Wild
di Jean-Marc Vallé
con Reese Witherspoon, Laura Dern
genere, drammatico, autobiografico
Forte del successo di Dallas Buyers Club, premiato con ben tre statuette d’oro, Jean-Marc
Vallé porta sullo schermo Wild, suo ottavo
lungometraggio.
Adattato dal novellista e sceneggiatore inglese Nick
Horby (Fever Pitch, An Education) a
partire da Wild: from Lost to Found on
the Pacific Cost Trail, scritto autobiografico di Cheryl Strayed –nel
film interpretata da Reese Witherspoon, il film narra la parabola di caduta, e redenzione –?– della
giovane che nel 1995 percorse da sola le 2650 miglia del sentiero montuoso che
conduce dal Messico al Canada.
Con
sette pazzi ma splendidi anni di matrimonio alle spalle, il lutto della madre -suo
baricentro, migliore amica e compagna di studi-, una gravidanza non programmata,
sola come un cane e reduce da una vita promiscua come eroinomane, Cheryl decide
di intraprendere un percorso fisico e spirituale per i luoghi più sperduti e
meno frequentati della sua terra
In
accordo col topos- o forse clichè-, che accompagna la cultura occidentale
da Chaucher a Kerouac, passando per Proust, secondo cui il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove
terre, ma nell'avere nuovi occhi, ancor
prima di giungere a destinazione la protagonista riesce ad avere una visione
gestaltica sulla sua realtà e a liberarsi dai fantasmi che la perseguitano. Se
Cheryl riesce a raggiungere la sua meta, lo stesso non si può affermare con
certezza per Vallée, che, attraverso metafore e allogorie
imbarazzanti (una su tutte: come Cheryl deve disfarsi di certi fardelli
ereditati dalla sua vita passata, così le persone che incontrerà sulla via l’aiuteranno
a gestire meglio l’enorme bagaglio), imbastisce una narrazione sì evocativa e
suggestiva, ma carente di continuità e logica.
In questo senso l’utilizzo del flash-back, oltre che
avvicinare pericolosamente "Wild" a "Into the Wild" –per il percorso di
liberazione del protagonista– e Nynphomaniac
–per l’abuso del sesso quale mezzo di evasione–, crea un vero e proprio iato
concettuale tra il prima e il dopo, rendendo poco chiari i motivi che hanno
condotto la giovane a compiere certe scelte.
La pellicola è cosparsa da una qual certa aura
femminista, inindagata e del tutto gratuita. Dicotomica è anche la
presentazione della figura maschile: se prima di iniziare il percorso gli
uomini erano per Cheryl legati solamente ad una vita insana all’insegno di
sesso droga –e poco rock and roll ma
molta poesia-, ora più volte la salvano donandole acqua e cibo nel momento del
bisogno.
Più che di un viaggio di scoperta si tratta per
Cheryl di un percorso di purificazione: in negativo, di liberazione dall’eroina
e da un’esistenza selvaggia, in positivo di accettazione e –letteralmente-
com-prensione dei moniti della madre, come you
can put yourself in the way of beauty, che risuonano lungo tutto il
percorso e la pellicola sotto forma di un’invadente flusso di coscienza.
Erica Belluzzi
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