Sgarbistan
di Maria Elisabetta Marelli
Italia, 2015
genere, documentario
durata, 75'
La giovane regista e
produttrice milanese Maria Elisabetta Marelli, di fronte all’impellente
interrogativo sulla veracità di taluni “bizzarri” comportamenti del celebre
critico d’arte-politico-giornalista e tutto fare Vittorio Sgarbi, ha compiuto
un gesto che si potrebbe definire, usando le parole del diretto interessato,“folle”.
Onorando – o facendone
forse un cattivo uso – quell’estetica del pedinamento tanto cara a Zavattini, la Marelli, armatasi solo di camera a mano e
tanta pazienza, ha seguito Vittorio Sgarbi per trentasette giorni nell’arco di
tre mesi, durante i quali il difensore delle meraviglie italiane – come va
professandosi – ha visitato 42 mostre, 35 chiese, rilasciato 73 interviste,
preso parte a 27 conferenze, pernottato 31 alberghi e trascorso piacevoli
momenti con 18 “amiche”.
Sgarbistan
(il regno di Sgarbi non conosce limiti spazio-temporali, ma è un territorio pressoché
infinito che assume i confini del luogo in cui egli stesso si trova, piccolo
guscio di noce di cui si sente il re) suggerirebbe fin dal titolo una
presentazione in chiave comico-grottesca del personaggio, di cui la regista ha
filmato ben 190 ore di vita, raggruppate poi in settantacinque minuti, che
Sgarbi stesso ha commentato definendolo un trailer
dell’opera a venire. Da far venire i brividi.
L’occhio muto della
telecamera, si sofferma con un montaggio frenetico e vertiginoso, che ben onora
lo stile di vita del suo soggetto, sui quei famosi atteggiamenti sgarbiani che
lasciano ancora scossi per la loro volgarità taluni ed esaltano altri
contribuendo a rendere Sgarbi un vero e proprio fenomeno mediatico nell’olimpo
del triste star-system italiano.
Le riprese, a “maglie
larghe” della Marelli, accolgono generosamente ogni momento della quotidianità
del critico, cercando di scoprire se quella degli scrosci d’insulti televisivi
e delle volgarità gratuite sia solo una maschera utile alla sopravvivenza nella
società dello spettacolo. Sotto questo aspetto si può dire che la giovane e
coraggiosa regista sia perfettamente riuscita a raggiungere il suo obiettivo e
a svelare l’arcano, mostrando come il ritratto che ci viene fornito dai mass media di Sgarbi non abbia,ahimè, nulla
di artificioso o costruito.
Il critico viene ritratto
come un esteta sensibile e viscerale, un amante, si potrebbe dire, capace di
passioni e moti nei confronti di un quadro come di una donna, di un libro o di
una pizza. Questo atteggiamento quasi
bulimico è in un certo qual modo nobilitato e motivato dallo stesso critico,
che afferma come la sua indubbia (onni)presenza derivi proprio da un costante –
e non sempre indispensabile – tentativo di essere
a ogni possibile pubblico evento. Sgarbistan
è quindi un’opera ibrida, a metà strada tra l’agiografia, il film comico, la
parodia e il reality show – di cui,
non si dimentichi, Sgarbi è il nume tutelare.
Il dubbio che se ne trae
è che il critico ferrarese sia così profondamente immerso nel mondo dell’arte
da non riuscire più a distinguere il confine con la vita, facendo della sua privata
esistenza – posta che ancora ne esista una – , uno spettacolo grottesco e
certamente non necessario.
Se da un punto di vista
filmico-documentaristico la Marelli ha dimostrato un’ineguagliabile e del tutto
immotivato coraggio nel scegliere di tallonare Vittorio Sgarbi in lungo e in
largo per l’Italia; il suo prodotto trova una giustificazione solo nel brio e
nel flusso incessante d’immagini e situazioni in cui il suo soggetto viene a
trovarsi.
Erica Belluzzi
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