Pitza e Datteri
di Fariborz Kamkari
con Giuseppe Battiston, Andrea Pergolesi, Mehdi Meskar
Italia, 2014
genere, commedia
durata, 92'
Il tema dell'integrazione, l'incontro-scontro fra due culture antitetiche e il delicato incastro fra i sistemi etici sono il tema portante di una commedia all'italiana che riesce a mantenersi sempre distante da quella dimensione umoristica grottesco-surreale che è più spesso un effetto collaterale che un obiettivo centrato.
Il motore dell'azione è la moschea dove la comunità musulmana di Venezia era solita pregare e che un'avvenente Zara (Maud Buquet) – archetipo di donna emancipata all'occidentale, conscia/consapevole della propria femminilità – ha trasformato in un salone di bellezza. Per riprenderla viene chiamato un aiuto dall'Afghanistan: un imam che – dall'alto della sua saggezza – aiuti i fedeli a ritrovare un punto di raccolta. Ma nella migliore tradizione umoristica pirandelliana avviene il contrario: l'imam è un ventenne impacciato.
L'intreccio – geniale nella sua semplicità – è la fonte della vis comica, che scaturisce da una serie di gag mai eccessive basate su fraintendimenti dovuti alle differenze culturali. Ma il film non si risolve nella storia e anzi ha il proprio punto di forza nei personaggi – sostenuti da attori capaci, tra i quali spicca un meraviglioso Giuseppe Battiston -, nella loro graduale evoluzione e nella semplicità con cui raffigurano l'eterna opposizione dialettica fra oriente e occidente, il deserto e il mare, sistemi di vita opposti ma non inconciliabili.
A uscirne vincitore è proprio il confronto, che qui muove i personaggi - quasi come un blando espediente narrativo - fino alla consapevole arrendevolezza che precede il compromesso e la sintesi hegeliana delle due opposizioni. Un risultato tutt'altro che negativo considerando che la regia riesce anche a colorare il tutto con le tonalità di una commedia ben confezionata e a risolvere, con quella stessa delicata ironia che accompagna il film così come accompagna – e nobilita – il film l'orchestra di piazza Vittorio, la questione del fondamentalismo religioso, con un espediente originale e divertente.
La necessità di ritrovare un luogo culturalmente identitario all'interno di uno spazio cittadino straniero – e in quanto tale “estraneo” e regolato da norme altre – è la semplice e riuscita metafora con cui il film si interroga sulla reale possibilità di inserimento di un Islam moderato/moderno che ha il volto – giovane, non a caso – di Mehdi Meskar (soprannominato Saladino), costretto a venire a patti con una femminilità matura e a misurarsi con un mondo multietnico – la Venezia storica del crocevia di mercanti e culture – che può accettare soltanto – questo suggerisce il film – una rispettosa convivenza pacifica in cui le differenze non siano motivo di attrito ma di arricchimento.
Michelangelo Franchini
di Fariborz Kamkari
con Giuseppe Battiston, Andrea Pergolesi, Mehdi Meskar
Italia, 2014
genere, commedia
durata, 92'
Il tema dell'integrazione, l'incontro-scontro fra due culture antitetiche e il delicato incastro fra i sistemi etici sono il tema portante di una commedia all'italiana che riesce a mantenersi sempre distante da quella dimensione umoristica grottesco-surreale che è più spesso un effetto collaterale che un obiettivo centrato.
Il motore dell'azione è la moschea dove la comunità musulmana di Venezia era solita pregare e che un'avvenente Zara (Maud Buquet) – archetipo di donna emancipata all'occidentale, conscia/consapevole della propria femminilità – ha trasformato in un salone di bellezza. Per riprenderla viene chiamato un aiuto dall'Afghanistan: un imam che – dall'alto della sua saggezza – aiuti i fedeli a ritrovare un punto di raccolta. Ma nella migliore tradizione umoristica pirandelliana avviene il contrario: l'imam è un ventenne impacciato.
L'intreccio – geniale nella sua semplicità – è la fonte della vis comica, che scaturisce da una serie di gag mai eccessive basate su fraintendimenti dovuti alle differenze culturali. Ma il film non si risolve nella storia e anzi ha il proprio punto di forza nei personaggi – sostenuti da attori capaci, tra i quali spicca un meraviglioso Giuseppe Battiston -, nella loro graduale evoluzione e nella semplicità con cui raffigurano l'eterna opposizione dialettica fra oriente e occidente, il deserto e il mare, sistemi di vita opposti ma non inconciliabili.
A uscirne vincitore è proprio il confronto, che qui muove i personaggi - quasi come un blando espediente narrativo - fino alla consapevole arrendevolezza che precede il compromesso e la sintesi hegeliana delle due opposizioni. Un risultato tutt'altro che negativo considerando che la regia riesce anche a colorare il tutto con le tonalità di una commedia ben confezionata e a risolvere, con quella stessa delicata ironia che accompagna il film così come accompagna – e nobilita – il film l'orchestra di piazza Vittorio, la questione del fondamentalismo religioso, con un espediente originale e divertente.
La necessità di ritrovare un luogo culturalmente identitario all'interno di uno spazio cittadino straniero – e in quanto tale “estraneo” e regolato da norme altre – è la semplice e riuscita metafora con cui il film si interroga sulla reale possibilità di inserimento di un Islam moderato/moderno che ha il volto – giovane, non a caso – di Mehdi Meskar (soprannominato Saladino), costretto a venire a patti con una femminilità matura e a misurarsi con un mondo multietnico – la Venezia storica del crocevia di mercanti e culture – che può accettare soltanto – questo suggerisce il film – una rispettosa convivenza pacifica in cui le differenze non siano motivo di attrito ma di arricchimento.
Michelangelo Franchini
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