Quel fantastico peggior anno della mia vita
di Alfonso Gomez-Rejon
con Thomas Mann, Olivia Cooke
Usa, 2015
durata, 104'
Nato come fucina di giovani talenti il Sundance Film
Festival di Robert Redford si è
progressivamente spogliato delle caratteristiche più innovative diventando di
fatto uno dei serbatoi privilegiati della grandi Major che un poco alla volta hanno finito per
condizionarne la creatività, diventata
con il passare degli anni sempre meno originale e sempre più
standardizzata. Una tendenza che “Quel fantastico peggior anno della mia vita”
- gran premio della giuria dell’ultima edizione della kermesse americana - sembrava
confermare per il carico di vezzi e di stranezze di cui si faceva garante. E
che riguardavano tanto la forma, dominata da colori pastello di ispirazione
fumettistica e corredata da una serie di inserti di animazione che oramai sono
un must imprescindibile della
commedia indie, quanto nei
contenuti, incentrati sul solito coagulo di adolescenze fuori dal coro per
carattere e stile di vita (Greg e Earl i due protagonisti maschili nel tempo
libero realizzano filmini amatoriali che fanno il verso a titoli più o meno
rinomati). In questo caso però, a fare la differenza con quanto abbiamo detto è
la condizione di Rachel, la terza protagonista del film che ammalandosi di
leucemia e costretta a lasciare temporaneamente la scuola mette in moto gli
avvenimenti che inducono Greg a diventargli amico e a fargli da supporto
durante il decorso della patologia.
Diversamente da “Colpa delle stelle” che inseriva il tema della malattia
all’interno del contesto tipico del film di genere giovanilista per arrivare a
replicare con qualche sorriso e molto romanticismo le situazioni che erano
state di “Love Story”, il film di Gomez-Rejon esorcizza il dramma di Rachel
cercando una via d’uscita nella
dimensione tragicomica dei suoi personaggi e in special modo nelle disavventure
di Greg che, prossimo al diploma e consapevole delle responsabilità che lo
attendono di li a venire,
enfatizza le paure tipiche della sua età attraverso una diversità che potrebbe
essere quella del giovane Holden di salingeriana memoria. Ma l’intelligenza
sarcastica e un pò saputella con cui “Quel fantastico peggior anno della mia
vita” infarcisce la sua storia non riuscirebbe a cancellare la sensazione di deja
vu che deriva dalla scontata successione
degli eventi se non fosse per la modalità con cui il film viene al dunque
rispetto al destino della sfortunata ragazza. E’ in questo momento che “Me,
Earl and the Dying Girl” (questo il titolo originale del lungometraggio), complice uno dei finali più emozionanti e sorprendenti
degli ultimi tempi, riesce a trovare il senso di ciò che racconta, assumendo le
forme di un romanzo di formazione che rimane nel cuore prima ancora che negli
occhi.
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