sabato, aprile 25, 2015

N-CAPACE: un'installazione cinematografica. Intervista a ELEONORA DANCO



Ci eravamo lasciati a dicembre con Eleonora Danco, felice del successo di critica ricevuto al TFF e forte della promessa di una distribuzione nelle sale che rassicura sul fatto che in Italia c'è ancora spazio per il cinema di qualità.  Perché dopo la visione di "N-Capace", la considerazioni sulla qualità dell'opera si accompagnano alla consapevolezza di essersi stati testimoni e contemporaneamente pazienti di un film terapeutico per la capacità di lavorare sul nostro stato d'animo.
 
Qualcosa di vivo è proprio questo film, che ha il pregio di incarnare la quintessenza della funzione della tragedia greca per l’effetto catartico da cui, come spettatori del viaggio di “Anima in Pena”- la protagonista del film interpretata dalla stessa Danco - e delle confessioni intime dei suoi compagni di viaggio, veniamo improvvisamente investiti, intenti a godere delle contrapposizioni divertite e divertenti generate dalla serietà delle domande e dalla spontaneità delle risposte; incantati da una narrazione fluida e solo in apparenza semplice, ricca di ironia, ad alto grado di lirismo ed emotivamente molto coinvolgente, ci ritroviamo a ridere e a commuoverci, ecco che ribolliamo di una catarsi che annulla la distanza tra sala e schermo, accorgendoci che il film sta parlando di noi individualmente, e di noi come umanità. Meravigliosa creatura, "N-Capace" vive di vita propria dal primo secondo di proiezione, opera che è insieme teatro e cinema, performance e taumaturgia.


L'Artista Eleonora Danco, regista, autrice, attrice, performer dell'universo Teatro, sta correndo alla sua lezione di danza quando risponde alla prima domanda che riguarda il finale del film, dopo i titoli di coda, dove il papà di Anima in Pena ed un altro personaggio - Danco fa notare trattarsi de "l'unico momento del film in cui nell'inquadratura coesistono due personaggi parlanti, al contrario di tutto il resto della narrazione in cui ogni personaggio appare individualmente" - riportano alla memoria testimonianze dirette di licantropia, ricordi della loro giovinezza in cui durante i pleniluni alcune persone si aggiravano intorno alle fontane e ai corsi d'acqua, sofferenti e urlanti come in preda ad una crisi da lupo mannaro - che il papà di Anima in Pena attribuisce ad un disagio neurologico.
D: è un inserto volutamente ironico al termine del film per fare un po' il verso al trend "twilight"?
R:"
No. é tutto vero. Gli stessi racconti sono comuni nella zona di Perugia e dei Colli Albani, mi sono stati riportati episodi identici a quelli raccontati da mio padre, di persone che addirittura raschiavano con le unghie sulle porte. L'inserimento di questa scena, nella sua delirante serietà, è fatto apposta, anche se inizialmente era rimasta fuori, ma dopo il finale altamente lirico del film, ripreso da un palazzo sul porto romano di Terracina, con i fuochi d'artificio sul mare e la gente che correndo dalla spiaggia si riversa in acqua - inaspettatamente, perché non sapevo che sarebbe successo ed è stato un regalo meraviglioso - l'ho voluta inserire per rompere il film, per dissacrare."

Un esempio del forte dualismo che rappresenta quest'opera in cui coesistono tante anime, sia di forma che di contenuti, in splendido equilibrio lungo una trama emozionale, una dialettica ricorrente e dinamica tra l'interiorità espressa dalla performance e dalla fisicità, dalla composizione della scena della forma teatrale - mezzo elettivo che viene portato al cinema - e lo sguardo gettato all'esterno, l'apertura verso gli altri espressa con le forme del cinema, con le interviste, le sequenze di immagini del mondo circostante, un dualismo armonizzato dalla voce fuori campo di Anima in Pena che è insieme pura poesia e collante di due mondi.

D: Le confessioni di tutti i personaggi sembrano fornite spontaneamente, non preparate, non provate. Cosa c'è di script nelle loro risposte, nel rivelarsi intimo e sofferto da parte del papà di Anima in Pena?
R: "
Non c'è niente di scritto, è verità. Tutte le interviste sono spontanee, ogni loro parola, pausa, esitazione. L'unico elemento di costruito nel film è la struttura. Potrebbe non sembrare così, ma non c'è niente di naturalistico in questo film, la realtà è una condizione artificiale, nella sua trasposizione va ricreata artificialmente. Creare una forza non è esercizio naturalistico. Voler esprimere intensità, voler esprimere la forza comporta la costruzione di una tensione che non è naturale, anzi supera il naturale per poterlo restituire. Prova a pensare all'espressione fisica di un gesto artistico come un salto di Nureyev: ciò che è "volante", leggero e forte arriva dall'esercizio di essere artificiale, da ore di allenamento e di esercizio e di struttura per arrivare ad esprimere la bellezza e la tensione di un gesto naturale. Volevo ottenere questo effetto, ho voluto ribaltare l'ordine naturale, arrivare all'essenza delle anime delle persone, partendo da qualcosa che sembra naturale come il parlare della loro vita, un pretesto volendo anche noioso, con lo scopo di giungere all'istante vero, di arrivare all'atomo delle cose, alla parte atomica della loro anima, all'estremizzazione che paradossalmente restituisce l'universalità. Volevo che il pubblico fosse sedotto, scosso, afferrato nel profondo."


Al di là dell'elaborazione intellettuale, a priori o a posteriori, il merito dell'autrice è quello di aver dato vita ad un film che si vede e va visto senza bisogno di sapere niente di struttura o di forma, perché la sincerità e l'urgenza della sua ricerca ed il suo talento regalano un racconto mai banale con un incedere imprevedibile, dove dentro il dramma si ride e dentro il comico ci si commuove. Tra le interviste ad adolescenti ed anziani sul tema della sessualità e dell'amore, un momento di grande bellezza del film è rappresentato dalla giovane adolescente innamorata che parla della propria ragazza.
D: un'ulteriore nota di originalità e di voce fuori dal coro, visto che in italia è l'omosessualità maschile ad avere il primato nel dibattito, mentre il termine lesbica è ancora un insulto e l'omosessualità femminile tabù - perché hai scelto questa ragazza?
R: "
Era la cosa più bella che avevo. Le parole per me non contano quasi nulla. Ho cercato per tutto il tempo del film qualcosa di intimo, e lei era così bella... Rilanciava e ribaltava tutto, le etichette, le generalizzazioni, i preconcetti, le opinioni, i luoghi comuni, la cronaca, riportando tutto sulla Bellezza e sull'Amore. In questo modo, toglie il problema, di cosa stiamo parlando in fondo? Non è solo grevità, lei ha un'essenza nel suo sorriso, struggente, il modo in cui descrive la sua ragazza, con una luce negli occhi che è disarmante, in cui ci si riconosce, tutti".

D: L'autoironia con cui affronti il senso di inadeguatezza mi fa ricordare mostri sacri come Woody Allen, l'urgenza del tuo raccontare mi riporta al Moretti di Bianca, ma nell'ecletticità dell'espressione ritrovo anche la freschezza di Amanda July, quindi un po' di sensibilità femminile con una certa irruenza maschile. Ti ci ritrovi?
R: "
non sento di avere una sessualità specifica quando mi esprimo, in quel momento forse non mi sento né donna né uomo, mi esprimo e basta. Mi riconosco una sensibilità adolescenziale, e forse potrei dire di considerarmi virile in un corpo etereo."
La vasca da bagno che nell'immaginario alimentato da cinema e letteratura è luogo di tragedie per la maggior parte delle Anime in Pena, qui diventa un momento di grande ironia e ci sarebbe piaciuto sapere di più sulla scelta di riempirla di biscotti ma non c'è stato tempo. La lezione di danza incombe ed Eleonora è già in ritardo. Ci piacerebbe anche sapere se il film parteciperà ad altri festival in giro per l'Europa. Nel frattempo vi consigliamo vivamente l'esperienza della visione di N-Capace al Sacher di Roma, all'Apollo di Milano e al cinema Massimo di Torino.

Parsec

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