Uno su due
di Francesco Pavolin
con Maurizio Battista, Paola Tiziana Cruciani,
Italia, 2015
genere, commedia
durata, 88'
Un Maurizio Battista aspirante suicida sul ponte Milvio si accinge a raccontare a dei passanti incuriositi la propria storia. La soluzione registica che relega l'intera storia al ruolo di flashback però non è in questo caso -come invece avveniva per Soldato semplice di Paolo Cevoli- utilizzata per restituire scene che caratterizzino i personaggi, sorta di incisi scevri da un banale andamento cronologico, ma anzi non ha nemmeno un colpo di scena finale che ne giustifichi la scelta.
La storia è quella di Nando, Ninetto Davoli nei panni di un piattissimo senex amans -questa è l'unica caratterizzazione che gli viene fornita dalla scrittura- che muore di infarto a causa della vicina del secondo piano, provocando una pioggia di terribili guai per il figlio e altrettante terribili gag basate sul fraintendimento del tipo di pillole che il vecchio libertino era solito assumere.
Alla morte del padre, Giorgio/Maurizio Battista -che non si sforza neanche di simulare un qualsiasi tipo di reazione utile a pensare ad una qualche vaga elaborazione del lutto- scopre infatti di essere tanto sommerso di debiti da dover vendere il bar a un personaggio secondario, un suo cameriere la cui provenienza asiatica deve essere sufficiente allo spettatore per intuirne l'astuzia. Iniziano così una serie di peripezie finanziarie aggravate dalle spese che il figlio (Emanuele Propizio) -narrativamente caratterizzato come nerd perché abbigliato con un maglietta di batman- lo costringe a sostenere per le proprie nozze, pagando a metà con i genitori della sposa. Una regia fin troppo semplice ci accompagna per un'ora e un quarto di battute fiacche, gag scontate e spesso anche meschine: al funerale -scenico ma anche artistico viene da pensare- di Nando, la zia Elvira “lo benedice” -questa è la battuta di Maurizio Battista- emettendo dei peti che costringono i partecipanti ad allontanarsi, portando all'apice una scena in cui la verve comica scaturiva dal fatto che il prete -un improbabilissimo mago Silvan- bagnava tutti con l'aspersore al momento della benedizione.
E via dicendo, attraverso una serie di accadimenti dispersivi, come la comparsa di Suellen -una surreale Claudia Pandolfi- la sorella del protagonista con cui divide la scena per nemmeno venti minuti, il tempo di presentare un personaggio la cui comicità dovrebbe risiedere nel fatto che imita il dialetto dei propri compagni. Soluzione già debole infiacchita dal fatto che la donna compare in modo fugace e casuale. A tutto questo si affianca un comparto umano per niente stereotipato: oltre al già citato vecchio libertino abbiamo il giovane sottomesso, la sposa autoritaria (Stefania Corsi), la moglie ingenua e petulante (Paola Tiziana Cruciani), un vago antagonista (Ernesto Mathieux), un servus callidus cinese e una serie di romani tutti infelici della propria moglie e tutti lamentosi e nichilisti.
Il tentativo di inquadrare la comicità di Maurizio Battista in una narrazione non episodica viene reso nullo dall'assenza di qualsiasi altra spalla -di cui invece si avvaleva con successo il più umile Paolo Cevoli, affiancando alla propria altri tipi di comicità- o anche solo di una sceneggiatura abbastanza coinvolgente -dove per abbastanza coinvolgente si intende “che non ricalchi l'ennesima commedia degli equivoci di architettura plautina con soluzioni di scrittura abusate”- da non far credere allo spettatore di trovarsi davanti a una versione pretenziosa di quello stesso genere di film dai personaggi macchiettistici e dalle dinamiche prevedibili che è tanto presente nel nostro immaginario da rendere superfluo indicarne il nome.
Michelangelo Franchini
di Francesco Pavolin
con Maurizio Battista, Paola Tiziana Cruciani,
Italia, 2015
genere, commedia
durata, 88'
Un Maurizio Battista aspirante suicida sul ponte Milvio si accinge a raccontare a dei passanti incuriositi la propria storia. La soluzione registica che relega l'intera storia al ruolo di flashback però non è in questo caso -come invece avveniva per Soldato semplice di Paolo Cevoli- utilizzata per restituire scene che caratterizzino i personaggi, sorta di incisi scevri da un banale andamento cronologico, ma anzi non ha nemmeno un colpo di scena finale che ne giustifichi la scelta.
La storia è quella di Nando, Ninetto Davoli nei panni di un piattissimo senex amans -questa è l'unica caratterizzazione che gli viene fornita dalla scrittura- che muore di infarto a causa della vicina del secondo piano, provocando una pioggia di terribili guai per il figlio e altrettante terribili gag basate sul fraintendimento del tipo di pillole che il vecchio libertino era solito assumere.
Alla morte del padre, Giorgio/Maurizio Battista -che non si sforza neanche di simulare un qualsiasi tipo di reazione utile a pensare ad una qualche vaga elaborazione del lutto- scopre infatti di essere tanto sommerso di debiti da dover vendere il bar a un personaggio secondario, un suo cameriere la cui provenienza asiatica deve essere sufficiente allo spettatore per intuirne l'astuzia. Iniziano così una serie di peripezie finanziarie aggravate dalle spese che il figlio (Emanuele Propizio) -narrativamente caratterizzato come nerd perché abbigliato con un maglietta di batman- lo costringe a sostenere per le proprie nozze, pagando a metà con i genitori della sposa. Una regia fin troppo semplice ci accompagna per un'ora e un quarto di battute fiacche, gag scontate e spesso anche meschine: al funerale -scenico ma anche artistico viene da pensare- di Nando, la zia Elvira “lo benedice” -questa è la battuta di Maurizio Battista- emettendo dei peti che costringono i partecipanti ad allontanarsi, portando all'apice una scena in cui la verve comica scaturiva dal fatto che il prete -un improbabilissimo mago Silvan- bagnava tutti con l'aspersore al momento della benedizione.
E via dicendo, attraverso una serie di accadimenti dispersivi, come la comparsa di Suellen -una surreale Claudia Pandolfi- la sorella del protagonista con cui divide la scena per nemmeno venti minuti, il tempo di presentare un personaggio la cui comicità dovrebbe risiedere nel fatto che imita il dialetto dei propri compagni. Soluzione già debole infiacchita dal fatto che la donna compare in modo fugace e casuale. A tutto questo si affianca un comparto umano per niente stereotipato: oltre al già citato vecchio libertino abbiamo il giovane sottomesso, la sposa autoritaria (Stefania Corsi), la moglie ingenua e petulante (Paola Tiziana Cruciani), un vago antagonista (Ernesto Mathieux), un servus callidus cinese e una serie di romani tutti infelici della propria moglie e tutti lamentosi e nichilisti.
Il tentativo di inquadrare la comicità di Maurizio Battista in una narrazione non episodica viene reso nullo dall'assenza di qualsiasi altra spalla -di cui invece si avvaleva con successo il più umile Paolo Cevoli, affiancando alla propria altri tipi di comicità- o anche solo di una sceneggiatura abbastanza coinvolgente -dove per abbastanza coinvolgente si intende “che non ricalchi l'ennesima commedia degli equivoci di architettura plautina con soluzioni di scrittura abusate”- da non far credere allo spettatore di trovarsi davanti a una versione pretenziosa di quello stesso genere di film dai personaggi macchiettistici e dalle dinamiche prevedibili che è tanto presente nel nostro immaginario da rendere superfluo indicarne il nome.
Michelangelo Franchini
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