Foxcatcher- Una storia americana
di Bennett Miller
con Steve Carell, Channing Tatum, Mark Ruffalo
Usa, 2014
durata, 134'
Il dossier
accusatorio dedicato ad "American Sniper" e più in generale, la
definizione di cinema americano inteso come strumento di propaganda governativa
è destinata a ulteriori riflessioni per via di un film, "Foxcatcher",
diretto da Bennet Miller, che, neanche a farlo apposta, si pone in netto
contrasto con la tesi sopra espressa. Quella di Miller infatti, è la storia
vera dei fratelli Schultz, campioni olimpici di lotta greco romana, e del loro
mentore, il miliardario John Du Pont, deciso a promuovere i valori della
nazione americana attraverso le imprese dei due campioni sportivi, ingaggiati
all'interno di un programma che prevedeva tra l'altro la costruzione di un centro di allenamento
nazionale all'interno della tenuta del ricco magnate.
Siccome la relazione tra i tre uomini è divenuta materia da
cronaca nera, per i drammatici risvolti che hanno messo fine al celebrato
sodalizio, non c'è dubbio che "Foxcatcher" appartenga a quella
categoria di lungometraggi di matrice noir,
che esplorano con entomologa abnegazione gli abissi più oscuri dell'animo
umano. Certamente la definizione potrebbe risultare un pò stretta ad una
vicenda umana che parte da un binomio sportivo – il talento atletico e le
imprese dei due lottatori unite
alla passione di Du Pont per il wrestling - e si sviluppa come il resoconto di un amicizia impossibile tra il
rampollo di una delle famiglie più in vista del paese e due ragazzi semplici e
modesti. Una disfunzione cinematografica acuita dalla
presenza nella parte dei ruoli principali di tre attori come Tatum Channing,
Steve Carell e Mark Ruffalo, costretti a stravolgere la loro immagine - anche
estetica- per aderire alle caratteristiche fisiche e umorali dei rispettivi
personaggi. Se poi aggiungiamo il fatto che la regia di Miller, classica e
rigorosa, fa di tutto per raffreddare i picchi emotivi di una materia
incandescente e ambigua, soprattutto nei risvolti che trasformarono
l'ammirazione di Du Pont nei confronti di Mark Schultz in una sorta di infatuazione, allora ci
troviamo di fronte a un prodotto hollywoodiano anomalo, sia dal punto di vista
del divismo attoriale (praticamente assente), che sotto il profilo della gestione drammaturgia;
quest’ultima avulsa da qualsiasi forma di indulgenza che non sia quella di far
emergere il "danno" emotivo dalle dinamiche dei corpi. Un richiamo,
quello alla fisicità dei personaggi, evocato dall'evidenza del dettaglio
fisionomico, accentuato dal make up
di Carell/Dupont, come pure dalla mandibola sporgente e dall'espressione
perennemente assente di Tatum/Mark; ma soprattutto dal continuo rifarsi ad una dialettica corporale,
espressa attraverso un contatto - volontario e accidentale - che è allo stesso
tempo una tecnica di combattimento e la manifestazione di una latente ferinità .
Se la parabola umana proposta da "Foxcatcher" è di per sé un oggetto
filmico, non c'è dubbio che la scelta di mettere in scena una vicenda umana in
cui i valori della bandiera americana si confondono con la dimensione
patologica di chi se ne fa portatore (Du Pont), diventa la rappresentazione di American
Dream triste e funesta. A testimonianza di
un cinema che, nonostante tutto, è ancora in grado di mettere in discussione lo
stato delle cose.
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