Iddu
di Fabio Grassadonia e
Antonio Piazza
con Toni Servillo, Elio
Germano, Giuseppe Tantillo
Italia, 2024
genere: drammatico
durata: 122’
Per scrivere la
recensione di Iddu di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza è necessario
premettere che la realtà è un punto di partenza, non una destinazione come
dall’incipit del film.
Il film dei due registi è
l’ultimo titolo italiano in concorso alla mostra del cinema di Venezia 2024 con
il non semplice compito di raccontare una parte degli anni di latitanza di
Matteo Messina Denaro, l’Iddu del titolo.
Facendo leva sulle doti
da trasformisti di entrambi i protagonisti (Elio Germano e Toni Servillo), ma
anche sulle riuscite interpretazioni dei comprimari, il film di Grassadonia e
Piazza racconta e mostra, anche oltre buio e oscurità, mescolandosi, però, con
queste stesse ombre.
Sicilia, primi anni
Duemila. Dopo alcuni anni in prigione per mafia, Catello, politico di lungo
corso, ha perso tutto. Quando i Servizi segreti italiani gli chiedono aiuto per
catturare il suo figlioccio Matteo, ultimo grande latitante di mafia in circolazione,
Catello coglie l’occasione per rimettersi in gioco. Uomo furbo dalle cento
maschere, instancabile illusionista che trasforma verità in menzogna e menzogna
in verità, Catello dà vita a un unico quanto improbabile scambio epistolare con
il latitante, del cui vuoto emotivo cerca di approfittare.
Un azzardo che con uno
dei criminali più ricercati al mondo comporta un certo rischio…
I due registi, che già
avevano affrontato l’argomento Matteo Messina Denaro nel loro
precedente film Sicilian Ghost Story, partono proprio dallo sguardo
che lo spettatore sceglie di dare alla storia: uno sguardo doppio, ambivalente.
Perché al centro di tutto c’è una corrispondenza tra due persone: da una parte
il noto boss e dall’altra un ex sindaco, tale Catello Palumbo. Uno
scambio di lettere che porta entrambi a scoprirsi più del dovuto, ma che apre a
noi spettatori uno scenario diverso rispetto a quello conosciuto grazie alla
cronaca.
E questo sguardo doppio è
quello che i due registi mettono in scena fin dalla primissima inquadratura che
solo in apparenza risulta essere un cielo stellato, ma che, in realtà, è il
riflesso dell’occhio di una pecora all’interno di una sorta di capanna che,
bucata dei raggi del sole, assume la stessa forma. Questo a
dimostrazione che non solo le immagini avranno una doppia valenza, ma tutto
quello che comparirà sullo schermo.
Denso di dicotomie e
ambivalenze, Iddu di Grassadonia e Piazza prova
a insegnarci a guardare il mondo da più prospettive. E lo scambio epistolare
diventa, proprio in questo senso, fondamentale per far vedere le due facce di
una stessa medaglia.
Se da una parte c’è
la famiglia del boss, rappresentata da persone delle quali lui
pensa di potersi fidare, compresa una Barbora Bobulova nel
ruolo della sua intermediaria, dall’altra c’è la famiglia, molto più
scanzonata, almeno all’apparenza, del Preside Palumbo.
Tra la moglie Elvira (una glaciale Betty
Pedrazzi) e il genero Pino (un divertente Giuseppe
Tantillo a suo agio nel ruolo più comico del film)
vengono fuori situazioni quasi al limite del reale, a metà tra il tragico e il
comico. Stessa cosa non si può dire per la controparte mafiosa,
le cui azioni e i cui crimini obbligano i membri familiari a nascondersi e
cercare alternative, ogni volta diverse, per venire alla luce.
Ma a questo binomio se ne
aggiunge un terzo: quello degli agenti incaricati di scovare Matteo
Messina Denaro. Con lo scopo di trovare e arrestare il boss latitante, gli
agenti si mettono in contatto con Palumbo e innescano
questa bizzarra relazione epistolare.
Fungendo un po’ da trait d’union tra le due famiglie, gli
agenti (tra i quali un Fausto Russo Alesi che non si stanca
mai di regalare performance incredibili) cercano di dare il proprio apporto
alla vicenda, in maniera diversa e non sempre riuscita.
Un’altra interessante
dicotomia è quella spaziale. Azzerando il tempo e ambientando il tutto negli
indefiniti anni 2000, il film trova una sua cifra nella rappresentazione
antitetica degli spazi. E per spazi non si intendono solo il
confronto-contrasto tra lo pseudo hotel di Palumbo e il covo,
prima dietro un armadio e poi chissà di Matteo Messina Denaro costretto
a vivere, come da lui stesso affermato, come un topo. Per spazi in
antitesi si intendono anche i luoghi chiusi, claustrofobici e cupi (con sapore
di morte) contrapposti a quelli aperti, alla luce del sole.
L’ora d’aria che il boss
si concede quando non è intento a terminare il suo puzzle è solo la
rappresentazione di quello che vorrebbe avere: la libertà. Quella libertà messa
in atto da uno squarcio nel muro, inizialmente visto come un pericolo, ma poi
considerato come una via di fuga, anche solo momentanea, un momento di evasione
dalla realtà.
Dallo scambio epistolare
al centro di Iddu si capisce anche un’altra cosa:
l’intento di raggiungere una cultura sempre più ampia. E non è un caso che il
suo corrispondente sia colui che è chiamato Preside e che,
essendo il padrino del boss, è l’unico che può permettersi, indirettamente, di
fornirgli un’educazione culturale. Quella stessa educazione culturale che, per
motivi noti a tutti, non ha potuto avere e coltivare.
Perché se c’è un aspetto
al quale dà risalto Iddu è proprio la conoscenza,
attraverso la tanto presente, seppur assente fisicamente, scuola. Il Preside,
il bidello scapestrato (oggetto di derisione e battute proprio per la sua
mancanza di acume), la sorella del boss (un’inquietante Angela Truppo)
contro la professoressa di italiano. La scuola è l’altro elemento
spazio-temporale (perché indice di un certo periodo di tempo e di una certa
età) sul quale l’opera di Grassadonia e Piazza si
concentra.
Un’opera nella quale i personaggi, dal più audace al
più divertente, non sono plasmati dal protagonista che, nella sua oscurità
rimane, invece, un’ombra.
Veronica Ranocchi
(recensione pubblicata su taxidrivers.it)
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