Nel raccontare l’incontro di due solitudini, Il Mio Corpo di Michele Pennetta narra il senso di rifiuto vissuto da Oscar e Stanley, protagonisti di una storia di quotidiana emarginazione. Vincitore del premio Rosetta ad Alice nella Città
Parli di significati e dunque ne approfitto per agganciarmi a quello espresso dal titolo. In senso marxista, Oscar e Stanley sono spogliati da tutto tranne che del loro corpo, attraverso il quale passa la ragione della stessa esistenze. La loro condizione lavorativa non gli permette di emanciparsi dal punto di vista economico e dunque sono l’esempio dell’uomo concepito da Karl Marx. Il mio corpo torna a questa parte del suo pensiero per mostrarne l’attualità.
Certo, sono completamente d’accordo con te. Quello è stato il concetto del marxismo nella visione del corpo come strumento ed è la cosa che mi ha veramente colpito rispetto alle esistenze di Oscar e Stanley, nel senso che ho ritrovato dei concetti letti solo nei libri di storia. Il titolo in parte deriva da lì e cioè dal corpo inteso come strumento di sopravvivenza. C’è poi un lato più religioso e sacro per cui il corpo è inteso come sacrificio della persona.
Rispetto alle immagini, privilegi quelle in cui i protagonisti sono in continuo movimento. Questo da una parte rimanda alla precarietà della loro condizione e all’irrequietezza che ne deriva, dall’altra alla spinta nel ricercare l’altro.
Il mio corpo narra l’incontro di due solitudini. I campi lunghi a cui spesso ricorri le restituiscono, attraverso un paesaggio isolato, deserto e spoglio.
A livello formale, il film è frutto di dieci anni di ricerca e di riflessione, rispetto a cos’è per me un documentario; su quale sia il limite tra realtà e finzione e su come utilizzare gli strumenti del cinema per arrivare al documentario, cercando di trasmettere il mio punto di vista attraverso la forma. Nei film precedenti ho capito di cosa avevo bisogno per poter tradurre quello che vedevo e per capire come volevo che fosse. Con Il mio corpo ho cercato di fare un documentario in cinemascope, un formato che di solito non gli appartiene.
Non a caso, dal punto di visto del paesaggio, sembra di guardare un western.
Proprio così, l’intenzione era quella di trasmette allo spettatore di trovarsi di fronte a un western contemporaneo.
La prima parte del film è più narrativa, la seconda privilegia un andamento più’ contemplativo. Partendo da qui, volevo chiederti: come regista, in che misura intervieni sulla realtà e quanto invece lasci che si manifesti davanti alla mdp.
La stessa cosa si ripete all’arrivo della troupe, in questo caso formata da sei persone. Con loro abbiamo trascorso un mese senza girare, in cui passavamo solo del tempo con Oscar e Stanley. Tale vicinanza ha fatto sì che certi momenti, che sembrano messi in scena, in realtà non lo erano. Come nella scena del risveglio. Noi siamo entrati alle cinque di mattina e il fatto che Oscar fosse abituato a noi ha fatto sì che quando apre gli occhi guardi dietro e non verso la mdp.
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