Il robot selvaggio
di
Chris Sanders
USA,
2024
genere:
animazione, fantascienza
durata:
102’
Questa
volta sono bastati pochi e semplici ingredienti alla DreamWorks per creare una
storia degna di rimanere impressa nel cuore di chiunque.
Uno
spazio e un tempo indefiniti fanno da cornice alla storia di Roz, robot
multiuso ROZZOM disperso a seguito di un tifone, insieme ad altre cinque unità
da una nave cargo della Universal Dynamics. Roz, il cui vero nome è unità
ROZZOM 7134, programmata, come tutti gli altri robot, per aiutare e soprattutto
per portare a termine un compito, si trova spaesata in un luogo abitato
soltanto da animali con i quali inizialmente non riesce a comunicare e che,
spaventati, la ribattezzano “il mostro”. Allontanata ed evitata da tutti, Roz pensa
di fornire la sua posizione ai produttori per essere recuperata, ma a seguito
di un inseguimento distrugge un nido di oche lasciando intatto solo un uovo.
Aiutata, in qualche modo, da alcuni degli abitanti del posto, Roz ha un nuovo
compito: prendersi cura del piccolo (che la identifica come madre, essendo la
prima cosa che vede alla nascita) e aiutarlo a crescere e sopravvivere. Per
farlo potrà contare sull’aiuto dell’astuta volpe Fink e non solo…
Il
robot selvaggio, nato dalla penna e dai disegni di Peter
Brown e diretto da Chris Sanders (che ha all’attivo grandi titoli
come Lilo & Stitch, Dragon Trainer, I Croods, tanto
per citarne alcuni) è sicuramente un film d’animazione al passo coi tempi.
Dai
numerosi temi che emergono sia dalla storia che dai rapporti con i personaggi agli
innumerevoli riferimenti e alle citazioni che si sprecano nel corso della
narrazione, il film di Sanders regala una visione a metà strada tra il
vecchio e il nuovo.
Innanzitutto
c’è la scelta di ricorrere a un’animazione volutamente sporcata, imprecisa e
imperfetta in alcuni punti. Non siamo di fronte alla perfezione alla quale ci
ha abituati la Pixar, ma non siamo nemmeno di fronte ai primi acerbi
disegni dei grandi e storici classici Disney. Il robot selvaggio
mescola in ogni decisione, sia tecnica che narrativa, l’esperienza del passato
con la speranza del futuro e lo fa strizzando l’occhio non solo ai più piccoli,
ma anche e soprattutto agli adulti, invitandoli a guardare il mondo da un’altra
prospettiva, proprio come Roz.
Amore,
amicizia, ecologia, speranza, forza di volontà. L’elenco potrebbe continuare
all’infinito talmente sono tanti gli aspetti da dovere e potere analizzare. Ma Il
robot selvaggio è anche e soprattutto metafora di vita, la vita di ogni
giorno che, tra pericoli, insidie e ostacoli, ci mette di fronte a delle
scelte, più o meno importanti non solo per il bene del singolo, ma anche dell’intera
comunità.
Identificarsi
in Roz è semplice: è l’unico essere non animale del luogo e l’unico essere che
cerca fin da subito di comunicare utilizzando un mezzo tutt’altro che animale,
la parola, ma è il rapporto che crea con gli altri animali a renderla umana
a tutti gli effetti, trasformando anche loro in esseri più vicini a noi, in
grado di essere compresi. Ed è così che Fink (un omaggio o un prestito
da Zootropolis e il suo riuscito coprotagonista) capisce che forse essere
il più furbo del gruppo può avere dei vantaggi in fatto di prede e cibo, ma non
lo porterà mai ad avere degli amici. Allo stesso modo Beccolustro (la piccola oca
“nata” da mamma Roz) dovrà allargare i suoi orizzonti e comprendere che a volte
le cose più semplici sono quelle meno scontate.
Insomma
gli insegnamenti sono tanti, alcuni da scavare a fondo, altri che emergono più
in superficie, tra un inseguimento e l’altro, una corsa, un addestramento e un’amicizia
sempre più forte e solida.
Impossibile
non pensare a Wall E guardando Il robot selvaggio, ma se
quello che caratterizzava il robot della Pixar era la solitudine, quello che
caratterizza Roz è ben altro: qualcosa di profondo e innato in ognuno di noi,
da ricercare e salvaguardare costantemente, ma anche da addomesticare
(come insegna Il piccolo principe, altro titolo di richiamo).
E
se diventa anche divertente cercare di individuare i famigerati Easter Eggs (dalla
gamba di legno di Dragon Trainer alla spedizione in volo che ricorda quella
per mare di Alla ricerca di Nemo, passando per il Baymax di Big Hero
6 e il suo “quanto valuti da 1 a 10 la mia prestazione?”) è interessante notare
come i riferimenti e i richiami siano una sorta di omaggio a dei titoli che è
come se, messi tutti insieme, avessero come conclusione proprio la storia de Il
robot selvaggio. Una Roz che diventa una sorta di Mary Poppins disposta
a strapparsi un cuore artificiale dal suo bagaglio pieno di cose per
fare spazio a un cuore vero e accogliere il piccolo Beccolustro con il
quale si crea un legame indissolubile e anomalo, alla Sepúlveda, con il suo
gatto che è riuscito a insegnare a volare a una gabbianella.
Veronica Ranocchi
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