Resident Evil: Retribution
di Paul W.S.Anderson
Certamente non si doveva aspettare quest'ultimo capitolo per certificare lo stato di salute di unasaga tenuta in piedi più dalle mire economiche dei produttori che dall'ispirazione dei suoi contenuti.
Eppure i precedenti pur nella riproposizione di un soggetto derivato da un videogame e quindi per natura tendenzialmente votato alla ripetizione, erano comunque riusciti a rivitalizzare la vicenda introducendo nuovi personaggi e lavorando sul paesaggio, continuamente contaminato da elementi appartenenti ad altro genere (dallo zombi al western). Questa volta invece Anderson e soci si sono incartati con una sceneggiatura che mette insieme passato, presente ed anche futuro, inventandosi una storia che grazie alla possibilità di clonazione della società farmaceutica Umbrella Corporation fa resuscitare buoni e cattivi inserendoli in una sorta di paesaggio virtuale fatto di città megalopoli riprodotte ed usate per testare i virus da vendere al miglior offerente, nelle quali Alice ed i suoi compagni si troveranno a combattere per la sopravvivenza del genere umano.
Costruendo una storia che enfatizza le possibilità del cinema spettacolare con rewind e forward utilizzati a più non posso, ed utilizzando diverse piattaforme che nell'alternanza delle citta palcoscenico individuano i livelli di un percorso ad ostacoli che assomiglia ad un videogioco, Paul W.S.Anderson mette in scena una specie di otto e mezzo fantascientifico non solo per la compresenza di vecchio e nuovo a cui accennavamo poc'anzi, ma anche a causa della continua commistione tra realtà e sogno, escamotage viene resa plausibile la possibilità di questa nuova versione di Resident Evil. L'impressione però è che la regia cerchi a tutti i costi di nascondere la mancanza di idee ricorrendo a continue accelerazioni della storia che in questo modo non ha un attimo di tregua ma allo stesso tempo non produce sorpresa. Ed anche considerandola la fidelizzazione nei confronti di un personaggio come Alice, versione aggiornata di una femminilità mascolina alla Helen Ripley di "Alien", film citato nel particolare maxillofacciale del mostro e nella sua maniera di conservare le vittime dentro bozzoli simili a quelli del film di Scott, non si può non constatare l'interpretazionefin troppo compassata di Milla Ionovich, a cui manca forse l'inconsapevolezza della prima volta per rendere credibile un personaggio che ha esaurito la sua fascinazione. Il finale della storia con lo scenario apocalittico che si prospetta ai sopravvissuti del mortifero T Virus autorizza a pensare a nuovi seguiti. Molto dipenderà dal responso del box office.
di Paul W.S.Anderson
Certamente non si doveva aspettare quest'ultimo capitolo per certificare lo stato di salute di unasaga tenuta in piedi più dalle mire economiche dei produttori che dall'ispirazione dei suoi contenuti.
Eppure i precedenti pur nella riproposizione di un soggetto derivato da un videogame e quindi per natura tendenzialmente votato alla ripetizione, erano comunque riusciti a rivitalizzare la vicenda introducendo nuovi personaggi e lavorando sul paesaggio, continuamente contaminato da elementi appartenenti ad altro genere (dallo zombi al western). Questa volta invece Anderson e soci si sono incartati con una sceneggiatura che mette insieme passato, presente ed anche futuro, inventandosi una storia che grazie alla possibilità di clonazione della società farmaceutica Umbrella Corporation fa resuscitare buoni e cattivi inserendoli in una sorta di paesaggio virtuale fatto di città megalopoli riprodotte ed usate per testare i virus da vendere al miglior offerente, nelle quali Alice ed i suoi compagni si troveranno a combattere per la sopravvivenza del genere umano.
Costruendo una storia che enfatizza le possibilità del cinema spettacolare con rewind e forward utilizzati a più non posso, ed utilizzando diverse piattaforme che nell'alternanza delle citta palcoscenico individuano i livelli di un percorso ad ostacoli che assomiglia ad un videogioco, Paul W.S.Anderson mette in scena una specie di otto e mezzo fantascientifico non solo per la compresenza di vecchio e nuovo a cui accennavamo poc'anzi, ma anche a causa della continua commistione tra realtà e sogno, escamotage viene resa plausibile la possibilità di questa nuova versione di Resident Evil. L'impressione però è che la regia cerchi a tutti i costi di nascondere la mancanza di idee ricorrendo a continue accelerazioni della storia che in questo modo non ha un attimo di tregua ma allo stesso tempo non produce sorpresa. Ed anche considerandola la fidelizzazione nei confronti di un personaggio come Alice, versione aggiornata di una femminilità mascolina alla Helen Ripley di "Alien", film citato nel particolare maxillofacciale del mostro e nella sua maniera di conservare le vittime dentro bozzoli simili a quelli del film di Scott, non si può non constatare l'interpretazionefin troppo compassata di Milla Ionovich, a cui manca forse l'inconsapevolezza della prima volta per rendere credibile un personaggio che ha esaurito la sua fascinazione. Il finale della storia con lo scenario apocalittico che si prospetta ai sopravvissuti del mortifero T Virus autorizza a pensare a nuovi seguiti. Molto dipenderà dal responso del box office.
Il primo Resident Evil era un buon prodotto di genere, grezzo al punto giusto ma tutto sommato divertente.Gli altri due non andavano oltre il guardabile, il terzo aveva una atmosfera western apocalittica anche piacevole. Tutto doveva terminare con l'orrido afterlife ma evidentemente il box office ha deciso diversamente.
RispondiEliminasottoscrivo il tuo excursus anche dal punto di vista del gusto. Il terzo con la sua iconografia western mi aveva fatto sperare mentre questo mi ha riportato alla triste realtà. Ho nostalgia del primo!
RispondiEliminanickoftime