essendo abbastanza alla luce del sole,
nessuno aveva mai notato. E anche qui viene sottolineato il potere del cinema e
delle sue riprese, in grado di scovare e scavare dentro (e non solo) ognuno di
noi. Da quel momento tutto cambia e la forza di Mitzi, la madre, viene meno per
far spazio a una “rassegnazione”, a un’accettazione della realtà e al disvelamento
di quello che credeva un segreto ben celato in grado di sopravvivere a
qualsiasi cosa. Nel rendere questo cambiamento del personaggio la Williams è
perfetta. Degno di menzione il momento in cui, accovacciata nell’armadio del
figlio vede scorrere davanti a sé quelle immagini che prima ha vissuto in prima
persona, inconsapevole che un occhio “esterno” la stava riprendendo. Lo spettatore
conosce già il contenuto di quelle immagini e si concentra, quindi, solo ed
esclusivamente sullo sguardo di una donna che comprende, poco alla volta, la
sua “sconfitta”. Accanto a lei anche un giovanissimo Gabriel LaBelle che,
nonostante la giovane età, si destreggia molto bene tra attori più navigati.
E, infine, come non poter
citare il divertente e geniale cameo di David Lynch nel ruolo di quello che, a
detta del film, è, per l’epoca in cui “The Fabelmans” è ambientato, il miglior
regista in assoluto, John Ford? Una scena che vale da sola tutto il film, da vedere
e rivedere, magari con l’orizzonte spostato, in alto o in basso.
Una dichiarazione d’amore
al cinema che è già storia.
Veronica Ranocchi
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