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lunedì, maggio 25, 2020

TALES FROM THE LOOP

Tales from the Loop
da un’idea di: Nathaniel Halpern
con: Rebecca Hall, Jonathan Pryce, Paul Schneider, Daniel Zolghadri, Duncan Joiner, Ato Essandoh, Abby Rider Fortson
USA 2020 
stag. I, ep. I-VIII
durata media: 53’ ca./ep.





L'interesse di sapere che cosa sia il tempo è stato risvegliato oggigiorno dallo sviluppo della fisica nella sua riflessione sui princìpi fondamentali del coglimento e della determinazione che vanno qui attuati, cioè i princìpi fondamentali della misurazione della natura entro un sistema di riferimento spazio-temporale. Lo stato attuale di questa ricerca scientifica è fissato nella teoria della relatività di Einstein. Eccone alcune tesi: lo spazio in sé non è niente; non c'è uno spazio assoluto. Esso esiste soltanto mediante i corpi e le energie che contiene.
- M. Heidegger, “Il concetto di tempo” -



Ci sono le campagne dell'Ohio sotto le quali, per decine di chilometri, si estende un acceleratore di particelle autore di scherzi alla materia e soprattutto a chi crede di poterla domare. Ci sono gli oggetti allo stesso tempo sorpassati e artificiosi - ispirati, così come l'intera serie, all'immaginario dell'artista svedese Simon Stålenhag - che sembrano rappresentare un futuro stanco di esser tale. C’è anche un rapporto con la Tecnica che va in direzione totalmente opposta al dogma di imprescindibilità da essa che ci siamo cuciti addosso.



Ed è proprio su queste coordinate che si muovono vicende e personaggi di "Tales From the Loop", serie tv in bilico tra immanente e futuribile - quasi per incanto apparsa sugli osceni canali di Amazon Prime, probabilmente e tristemente destinata all'oblio, a morire nel tritacarne della fagocitazione-digestione-espulsione digitale (a pensarci e a suo modo, un loop quantomeno deprimente) - che sembra avanzare con velleità antologiche facendo per contro non solo intrecciare le linee narrative sviluppate fino a quel momento ma anche i fondamentali a cavallo tra filosofia ontologico/temporale e meccanica quantistica posti dapprincipio a reggere l'insieme e, in alcuni momenti intermedi, messi da parte a mo' di inganno in quanto elementi centrali ma sempre orbitanti attorno al microcosmo rurale. Tutto ciò sta a significare che, nonostante l'ovvia matrice fantascientifica, i cliché che di questo genere sono capisaldi vengono non solo smontati ma addirittura decostruiti e proposti sotto un'altra forma (si pensi al viaggio nel tempo in cui la Tecnica non solo è stata abbandonata ma anche lasciata alle spalle con una leggerezza impensabile per l'omaccione contemporaneo il quale, al contrario, si guarda bene dal fare i conti con dei futuri ipotetici; si noti lo scambio anima-corpo di due ragazzi con prospettive opposte che, invece di virare verso il solito aspetto della scalata sociale, va nella direzione di orizzonti comunicativi del tutto inusuali - in particolare la ragazzina sordomuta rimanda alla Amy Adams di “Arrival” - Si faccia caso, infine, a come oggetti di alta tecnologia siano presentati come semi-rottami desueti di fascinosa fattura artigianale perfettamente integrati in un contesto naturale già dalle prime inquadrature in grado di imporsi su ogni cosa, diventando a tutti gli effetti un personaggio). Di concerto, le immagini sono organizzate assecondando una fotografia che predilige tagli di luce decisi ma allo stesso tempo morbidi grazie all'uso di ottiche lunghe e di uno sfocato che però non aliena le figure dal contesto. Impossibile dimenticare, inoltre, le meravigliose partiture di Philip Glass - non a caso considerato uno dei più grandi esponenti della musica minimale - che si insinuano sottopelle contribuendo alla sensazione più reale-che-mai di star davvero vivendo un loop.

A tal proposito, sembrano non essere poi così lontani neanche i tempi in cui Nietzsche annunciava l'eterno ritorno dell'uguale - teoria della quale Fink diceva, e non a torto, che "... apparentemente manca di una precisa rielaborazione e impronta concettuale; è più simile a una oscura profezia" - che continua ad avverarsi ogni istante e senza arrendersi, nonostante le domande di un ragazzino, Cole/Joiner, perspicace e caparbio, pronto a interrogarsi perplesso ma sfrontato sul tempo (divinatoria la sequenza in cui fotografa la madre) ricevendo una risposta brutale e restando fregato dallo scherzetto di un fiume eracliteo. In un contesto apertamente nichilista, allora, e nella misura in cui la percezione umana è portata a credere solo a quello che recepisce, con tutte le contraddizioni del caso inerenti alla fede cieca nella materia, ennesimo dio cretino della Storia, viene posto il dubbio - con la lieta sensazione che sia più di un dubbio - che davvero tutto esiste ma nulla è.
Antonio Romagnoli

2 commenti:

  1. Ho visto i primi cinque episodi e il quarto per il momento è il mio preferito in assoluto. Dopo il primo ho fatto fatica a convincermi che fosse un prodotto degno di nota, ma ho continuato su suggerimento di un amico. Effettivamente gli episodi 2 e 3 fanno salire l'interesse e anche il grado di coinvolgimento, ma col quinto devo dire che mi sono trovata a combattere la noia e, infatti, per questo motivo ancora non trovo la "forza" o meglio la voglia di proseguire con gli episodi rimanenti. Rimane ovviamente il fascino delle atmosfere e la bellezza della colonna sonora, ma quel quinto episodio per il momento ha sancito l'inizio di una pausa che mi sono presa nei confronti di questa serie.

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  2. Quando nel pezzo si esprime sorpresa per la distribuzione di un'opera del genere su Amazon non è un caso che quei canali vengano definiti "osceni", semplicemente perché "tales from the loop" non si piega alle logiche dell'intrattenimento seriale ma cerca di andare oltre e nemmeno di poco. Di fatto, non fosse stato così, l'articolo qui sopra non sarebbe mai esistito.

    Infinitamente grato per aver dedicato del tempo alla lettura,

    Antonio Romagnoli

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