Cake
di Daniel Barnz
con Jennifer Aniston, Anna Hendrick, Sam Wortingthon
Usa, 2015
genere, drammatico
durata, 102'
Il modello americano, ormai
da tempo, è l’unità di misura che l’intera cultura occidentale ha adottato come
convenzione per riferirsi a qualsiasi aspetto sociale e/o individuale che la
tiene ancora miracolosamente in vita. Accade dunque che in un film come “Cake” Claire, una ricca bianca - così
viene definita da un farmacista di Tijuana -,
provando a ri/sincoronizzarsi con ciò che la circonda in seguito ad un
incidente ed all’affiorare dei vari fantasmi che emergeranno col proseguire
della narrazione - si veda la scena in cui la protagonista, stesa sui binari
del treno, nomina le patatine del Mc Donald’s
nel rievocare il figlio morto -, sia l’efficace rappresentazione del
nonnulla celato dalla luccicante illusione made
in U.S.A.
Elemento interessante e qui ben decodificato, in primo
luogo, è quello dell’utilizzo di uno sguardo femminile - con meno fortuna, tra
titoli recenti, lo stesso tentativo s’era fatto con “Wilde” e “Still Alice” -,
che ben sopperisce alla mancanza della soggettiva solitamente maschilista del
mezzo cinematografico e che fornisce a chi guarda nuovi punti di vista. È altresì
fondamentale il disagio che la protagonista vive parallelamente al fruitore,
con l’handicap fisico di Claire che si evolve o involve parallelamente al
proprio stato mentale - sotto questo aspetto sono eloquenti le difficoltà
vissute nel rapporto sessuale o nel viaggiare in macchina -.
“Cake” - grazie anche ad una straordinaria quanto
inaspettata interpretazione da parte di Jennifer Aniston, il cui volto sempre
sull’orlo della disperazione è continuamente cercato e preso spesso in primo
piano dalla mdp -, nonostante non sia
un film esente da difetti e l’intravisto ottimismo finale, è un’opera in grado di restituire impazientemente le
contraddizioni della propria epoca e dei propri luoghi.
Antonio Romagnoli
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