La scelta di aprire con una scena che si colloca cronologicamente a metà del film catapulta lo spettatore nel vortice dell’azione ed insieme cristallizza il punto di non ritorno dopo il quale moralità e politicamente corretto lasciano il posto ad una resa dei conti fatta di istinto e polvere da sparo, di squarci di luce ed improvvise oscurità,ed in cui la dignità dell’uomo è scavalcata dall’istinto di sopravvivenza. Cadenzato sui ritmi di una colonna sonora che si fa beffa della morte e sembra richiamare nostalgie guerrafondaie, il film ci mostra immagini ipertrofiche che raccontano di uno stato emozionale sempre al limite e di uno sguardo che potrebbe sembrare presuntuoso per l’ipercinetismo della mdp ed invece è il risultato di una rappresentazione del dolore che vuole essere anche una provocazione verso il terzomondismo di facciata che riempie i mezzi di informazione e che è diventato un modo come un altro per rimuovere fastidiosi rimorsi di coscienza. Guardare la favela attraverso gli occhi del potere era una scelta a rischio, per la carica di machismo ed esaltazione connaturata nello spirito di chi si sporca le mani, ma il regista la compie in maniera consapevole, lontano da visioni maniche e senza proporre soluzioni, ma puntando tutto sull’impatto del messaggio. La sguardo, seppur carico di connotazioni che richiamano i peggiori spettri del totalitarismo ( le divise nere ed il teschio assunto come fregio, l’addestramento delle reclute e l’onnipotenza dei comandanti) non è mai fino a se stesso ma teso a definire i limiti di questa follia collettiva. Ne deriva uno stile dinamico che mischia documento e finzione, con la telecamera che rincorre gli eventi e talvolta li precede mentre la pellicola gioca con i colori alterandone la consistenza. Si arriva alla fine con il cuore in gola, attaccati ed insieme respinti da una storia che ti entra nella pelle e li rimane per ricordarti che quello che hai visto esiste e continua ad accadere.
domenica, luglio 12, 2009
TROPA DE ELITE
La scelta di aprire con una scena che si colloca cronologicamente a metà del film catapulta lo spettatore nel vortice dell’azione ed insieme cristallizza il punto di non ritorno dopo il quale moralità e politicamente corretto lasciano il posto ad una resa dei conti fatta di istinto e polvere da sparo, di squarci di luce ed improvvise oscurità,ed in cui la dignità dell’uomo è scavalcata dall’istinto di sopravvivenza. Cadenzato sui ritmi di una colonna sonora che si fa beffa della morte e sembra richiamare nostalgie guerrafondaie, il film ci mostra immagini ipertrofiche che raccontano di uno stato emozionale sempre al limite e di uno sguardo che potrebbe sembrare presuntuoso per l’ipercinetismo della mdp ed invece è il risultato di una rappresentazione del dolore che vuole essere anche una provocazione verso il terzomondismo di facciata che riempie i mezzi di informazione e che è diventato un modo come un altro per rimuovere fastidiosi rimorsi di coscienza. Guardare la favela attraverso gli occhi del potere era una scelta a rischio, per la carica di machismo ed esaltazione connaturata nello spirito di chi si sporca le mani, ma il regista la compie in maniera consapevole, lontano da visioni maniche e senza proporre soluzioni, ma puntando tutto sull’impatto del messaggio. La sguardo, seppur carico di connotazioni che richiamano i peggiori spettri del totalitarismo ( le divise nere ed il teschio assunto come fregio, l’addestramento delle reclute e l’onnipotenza dei comandanti) non è mai fino a se stesso ma teso a definire i limiti di questa follia collettiva. Ne deriva uno stile dinamico che mischia documento e finzione, con la telecamera che rincorre gli eventi e talvolta li precede mentre la pellicola gioca con i colori alterandone la consistenza. Si arriva alla fine con il cuore in gola, attaccati ed insieme respinti da una storia che ti entra nella pelle e li rimane per ricordarti che quello che hai visto esiste e continua ad accadere.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
4 commenti:
Leggenda vuole, che prima dell'uscita in sala una copia del film sia stata trafugata e ovviamente diffusa in dvd. Si calcola che il film sia stato visto clandestinamente da almeno 3 milioni di brasiliani prima della sua uscita.
....e nonostante questo è stato un successo al botteghino.
Film controverso fin dalla sua prima apparizione internazionale al festival di Berlino 2008 dove poi ha vinto il leone d'oro: addetti ai lavori divisi a metà con taluni che accusavano il film di essere l'estremo rigurgito fascista di una nazione che in passato aveva protetto pericolosi criminali di guerra.
Anche in italia non sono mancati dissensi, soprattutto da parte di quella critica militante che vorrebbe il cinema sudamericano ancora fermo alle forme pauperistiche di qualche hanno fà.
In realtà questo cinema si è emancipato dal passato ed ora guarda alla realtà con uno stile simile a quello del cinema statunitense e con forme che prediligono il genere NOIR.
Per mè è cinema ai massimi livelli tanto da inserirlo nella sezione CULT.
ehm...ehm..scusi egregio nickoftime probabilmente ha sbagliato animale, forse a Berlino ha vinto l'ORSO d'oro, il leone si vince da un'altra parte:-))
esatto...ho sempre problemi a distinguere un animale da un altro
Posta un commento