Vedete, sono uno di voi
di Ermanno Olmi
Italia, 2017
genere, documentario
durata, 76'
di Ermanno Olmi
Italia, 2017
genere, documentario
durata, 76'
Chi era Carlo Maria Martini e perché ha significato tanto per i milanesi e, in generale, per i
cattolici? Si pongono questa domanda Ermanno Olmi e Marco Garonzio, giornalista del Corriere
della Sera che per decenni ha seguito l'uomo destinato a diventare arcivescovo di Milano, e
insieme ne ripercorrono la vicenda umana e spirituale parlando in prima persona, come se fosse lo
stesso Carlo Maria Martini a raccontarsi.
La voce fuori campo e la regia sono dello stesso Olmi, che firma anche la sceneggiatura con
Garonzio; la fotografia è del figlio Fabio, il montaggio è di Paolo Cottignola, le ricerche d'archivio,
quello dell'Istituto Luce, anche produttore con Rai Cinema e distributore, come di molte altre
collezioni di memoria, sono di Nathalie Giacobino: nomi da citare per descrivere uno sforzo
collettivo ed ecumenico nel rendere giustizia ad una figura che ha attraversato la storia d'Italia e ha
rappresentato un punto di riferimento spirituale anche per molti non credenti. Le musiche, dal
requiem di Verdi fino alle composizioni di Fabio Vacchi e Paolo Fresu, più che un
accompagnamento sono un sostegno.
Martini ha attraversato alcune delle pagine più buie del passato recente, facendosi portatore di
luce: a volte un faro, a volte una fiammella, quasi sempre consegnata a mano, in prima persona, e
accompagnata da quello sguardo terso e azzurro che chi gli ha voluto bene non dimentica. Olmi e
Garonzio partono dall'infanzia, privilegiata ma sobria, di Carlo Maria, identificando nelle sue radici
altoborghesi mai troppo lontane dalla terra la formazione al rispetto della dignità umana e alla
libertà di pensiero e di azione e la capacità di interloquire in egual misura con i potenti e con gli
umili, in quella sfida di essere onesti che caratterizzerà tutta la sua attività pastorale, rendendolo
talvolta scomodo per i suoi interlocutori.
Alle immagini dell'infanzia, accompagnate dalle riprese di una casa di campagna che è stata un
microcosmo e un bacino di coltura, si alternano quelle della camera da letto in cui Martini è spirato,
contenente ancora medicinali e asta porta flebo, per ricordare quello "spavento" che coglie tutti in
imminenza della morte. Come accenna il titolo del documentario, Martini era "uno di noi", in primis
nella capacità di ammettere la propria paura. E Olmi e Garonzio permettono che l'arcivescovo,
studioso e scienziato di alta levatura, si esprima sempre con parole semplici, quelle che useremmo
noi, e che usa oggi Papa Francesco, di formazione gesuitica come Martini, per rendersi accessibile
alla gente. Dal conflitto mondiale alla ricostruzione, dalla guerra fredda alla contestazione
giovanile, dagli anni di piombo a Tangentopoli, Olmi mostra come Martini sia stato uomo di
preghiera sincera e non bigotto, come, più che alla teologia politica, fosse interessato ad
analizzare le azioni degli uomini e al dialogo come risanatore di contrapposizioni ottuse e ostili. La
cultura umanistica del regista unisce i pensieri del prelato alla prosa di Gogol, trova echi e rimandi,
evoca la responsabilità politica attraverso una lettura di Piero Calamandrei che, nel suo spiccato
accento fiorentino, ricorda come la nostra Costituzione contenga il portato etico e politico di
Mazzini, Cavour e Beccaria.
Come sempre, il cinema di Olmi è fatto di strati sovrapposti, di doppifondi segreti, di profonda
consapevolezza della memoria individuale e collettiva. Come sempre, la sua costruzione narrativa
di immagini e suoni, prima ancora che di parole, mette in moto un flusso di coscienza, porta in
superficie la commozione e l'empatia. Con "Vedete, sono uno di voi" Olmi e Garonzio raccontano
un "compagno di cammino" che entrava ovunque a piedi, con il Vangelo in mano, contraddicendo il
proprio aspetto ascetico e aristocratico con l'umiltà accogliente della sua postura, sempre
leggermente sbilanciata verso l'altro. In mezzo alla frenesia della contemporaneità, Martini ha
invocato la necessità di fermarsi: in mezzo al chiasso ha chiesto il silenzio, in difesa dalla
prepotenza retorica ha invitato all'ascolto. Ma ha anche parlato chiaro contro la corruzione, contro
quella Milano diventata "capitale del capitale", contro lo sviluppo economico che non abbatte, anzi,
esacerba, le diseguaglianze sociali, l'"Europa dei mercanti", gli errori della Chiesa. Olmi e
Garonzio ricordano un portavoce della "cultura del seme gettato, del lievito, del granello di
senape".
Riccardo Supino
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