sabato, dicembre 31, 2011

I film del 2011

Come ogni anno anche I cinemaniaci si concedono il gusto di un consuntivo la cui finalità non è quella di indicare i migliori film dell'annata ma quelli che per qualche ragione sono rimasti impigliati nella rete insondabile del nostro immaginario...pubblicando la propria chi scrive spera di suscitare una voglia di condivisione di cui tutti noi saremo certamente lieti...Buon Anno e soprattutto buon cinema a tutti.

  1. Biutiful (Alejandro Gonzàles Inàrritu)
  2. The Artist (Michel Hazanavicius)
  3. Il debito (John Madden)
  4. X - Men: L'inizio (Matthew Vaughn)
  5. Una separazione (Asghar Farhadi)
  6. Il cigno nero (Darren Aronofsky
  7. Source Code (Duncan Jones)
  8. L'ultimo terrestre (Gian Alfonso Pacinotti)
  9. I guardiani del destino (Geoge Nolfi)
  10. Corpo Celeste (Alice Rohrwacher)
Miglior regia:

Asghar Farhadi ("Una separazione")

Miglior attore:

Kim Rossi Stuart ("Vallanzasca")

Miglior attrice:
Carey Mulligan (“Non lasciarmi”)

Miglior attore non protagonista:

Michael Fassbender ("X-Men: L'inizio")

Miglior attrice non protagonista:

Jessica Chastain ("Il debito")

Miglior fotografia:
Emanuel Luzbecki ("The Tree Of Life")

Cult personale:

Tournée (Mathieu Amalric)


(nickoftime)



giovedì, dicembre 29, 2011

Film in sala dal 30 dicembre 2011

Aguasaltas.com
(Aguasaltas.com)
GENERE: Commedia
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: Portogallo
REGIA: Luís Galvão Teles
CAST: João Tempera, María Adánez, Isabel Abreu, Marco Delgado, Margarida Carpinteiro, José Eduardo

mercoledì, dicembre 28, 2011

COURMAYEUR NOIR FESTIVAL 2011 (5-10 dicembre)

COURMAYEUR NOIR FESTIVAL 2011 (5-10 dicembre)
dai piedi del Monte Bianco il resoconto del Courmayeur Noir Festival 2011 dal nostro (congelato) inviato Fabrizio Luperto.

La giuria internazionale per il cinema, del Courmayeur Noir Fest 2011 composta da Lawrence Block (presidente, Stati Uniti), Carolina Crescentini (attrice, Italia), François Guérif (editore, Francia), Vinicio Marchioni (attore, Italia) e Antonello Grimaldi (regista, Italia), ha attribuito i seguenti premi:

LEONE NERO PER IL MIGLIOR FILM
Hodejegerne - Headhunters di Morten Tyldum (Norvegia, Danimarca, Germania)

PREMIO PER LA MIGLIORE INTERPRETAZIONE
Jean-Pierre Darroussin in De Bon Matin - Early One Morning di Jean-Marc Moutout (Francia, Belgio)

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA
Hashoter - Policeman di Nadav Lapid (Israele)

RECENSIONI

Hodejegerne - Headhunters (miglior film) di Morten Tyldum

Roger è il cacciatore di teste più famoso e ben pagato di Norvegia.
All'apparenza ha tutto ciò che potrebbe desiderare.
Vive in una casa lussuosa, è sposato con la stupenda gallerista Diana, che ricopre di costosissimi regali.
In realtà conduce un tenore di vita che non potrebbe permettersi e per questo motivo ruba e contrabbanda opere d'arte.
Durante un vernissage, la moglie Diana presenta al marito un alto dirigente di una multinazionale dell'elettronica, tale Clas Greve, che si scopre essere possessore di un prezioso quadro.
Con il pretesto di offrigli un lavoro, Roger avvicina Clas, scopre dettagli importanti della sua vita e organizza il furto.
Ma niente è come sembra e quando Roger entrerà nella casa di Clas per rubare il prezioso dipinto scoprirà qualcosa di inaspettato che cambierà la sua vita.
Il vincitore del Leone Nero 2011 è un film che lascia senza fiato per tutti i 100 minuti della durata.
Un classico film di genere che però lascia spazio anche a sprazzi di comicità (voluta).
La trama è interessante e ben scritta, gli interpreti convincenti e contribuiscono con la loro interpretazione a tenere alta la suspence.
L'ambientazione nord europea, siamo nella gelida Norvegia, con i suoi laghi e i boschi infiniti conferisce al tutto un ulteriore apprezzabilissima atmosfera misteriosa.
Sia chiaro, niente di nuovissimo (altrimenti non sarebbe un film di genere) una lotta cacciatore-preda dove chi perde muore, ma con una prima parte avvincente e ben orchestrata che stuzzica la curiosità dello spettatore.
Unico neo, un finale poco credibile, non nel risultato ma nella messa in atto, alquanto complicata e realizzata a tempo di record.
Adattamento del romanzo omonimo di Jo Nesbo.
Secondo quanto annunciato durante la cerimonia di premiazione, dovrebbe essere distribuito in Italia dalla
Mediterranea Productions.
Previsione personale: Un belloccio, una diva hollywoodiana, un paio di botti, un'ambientazione metropolitana e Hodejegerme sarà uno dei prossimi remake americani.


De Bon Matin - Early One Morning (miglior interpretazione) di Jean-Marc Moutout

Come tutte le mattine Paul, cinquantenne funzionario di banca, si reca sul suo posto di lavoro presso la Banca Internazionale del Commercio e della Finanza.
Una volta entrato in banca estrae una pistola e uccide due suoi superiori.
In attesa che arrivi la polizia, Paul ripercorre gli eventi che lo hanno spinto ad uccidere.
Iniziamo subito col dire che il protagonista di questo film, vincitore del premio come miglior interprete è Jean-Pierre Darroussin, ovvero l'interprete del famigerato commissario Monet in Miracolo a Le Havre di Aki Kaurismaki, in questi giorni sugli schermi italiani.
De Bon Matin è un film che gioca tutte le sue carte sul tempo sospeso, ovvero il lasso di tempo che intercorre tra l'omicidio e l'arrivo della polizia.
Tempo che il protagonista utilizza per mettere insieme frammenti della sua esistenza, che porteranno lo spettatore a capire il perchè di tanta violenza.
Scopriremo pian piano che vita famigliare conduce il protagonista, chi è veramente, cosa è successo sul posto di lavoro, i rapporti con colleghi e superiori.
Noir di buona fattura, come nella miglior tradizione francese, forse troppo lento nella parte centrale, ma che ha il merito di evidenziare paure e stati d'animo degli individui in questo preciso momento storico, segnato dalla grande crisi economica.


*************

Le proiezioni pomeridiane del festival erano dedicate alla sezione Mini Noir, film rivolti ad un pubblico giovane.
Tra i titoli più importanti spiccavano Arthur e la guerra dei due mondi di Luc Besson (uscita italiana 23 dicembre) e L'incredibile storia di Winter il delfino di Charles Martin Smith.
Le proiezioni hanno avuto un discreto successo, con buona partecipazione di giovani e scolaresche.
Queste proiezioni, per ovvii motivi anagrafici, non sono state frequentate dal sottoscritto, che dedicava le ore pomeridiane alla sezione letteratura o alla auto-somministrazione di bevande calde o dall'elevato tasso alcolico per sopperire alla temperatura rigida.
Venerdi 9 dicembre, nell'attesa dell'incontro con lo scrittore Antonio Scurati che avrebbe commentato la sua ultima fatica letteraria, La Seconda Mezzanotte, venivo irresistibilmente attratto dal mini noir in programma nel primo pomeriggio.
Il film in questione era LA VILLA DI LATO (IL FILM) diretto e interpretato dall'abruzzese Maccio Capatonda, nome d'arte di Marcello Macchia, che in passato ha realizzato dei trailer surreali per i programmi televisivi della Gialappa's.
Nella villa-hotel "quasi" maledetta gestita dalla famiglia Di Lato, i defunti non risorgono e le maledizioni non avvengono.
Questo perché la villa, per errore dell'architetto, è stata costruita "di lato" e non sopra al vecchio cimitero bulgaro-indiano che avrebbe garantito un tasso di maledizione più elevato.
LA VILLA DI LATO (IL FILM) è forse una delle più belle sorprese di questo festival.
Una produzione poco più che artigianale, con un' unica location, nata come web series che conduce a 60 minuti di risate frutto di trovate esilaranti e idee geniali, con Capatonda mattatore assoluto circondato da comprimari ben assortiti.
Unico appunto, cosa ci faceva nella sezione dedicata ai bambinanti?

lunedì, dicembre 26, 2011

Il principe del deserto

IL PRINCIPE DEL DESERTO
regia di Jean-Jacques Annaud


Autore di un cinema d'esportazione nel senso più lato del termine per aver ambientato tutti i suoi film lontano dai luoghi natii, Jean-Jacques Annaud si è spesso confrontato con il mistero di civiltà sideralmente lontane sia dal punto di vista antropologico ("La guerra del fuoco", 1981) che culturale ("Sette anni in Tibet",1997).
E pur nell'ambito di queste scelte in cui il contesto realistico è rimasto sempre il paramentro fondamentale delle sue costruzioni cinematografiche, Annaud ha portato le sue storie a cavalcare le praterie di una fantasia esplicata soprattutto nel gusto del racconto tout court, quello capace di trasportare lo spettatore in un altrove dove i punti di riferimento comuni vengono ridisegnati alla luce di nuove forme di linguaggio ("Two Brothers", 2004), e di prospettive ("l'Orso",1988).

Caratteristiche che in parte ritroviamo anche nel suo nuovo film, ambientato nell'Arabia degli inizi del novecento, con il petrolio sul punto di scatenare una nuova corsa all'oro da parte del mondo occidentale, disposto a qualsiasi cosa pur di assicurarsi la disponibilità della nuova ricchezza.

Un punto di non ritorno osteggiato da Amar, sultano di Salmaah, poco incline nei confronti di una ricchezza corruttrice ed estranea alla tradizione del suo popolo, e Nesib (Antonio Banderas), emiro di Hobelka, favorevole ad un' apertura modernista e commerciale. Situati in una specie di terra di mezzo che divide i due emirati, i giacimenti petroliferi diventeranno oggetto di una guerra cruenta e sanguinosa di cui il principe Auda, figlio di Amar, sarà ago della bilancia per la capacità di catalizzare le ragioni di una moltitudine troppo spesso umiliata ed offesa dalle ragioni del potere.

Girato più che altro in esterni, sugli sfondi di un paesaggio desertico che Annaud riesce a restituire in una magnificenza non alterata, "Il principe del deserto" è una produzione figlia di molti padri e per questo complicata dai tentativi di far quadrare i conti. Prodotto da Tarik Ben Ammar, un mecenate del cinema internazionale ma anche dalla Doha Film Insitute, il film pur privilegiando gli aspetti avventurosi e romanzeschi, concentrati soprattutto nella progressione psicologica e nelle azioni del giovane protagonista, inizialmente sottovalutato per il suo carattere mansueto e per la dedizione agli aspetti intellettuali della vita, e poi costretto, anche per l'uccisione del fratello destinato al trono, a diventare arbitro della storia, non può fare a meno di rimarcare le caratteristiche meticcie della sua natura: da una parte volendo esprimere un punto di vista che vuole essere fortemente interno alla cultura di cui sta parlando e che per questo esclude quasi del tutto la presenza e il peso di ciò che è esterno ad essa - i pionieri venuti dall'America restano figure sulle sfondo e senza alcuna voce in capitolo -, dall'altra evocandolo alla maniera delle produzioni che si rivolgono ad un mercato globale, e che per questo hanno bisogno di una riconoscibilità diretta e popolare.

Così, piuttosto che trovare soluzioni autoctone più adatte alla credibilità della storia, il film preferisce affidarsi al glamour poco realista di un cast internazionale che, a parte Tahar Rahim ("Il profeta", 2009) fisiognomicamente adatto alla figura di Auda, prevede tra gli altri Banderas, qui al suo secondo ruolo "orientale" dopo quello da lui interpretato ne "Il 13° guerriero" (1999), e Freida Pinto, ancora una volta nei panni di una donna, la promessa sposa del principe, sottomessa alla volontà maschile.

Un'ambiguità che sembra riversarsi anche sulla figura del protagonista, chiamato soprattutto nella parte centrale, quella in cui il desiderio di riscatto verrà messo a dura prova da una spedizione ai limiti della sopravvivenza, a recitare il ruolo dell'eroe ma che poi, alla luce di una storia di fatto indecisa sulla via da seguire (tradizione o modernità), sembra lasciarsi prendere da una mancanza di carattere che nuoce ad un film bisognoso invece di una figura in grado di fargli prendere definitivamente quota.

Alla fine la sensazione è quella di un prodotto in cui il committente conta più dell'esecutore: Annaud da parte sua ci mette un mestiere che riesce a fare a meno del computer. Il resto è strategia di marketing.

(pubblicata su ondacinema.it)

sabato, dicembre 24, 2011

Auguri di Buon Natale e di Buon 2012!

Tanti auguri da tutta la redazione de "I cinemaniaci" per un S. Natale sereno ed uno strepitoso 2012 pieno di buon cinema!!

Buone Feste




venerdì, dicembre 23, 2011

Sherlock Holmes: gioco di ombre

Sherlock Holmes: gioco di ombre
regia di Guy Ritchie


Kiarostami ne teorizzò l'importanza per ovviare ad una messinscena altrimenti immota. Stava girando "Dieci" ed il film aveva come unico motivo di interesse le conversazioni di una decina di personaggi alternativamente all’interno di una macchina che procedeva lungo le strade di Teheran.
Il veicolo, con il suo moto era lo stratagemma per movimentare un quadro altrimenti paralizzato da quei dialoghi.

Anche lui, certamente non un cultore del cinema dinamico si poneva il problema di adeguare la fruizione del suo film ad un pubblico immerso ogni giorno in una realtà in continuo divenire e quindi poco propenso ad un disegno che si presentasse sempre uguale a se stesso. In quel caso si trattava di dare forma ad una sostanza che era pregnante, densa, ma a basso contenuto cinetico, renderlo insomma vicino all’idea di un cinema commercializzabile.

Al contrario Guy Ritchie è un tipo che non si è mai fatto pregare in quanto a movimento e da quando siamo stati abituati a frequentarlo non c’è mai stato un momento in cui non abbia infarcito le sue torte con ritmi scoppiettanti ed accelerazioni al fulmicotone, sia in senso temporale, quando era necessario riportare in luce dettagli utili alla comprensione della trama, che spaziale, con l’intento di sciorinare le qualità balistiche ed acrobatiche dei suoi antieroi, oppure ad arrovellarla ancor di più, con l'aggiunta di particolari sempre nuovi, un accumulo di dati che riproducevano una modernità in overdose di messaggi.

Erano i tempi di "Lock e Stock", ma anche di "Snatch". L'artista era ancora affamato di successo a di quattrini che cercava di rincorrere con un pulp adeguato alla ruvida guasconeria di un proletariato inglese emancipato dalle depressioni dei vari Loach e Leigh ed intento ad esorcizzare le proprie sventure con lo sberleffo di una risata un po’ sguaiata.

Poi c'è stata Madonna, qualche film improbabile, ed infine un ritorno da figliol prodigo con il restyling di Sherlock Holmes e delle sue avventure; a lui il compito di mantenere la materia all’interno della tradizione, rinnovandola con lo stile consumistico del mangiatore di pop corn, abituato a non mettere mai in dubbio la giustezza e l’invincibilità del suo eroe.

Sherlok e Watson diventano come Batman e Robin: una coppia di eroi in marsina e doppio petto, talmente affiatati e così poco propensi alla compagnia femminile da far sorgere il sospetto di un inciucio che va oltre l’amicizia.

Una scommessa riuscita al primo colpo più per la sorpresa della confezione - Holmes impegnato in combattimenti alla "Matrix" è certamente cosa fuori dall'ordinario - che per la novità della proposta, in pratica ricalcata sulla miriade di film d'avventura e di supereroi dell'ultimo decennio.
Un gran uso del digitale e l'impiego di attori normalmente abituati a cose ben più serie.

Ci si poteva accontentare se Hollywood non fosse prima di tutto una macchina pensata per far soldi e quindi poco propensa a non replicare un prodotto che funzioni.
Anche quando le idee stanno a zero e l'unica cosa si cui contare è la presenza di un cast all star, almeno per quanto riguarda i personaggi principali.

E Guy Ritchie, ovviamente, l’uomo giusto al posto giusto se si tratta di confondere l’inconsistenza della sostanza con la ginnastica delle immagini.

Robert Downey quindi, seppur indurito nei tratti dagli anni e dalla dieta e sempre meno capace di fare a meno del suo sguardo spiritato, e Jude law, eternamente impettito a ribardire le stimmati della terra d'albione.
Loro e sempre al centro della scena e tutt'intorno un gran bailame di rumori, esplosioni e cambiamenti di location a ricreare di volta in volta un nuovo scenario, dalla Francia alla Svizzera, dalla città alla natura più selvaggia, per ricominciare sempre da capo, perennemente alla ricerca di qualcosa che è sfuggito per un pelo.

La caccia ad un avversario la cui organizzazione ricorda quella di Al Qaeida per il continuo ricorso ad un terrorismo senza volto ed organizzato su scala internazionale con intenti di sconvolgimento geopolitico (questa volta si rischia addirittura la guerra che di lì a poco sarebbe stata quella della prima guerra mondiale) diventa un film ad episodi, ognuno dei quali ricalcato su quello precedente, dove nulla succede se non quello esibito in sede di regia dal buon Ritchie.

E' la sua continua ricerca di stordimento, quel non concedere neanche un minuto alla riflessione dello spettatore accompagnandolo per filo e per segno lungo la corsa agli ostacoli con decostruzioni che non ci fanno mai dimenticare l’intelligenza e la paziente fedeltà del suo assistente, ad essere il vero motivo d'attrazione.
Virtù che una volta potevano anche stupire perchè messe in scena con le magie del digitale, ma che ora qualunque tecnico sarebbe in grado di riprodurre.

Per l'avventura quella vera forse bisognerà aspettare ancora del tempo, forse la nascita di un nuovo Spielberg, chissà. Intanto il pubblico dimostra di gradire almeno leggendo i responsi del botteghino.

Ad Hollywood hanno avuto ragione un'altra volta. Una nuova trilogia è molto probabile.

giovedì, dicembre 22, 2011

Film in sala dal 23 dicembre 2011

Il magico Natale di Rupert
(Il magico Natale di Rupert)
GENERE: Fantasy
ANNO: 2004
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Flavio Moretti

Arthur e la Guerra dei Due Mondi
(Arthur 3 La guerre des deux mondes)
GENERE: Animazione, Fantasy, Avventura
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Luc Besson

Capodanno a New York
(New Year's Eve)
GENERE: Commedia
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Garry Marshall

Emotivi anonimi
(Les émotifs anonymes)
GENERE: Commedia
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: Belgio, Francia
REGIA: Jean-Pierre Améris

Il figlio di Babbo Natale

GENERE: Animazione
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna, USA
REGIA: Sarah Smith

Il principe del deserto
(Black Gold)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Jean-Jacques Annaud

venerdì, dicembre 16, 2011

29° TFF - Reportage di Parsec, Fabrizio e Carmen







2° parte






Film in concorso



50/50 (Usa 2011)

Regia: Jonathan Levine

ad un giovane ragazzo (J.G.Levitt) viene diagnosticata una rara forma di cancro, affronterà la terapia con il sostegno del suo migliore amico (Seth Rogen) della mamma apprensiva (Angelica Houston) e della psicologa (Anna Kendrick).

Terzo lungometraggio del 35enne newyorkese Levine - dopo All the boys love Mandy Lane e The Wackness - nonostante il tema drammatico il film ha i toni della commedia con momenti molto toccanti e altri molto divertenti, Seth Rogen vulcanico e lungimirante si conferma un

bravo attore e soprattutto un acuto produttore. Il film - che ha ricevuto il premio del pubblico - è già doppiato e pronto per la distribuzione nei circuiti commerciali (peccato per la voce italiana di Seth Rogen che non restituisce il vocione originale del simpatico attore).

Jonathan Levine al termine della proiezione racconta come sono andate le cose riguardo alla storia e alla produzione:

si tratta di un momento autobiografico dell’autore dello script, Will Reiser, che si ammalò di cancro all’età di 20 anni, a quel

tempo il suo miglior amico era proprio Seth Rogen il quale in seguito incoraggiò lo stesso Reiser a scrivere della sua esperienza. Grazie alla presenza di Seth Rogen nel progetto relativamente low budget è stato più facile trovare i soldi e fare il film.

Sul film:

il regista afferma che non è stato poi così difficile come poteva sembrare trovare un equilibrio tra l’aspetto drammatico e quello più leggero, perché è qualcosa che rispecchia comunque la vita reale. Negli states c’è un po’ la tendenza a realizzare o un film triste o una commedia, a Levine invece è piaciuto combinare questi due elementi, affrontare un tema drammatico e parlare di cose tristi in modo divertente. Nello script inoltre era già presente l’equilibrio tra dramma e aspetti comici e c’è stato un incontro di affinità tra lui, Seth Rogen e Will Reiser con i quali all’inizio del progetto hanno discusso dei film di Hal Ashby, Cameron Crowe e James Brooks che avevano già affrontato e realizzato ottimamente le stesse idee.

Sulla location:

Il film ambientato a Seattle è stato in realtà girato a Vancouver per ragioni economiche. La scelta iniziale di ambientare la storia a L.A. - l’idea era quella di creare un forte contrasto tra la condizione di profonda tristezza del protagonista e una città luminosa e calda in cui splende sempre il sole - è stata abbandonata per evitare confronti con“Funny people”di Judd Appatow, un film il cui soggetto è simile a 50/50 e in cui Seth Rogen è di nuovo co-protagonista. Inoltre hanno optato per Seattle perché c’è un interessante fermento culturale e lavorativo giovanile che creava senso con la storia.

Su Angelica Houston:

la adora da sempre e in particolare per il suo lavoro con Wes Anderson - i Tenenbaum e The Life Aquatic - in questo ha portato molto di se stessa a causa del suo recente lutto - suo marito è morto sei mesi prima dell’inizio delle riprese - come regista è stato straordinario averla sul set per il contributo che ha dato al film sia dal punto di vista umano che professionale, per le emozioni che ha saputo esprimere e per gli aneddoti su suo padre (John Houston) che spesso raccontava.

Parsec

...............................................................................................................................................................

GANJEUNG (Corea del Sud 2010)

Regia: Park Su-min

Un ex poliziotto è ossessionato dal suo passato di torturatore di comunisti.

Per trovare conforto, grazie all'aiuto di una donna, cerca di avvicinarsi alla fede. Tutti i suoi sforzi si riveleranno inutili, specie quando la sua amica verrà assassinata dal giovane nipote.

Sofferenza interiore, voglia di riappacificazione, desiderio di pace.

Il regista sa bilanciare con maestria momenti delicati e passaggi ruvidi e violenti come nella migliore tradizione coreana.

A Park Su-min non importa riflettere sull’esistenza di Dio, o sulla sua assenza, che poi è il messaggio che trasmette questa pellicola, ma piuttosto riflettere su chi e soprattutto come, si riesca a raggiungere la pace interiore grazie all'incontro con Dio e superare la vergogna per aver commesso violenze e torture.

Un film dove vince il rimorso e l'incomunicabilità perché Dio non può dare giustizia, la violenza si.

Fabrizio L.

-------------------------------------------------------------------

...a seguire terza parte

29° TFF - Reportage di Parsec, Fabrizio e Carmen

1° parte


Nove giorni di immersione nel cinema-cinema, quello del TFF che come da tradizione lascia pochissimo spazio a star e starlette per concentrarsi sui film e le esigenze dell'affezionato pubblico che di anno in anno rinnova e decreta il successo della manifestazione diretta da Gianni Amelio.

Un programma ricchissimo che oltre al concorso proponeva la retrospettiva su Altman, omaggiava Sion Sono e la biondissima Dorian Gray, recentemente scomparsa.

Ricco anche il panorama delle anteprime con Mientras Duermes di Balaguerò, l'horror di Fresnadillo The Intruders, il nuovo di Woody Allen e la biografia rock di George Harrison di Martin Scorsese.

Direttamente dal 29° Torino Film Festival il report degli inviati sul campo de I Cinemaniaci

Premi

Miglior Film: A Annan Veg/Either Way di Hafsteinn Gunnar Sigurdsson (Islanda 2011)

Premio Speciale della Giuria: Ex aequo 17 Filles/17 ragazze di Delphine e Muriel Coulin (Francia 2011) e Tayeb, khalas, yalla/Ok, enough, goodbye di Rania Attieh e Daniel Garcia (Emirati Arabi Uniti/Libano 2011).

Miglior Attore: Martin Compston per Ghosted di Craig Viveiros (Regno Unito 2011).

Miglior Attrice: Renate Krossner per Vergiss dein ende/Way home di Andreas Kannengiesser (Germania 2011).

Giuria

Jerry Schatzberg (Presidente, USA), Michael Fitzgerald (USA), Valeria Golino (Italia), Brillante Mendoza (Filippine) e Hubert Niogret (Francia).

...................................................................................................................................................

Film in concorso

WIN WIN - MOSSE VINCENTI (Usa 2011)

Regia: Tom McCarty

Mike (Paul Giamatti), è un avvocato con il conto in rosso che nel tempo libero fa l'allenatore di una squadra di giovani lottatori.

Per sbarcare il lunario, senza rivelare nulla alla moglie Jackie (Amy Ryan), decide di assumere la custodia di Leo (Burt Young) per intascare l'assegno mensile pari a 1500 dollari.

Un giorno si presenta Kyle ( Alex Shaffer ), tormentato e problematico nipote dell'anziano, in fuga dalla madre tossicodipendente (Melanie Linskey).

Kyle si rivela essere un ottimo lottatore, e risolleverà le sorti della debolissima squadra allenata da Mike.

Ma quando la madre di Kyle, uscita dalla clinica per tossicodipendenti raggiungerà il figlio e il padre la vita della famiglia di Mike verrà sconvolta e gli eventi faranno precipitare l'avvocato in una situazione molto pericolosa per il suo futuro professionale.

Mosse Vincenti è forse l'ennesimo film sui quarantenni incapaci di gestire le difficoltà, mai abbastanza maturi per affrontare le situazioni difficili e che si rifugiano con entusiasmo bambinesco in cose apparentemente futili.

Il regista è bravo ad immergerci nella provincia americana, a delineare le psicologie dei personaggi e confezionare una buona commedia amara, ma il suo lavoro, in alcuni tratti manca di anima e soprattutto dinamicità, ovvero, tutto quello che lo spettatore si aspetta, accade puntualmente.

Ottimo, come sempre, Paul Giamatti.

Fabrizio L.

......................................................................................................................

LE VENDEUR (Canada 2011)

Regia: Sèbastien Pilote

Michel, è un vedovo vicino alla pensione che vive in Quebec e lavora con successo presso una concessionaria di automobili.

Il lavoro lo assorbe quasi completamente, unici momenti di svago, sono quelli che trascorre con la figlia e il nipotino.

Vite piatte, senza alcuno slancio, sguardi che si incrociano ma che non si incontrano, conoscenti ma non amici e tanti dettagli a raccontare una comunità che non può dirsi veramente tale.

Solitudine, rabbia, impotenza, la discesa all'inferno di una intera comunità raccontata con una certa grazia, ma infarcita da una inutile ruffianeria in fase di scrittura.

Fabrizio L.


..........................................................................................................................................

VERGISS DEIN ENDE (Germania 2011)

Regia: Andreas Kannengiesser

Hannelore, cura amorevolmente il marito gravemente malato.

In un momento di disperazione abbandona il marito e segue il misterioso vicino di casa sino ad una sperduta casa che si trova sul Mar Baltico.

Ad occuparsi del marito resta il figlio della coppia, ovviamente impreparato ad affrontare la situazione.

Stati d'animo che si sovrappongono per una storia cupa raccontata con mano delicata.

Il regista pur non privandoci di alcune scene piuttosto forti, non affonda i colpi, quasi a voler rispettare il dolore dei protagonisti.

Grande prova della protagonista Renate Krossner, giustamente premiata dalla giuria.

Fabrizio L.

--------------------------------------------------------------------------------------

....segue seconda parte

giovedì, dicembre 15, 2011

Film in sala dal 16 dicembre 2011

Finalmente la felicità
(Finalmente la felicità)
GENERE: Commedia
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Leonardo Pieraccioni

Il Gatto con gli stivali
(Puss In Boots)
GENERE: Animazione
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Chris Miller

Le Idi di Marzo
(The Ides of March)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: George Clooney

Sherlock Holmes - Gioco di ombre
(Sherlock Holmes: A Game of Shadows)
GENERE: Azione, Giallo, Avventura
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Guy Ritchie

Vacanze di Natale a Cortina
(Vacanze di Natale aCortina)
GENERE: Commedia
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Neri Parenti

lunedì, dicembre 12, 2011

Real Steel- Cuori d'acciaio

"Real Steel" è un film circoscritto all'interno di un universo maschile. Anche il robot, Atom, nelle sue caratteristiche morfologiche e di potenza non sembra fare eccezione. Con lui ci sono un padre ed un figlio, costretti a condividere la vita dopo l’improvvisa morte della madre. Amore a tempo determinato, quanto basta per aspettare il ritorno dei parenti, al quale il piccolo è stato affidato per indisponibilità paterna. A rompere gli indugi la necessità di guadagnarsi da vivere attraverso gli incontri di Robot boxe, la disciplina che nel 2020 ha sostituito gli esseri umani con le macchine. Ad attenderli ci sarà addirittura la scalata al titolo mondiale, con la possibilità di affrontare l’invincibile detentore.
Costruito su una progressione che assomiglia ad un videogioco, con difficoltà destinate a crescere con il passare dei minuti, e caricato di un immaginario che fa coincidere il riscatto sportivo con quello personale, alla maniera di film come Rocky ed ancor più Over the top - ricordato da vicino non solo nella replica del contesto familiare, anche lì privato della figura materna, ma anche per le somiglianza tra i personaggi interpretati in questo da Hugh Jackman ed allora da Silvester Stallone - Real Steel aspira ad essere qualcosa di più rispetto ad un intrattenimento al passo con le mode del momento, quella dei robot mutaforme alla maniera dei Transformers.
Prodotto da Steven Spielberg ed ispirato ad un racconto di Tim Matheson (I’m legend), il film è in realtà un storia di formazione che, attraverso le difficoltà ed anche i pericoli che padre e figlio si troveranno ad affrontare, riesce a parlaci della precarietà dei rapporti familiari, ma anche della possibilità del singolo di cambiare la propria vita. Lasciando che lo spettacolo faccia il suo corso in maniera routinaria nei combattimenti che scandiscono la strada di avvicinamento all'incontro decisivo, il regista Shawn Levy si preoccupa di costruire un contraltare psicologico ed emozionale lavorando sulle performance attoriali e sull’empatia dei personaggi.
Ed è proprio la capacità di rendere credibile la progressiva presa di coscienza del padre rispetto alle proprie responsabilità, e nel bisogno d’amore soddisfatto dal bambino nel rapporto con il robot, da lui trasformato in un compagno di giochi - ad un certo punto la macchina da presa soffermandosi sul primo piano di Atom sembra quasi adombrare l'ipotesi di una coscienza - a ristabilire gli equilibri di un prodotto che accontenta anche il cuore. In questo senso il film riesce anche a supplire l’impiego ridotto della componente femminile ed in particolare di Evangeline Lilly, ancora alla ricerca di una dimensione cinematografica e qui impegnata in una performance ridotta a poche battute. Nulla a che vedere con quelle ben più corpose dei suoi colleghi, impegnati a dar fondo alle proprie risorse, anche fisiche, offerte dai rispettivi ruoli. Il finale lascia intendere ulteriori seguiti.
(pubblicata su Roma giorno e notte.it)

venerdì, dicembre 09, 2011

MOSSE VINCENTI

MOSSE VINCENTI
Trama: Mike, avvocato con famiglia a carico è in grossa crisi economica.
Mike (Paul Giamatti), è un avvocato con il conto in rosso che nel tempo libero fa l'allenatore di una squadra di giovani lottatori.
Per sbarcare il lunario, senza rivelare nulla alla moglie Jackie (Amy Ryan), decide di assumere la custodia di Leo (Burt Young) per intascare l'assegno mensile pari a 1500 dollari.
Un giorno si presenta Kyle ( Alex Shaffer ), tormentato e problematico nipote dell'anziano, in fuga dalla madre tossicodipendente (Melanie Linskey).
Kyle si rivela essere un ottimo lottatore, e risolleverà le sorti della debolissima squadra allenata da Mike.
Ma quando la madre di Kyle, uscita dalla clinica per tossicodipendenti raggiungerà il figlio e il padre, la vita della famiglia di Mike verrà sconvolta e gli eventi faranno precipitare l'avvocato in una situazione molto pericolosa per il suo futuro professionale.
Mosse Vincenti è l'ennesimo film sui quarantenni incapaci di gestire le difficoltà, mai abbastanza maturi per affrontare le situazioni difficili e che si rifugiano con entusiasmo bambinesco in cose apparentemente futili, con l'aggiunta, attualissima, della crisi economica in cui ogni mezzo per racimolare denaro indirizza le relazioni tra le persone.
Thomas McCarthy è tra i registi indie americani più talentuosi ed è bravo ad immergerci nella provincia americana, a delineare le psicologie dei personaggi e confezionare una buona commedia amara, ma il suo lavoro, in alcuni tratti, manca di anima e soprattutto dinamicità, ovvero, tutto quello che lo spettatore si aspetta, accade puntualmente.
Ottimo, come sempre, Paul Giamatti.
In concorso al 29° Torino Film Festival.

giovedì, dicembre 08, 2011

Film in sala dal 9 dicembre 2011

Almanya - La mia famiglia va in Germania
(Almanya - Willkommen in Deutschland)
GENERE: Commedia
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: Germania
REGIA: Yasemin Samdereli

Ligabue - Campovolo 2.0
(Ligabue - Campovolo 2.0)
GENERE: Documentario, Musicale
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA:

Cambio vita
(The Change-Up)
GENERE: Commedia
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: David Dobkin

Mosse vincenti
(Win Win)
GENERE: Commedia, Drammatico
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Thomas McCarthy

The Artist
(The Artist)
GENERE: Commedia, Drammatico, Sentimentale
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Michel Hazanavicius

mercoledì, dicembre 07, 2011

1921- Il mistero di Rookford

1921- Il mistero di Rookford

Inizialmente la cosa più evidente è la distanza. Della protagonista, una donna che nasconde il proprio dolore in uno scetticismo pragmatico, fatto di impostori da smascherare e tesi da confutare – Florence è una cacciatrice di fantasmi - dai suoi interlocutori, faticosamente ma comunque calati anima e corpo nelle credenze da cui lei li vuole liberare, tra il paesaggio urbano della Londra di inizio 900 da cui prende le mosse la vicenda, e quello brumoso di Rookford dove si trova l’istituto per orfani in cui la protagonista cercherà di confutare la connessione tra la morte di un bambino e le apparizioni di una misteriosa presenza. Ma soprattutto nello iato tra la conferme inseguite da Florence con il pretesto dell’indagine e la verità che invece verrà a scoprire come conseguenza di quell’azione.

In mezzo, tra l’inizio e la fine c’è una ghost story sviluppata secondo i canoni del genere a cominciare dalla cornice in cui si svolge la vicenda, il countryside inglese tradizionalmente depositario di una cultura abituata a confrontarsi con il soprannaturale , d’altronde l’inventore del romanzo gotico Horace Walpole era proprio di quelle parti, l’ambientazione, una haunted house identificata con la residenza di un antica e nobile famiglia inglese, corredata di tutti gli accessori del caso, dal fantasma opportunamente dilazionato per meglio spaventare, agli interni dislocati in modo da conservare sempre una bella dose di mistero, ed un’eroina attrezzata di tutto punto – i marchingegni per acciuffare l’ineffabile disturbatore hanno la capacità di valorizzare una modernità d’altri tempi – e dal carattere di ferro, quasi un'antesignana della Ellen Ripley di "Alien"
Indispensabili per organizzare le spettacolo, questa caratteristiche non servirebbero allo scopo, in un film del genere riferibile esclusivamente al tasso di spavento ed adrenalina provocato allo spettatore, se in cabina di regia non ci fosse un regista capace di saperle amalgamare.
Ed è proprio l’equilibrio delle dosi, di ciò che appartiene al fantastico, nelle sue fantasmagoriche manifestazioni, e di quello che invece rappresenta il fattore umano, la costruzione psicologica dei personaggi ed il plausibile sviluppo delle loro azioni, ad assicurare il funzionamento di un film che è anche la storia di un umanità ripiegata in un dolore sordo e paralizzante.
Nick Murphy lavora in economia, un'unica location ed effetti speciali ridotti al minimo nell'intenzione di agire sull’inconscio dello spettatore, alternando la stilizzazione delle immagine (la fotografia desaturata con prevalenza di grigi e neri e la capacità di comporre l’inquadratura valorizzando il rapporto tra lo spazio e le figure) con riprese attaccate al volto della protagonista per restituirne le emozioni.
Per Rebecca Hall, attrice versatile ed alquanto sfumata, il ruolo di Florence potrebbe essere quello della definitiva consacrazione.

martedì, dicembre 06, 2011

MIRACOLO A LE HAVRE

MIRACOLO A LE HAVRE
regia di Aki Kaurismaki


Il lustrascarpe Marcel Marx (Andrè Wilms) vive di stenti con l'amata moglie Arletty (Kati Outinen) in un poverissimo quartiere di Le Havre.

Dopo il ricovero in ospedale della moglie, a cui viene diagnosticato un tumore, Marcel incontra l'impaurito Idrissa (Blondin Miguel) ,un ragazzino del Gabon fuggito dal suo Paese su un container per raggiungere la madre che vive a Londra.

Sapendo che il ragazzino è ricercato dalla polizia, Marcel decide di nasconderlo nella sua casa chiedendo l'aiuto degli altri abitanti del quartiere.

La denuncia di un vicino di casa metterà nei guai il generoso lustrascarpe.
Clochard, perdenti, diseredati, ultimi, taverne fumose, bar di periferia, squallide botteghe.

I personaggi e i luoghi del cinema tabagista ed alto tasso alcoolico del maestro finlandese tornano, dopo quasi un lustro, in questa pellicola ambientata in Normandia.

Il cinema splendidamente surreale di Kaurismaki vira sulla favola senza rinunciare a raccontare storie dense di dramma e solitudine con l'aggiunta (questa è la grande novità) della speranza.

Al centro del racconto ci sono gli argomenti classici del regista : il lavoro, lo sfruttamento, l’emarginazione, le lotte di classe, la povertà, la dignità degli ultimi.
La maturità e la consapevolezza linguistica di Kaurismaki, le geometrie che soffocano gli statici protagonisti nell'inquadratura e la stilizzazione estrema, impressionano per forza ed efficacia e fanno di Miracolo a Le Havre un film maturo e pregno di indignazione, che il regista finlandese racconta con tono sommesso, sguardo poetico e soprattutto senza traccia di buonismo.

Probabilmente con Miracolo a Le Havre, la maniera di fare cinema di Kaurismaki raggiunge l'esempio più alto; i dialoghi sono ridotti al minimo, i personaggi non hanno nessuna vigoria fisica e sono, se possibile, ancora più statici del solito, tanto da sembrare in parecchie inquadrature attori di fotoromanzi, con lo spettatore che attende da un momento all'altro la comparsa della nuvoletta con impressa la scritta della frase pronunciata.
Che a Kaurismaki questo mondo non piaccia granché e che riponga pochissima speranza nel genere umano è cosa risaputa, ma in questa pellicola, l'autore scandinavo lascia spazio alla speranza o meglio al miracolo.

Un miracolo (una rivoluzione) da affidare al suo protagonista (che non a caso si chiama Marx), e i suoi amici ,che pur passando ore a bere e fumare in squallidi bar, al momento opportuno, sanno benissimo con chi schierarsi senza tentennare un attimo, perfettamente coscienti delle sembianze del nemico.

Ovviamente imperdibile.












giovedì, dicembre 01, 2011

Film in sala dal 2 dicembre 2011

1921 - Il mistero di Rookford
(The Awakening)
GENERE: Horror, Thriller
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna
REGIA: Nick Murphy

Cani di paglia
(Straw Dogs)
GENERE: Thriller
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Rod Lurie

Il giorno in più
(Il giorno in più)
GENERE: Commedia, Sentimentale
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Massimo Venier

La cosa
(The Thing)
GENERE: Fantascienza, Horror
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Matthijs van Heijningen Jr.

Le nevi del Kilimangiaro
(Les neiges du Kilimandjaro)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Robert Guediguian

Lo schiaccianoci 3D
(The Nutcracker in 3D)
GENERE: Azione, Musical, Fantasy, Family
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna, Ungheria
REGIA: Andrei Konchalovsky

Midnight in Paris
(Midnight in Paris)
GENERE: Commedia, Romantico
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Woody Allen

Napoletans
(Napoletans)
GENERE: Commedia
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Luigi Russo