giovedì, maggio 14, 2015

CAFE' DE FLORE

di Jean-Marc Vallée
con Vanessa Paradis, Kevin Parent, Hélène Florent, Evelyne Brochu
Canada, Francia, 2011
genere, drammatico
durata, 122' 



Café de Flore è la storia di un uomo che non potrebbe desiderare di più e ne è cosciente, e di un ragazzino di sette anni che non ha proprio tutto per essere felice, ma fortunatamente non ha la lucidità per esserne cosciente.
Come anticipato in maniera forse un po’ didascalica dalla voce narrante, Café de Flore è un complesso tessuto narrativo costituito dalla somma di due macro-storie, di cui la prima, ambientata a Montreal ai giorni nostri vede Antoine (Kevin Parent a un magnifico debutto cinematografico), affermato dj di fama mondiale alla soglia dei quarant’anni, follemente innamorato di Rose (Evelyn Brochu) e padre di due splendide bambine avute dal precedente matrimonio con la compagna di una vita Carol (Hélène Florent); mentre la seconda ruota attorno alla più debole vicenda di Jacqueline (Vanessa Paradis), ragazza madre che negli anni sessanta a Parigi cresce il figlio down Laurent (Marin Gerrier).
Il film, diretto e scritto da Jean Marc Vallée dopo C.R.A.Z.Y e Young Victoria, è stato presentato alla Mostra internazionale d’arte cinamatografica di Venezia nel 2011, senza riuscire tuttavia a ottenere una distribuzione italiana, sebbene avesse ottenuto ben tredici candidature ai Genie Awards (gli Oscar canadesi).
A motivo del mancato plauso di pubblica e critica si può forse addurre l’innegabile complessità dell’opera, strutturata come un vero e proprio mosaico compositivo e narrativo, in cui al plot bipartito – reso unitario grazie all’espediente di Cafè de Flore, una canzone popolare in Francia negli sessanta particolarmente amata da Jaqueline e remixata da Antoine qualche decade dopo –, devono essere sommate numerose storie-nella-storia, che si aprono a matrioska in un percorso pressoché infinito di suggestioni e spunti narrativi.

Se non un accozzaglia di vicende differenti, l’opera appare talvolta un frammentato mosaico in cui ogni singolo tassello potrebbe godere di vita autonoma. Se da un lato tale varietà increspa la fluidità e la scorrevolezza narrativa, dall’altro Vallée, grazie a una forte componente onirico-trasognata e alla copresenza di numerosi piani spazio-temporali – sogni, ricordi, immaginazioni, speranze, incubi – crea un’opera ricca e stimolante per tutti i sensi: una colonna sonora – forse vera protagonista del film – che spazia dai Pink Floyd ai Sigur Rós, si accompagna una fotografia eclettica e per certi versi sperimentale.
Il plot, apparentemente scontato, nasconde interessanti incursioni nel tema della metempsicosi e della sopravvivenza dell’anima al corpo, nei cui confronti il regista si pone in maniera critica, proponendo una visione laica e non pre-orientata.
Attraverso un tema ampio e complesso come quello della reincarnazione dell’anima, vengono indagate le diverse facce dell’amore, dall’affetto coniugale fino all’amore materno, dipinto come un sentimento esclusivo dominato da una qual certa gelosia irrazionale.
Per certi versi il misticismo di Vallée ricorda quello de La doppia vita di Veronica, probabilmente omaggiato dallo stesso regista canadese nella caratterizzazione di uno dei suoi personaggi chiave, che porta lo stesso nome della protagonista del capolavoro di Krzysztof Kieślowski.
Erica Belluzzi

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