di Jean-Marc Vallée
con Vanessa Paradis, Kevin Parent, Hélène Florent, Evelyne Brochu
Canada, Francia, 2011
genere, drammatico
durata, 122'
Café
de Flore è la storia di un uomo che non potrebbe desiderare di
più e ne è cosciente, e di un ragazzino di sette anni che non ha proprio tutto
per essere felice, ma fortunatamente non ha la lucidità per esserne cosciente.
Come anticipato in
maniera forse un po’ didascalica dalla voce narrante, Café de Flore è un complesso tessuto narrativo costituito dalla
somma di due macro-storie, di cui la prima, ambientata a Montreal ai giorni
nostri vede Antoine (Kevin Parent a
un magnifico debutto cinematografico), affermato dj di fama mondiale alla
soglia dei quarant’anni, follemente innamorato di Rose (Evelyn Brochu) e padre di due splendide bambine avute dal
precedente matrimonio con la compagna di una vita Carol (Hélène Florent); mentre la seconda ruota attorno alla più debole
vicenda di Jacqueline (Vanessa Paradis),
ragazza madre che negli anni sessanta a Parigi cresce il figlio down Laurent (Marin Gerrier).
Il film, diretto e
scritto da Jean Marc Vallée dopo C.R.A.Z.Y
e Young Victoria, è stato
presentato alla Mostra internazionale d’arte cinamatografica di Venezia nel
2011, senza riuscire tuttavia a ottenere una distribuzione italiana, sebbene avesse
ottenuto ben tredici candidature ai Genie Awards (gli Oscar canadesi).
A motivo del mancato
plauso di pubblica e critica si può forse addurre l’innegabile complessità dell’opera,
strutturata come un vero e proprio mosaico compositivo e narrativo, in cui al
plot bipartito – reso unitario grazie all’espediente di Cafè de Flore, una
canzone popolare in Francia negli sessanta particolarmente amata da Jaqueline e
remixata da Antoine qualche decade dopo –, devono essere sommate numerose storie-nella-storia, che si aprono a
matrioska in un percorso pressoché infinito di suggestioni e spunti narrativi.
Se non un accozzaglia di
vicende differenti, l’opera appare talvolta un frammentato mosaico in cui ogni
singolo tassello potrebbe godere di vita autonoma. Se da un lato tale varietà
increspa la fluidità e la scorrevolezza narrativa, dall’altro Vallée, grazie a
una forte componente onirico-trasognata e alla copresenza di numerosi piani
spazio-temporali – sogni, ricordi, immaginazioni, speranze, incubi – crea un’opera
ricca e stimolante per tutti i sensi: una colonna sonora – forse vera
protagonista del film – che spazia dai Pink Floyd ai Sigur Rós, si accompagna
una fotografia eclettica e per certi versi sperimentale.
Il plot, apparentemente
scontato, nasconde interessanti incursioni nel tema della metempsicosi e della
sopravvivenza dell’anima al corpo, nei cui confronti il regista si pone in
maniera critica, proponendo una visione laica e non pre-orientata.
Attraverso un tema ampio e complesso come quello della
reincarnazione dell’anima, vengono indagate le diverse facce dell’amore,
dall’affetto coniugale fino all’amore materno, dipinto come un sentimento
esclusivo dominato da una qual certa gelosia irrazionale.
Per certi versi il
misticismo di Vallée ricorda quello de La
doppia vita di Veronica, probabilmente omaggiato dallo stesso regista
canadese nella caratterizzazione di uno dei suoi personaggi chiave, che porta
lo stesso nome della protagonista del capolavoro di Krzysztof Kieślowski.
Erica Belluzzi
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