domenica, novembre 30, 2014

32TFF-MERCURIALES

Mercuriales
di Virgil Vernier
Francia, 2014
durata, 104'

Simbolo del boom economico anni '70 e totem decadenti della ferocia capitalistica e dei suoi danni collaterali, le due torri gemelle del Mercuriale dominano la banlieu sud di Parigi, sfigurata da un’urbanistica scellerata distante dal cuore delle persone che ci vivono.
Qui, con un’affascinate narrazione frammentata, dai ritmi di un diario personale fatto di monologhi interiori e deliri onirici, si dischiudono i tentativi di adattamento di Zouzou, addetto alla sicurezza delle torri, le speranze di Liza, giovane moldava appena arrivata a Parigi con un carico di fiducia, e di Joanne, ventenne parigina con velleità artistiche; una ricerca della felicità in fretta scoraggiata dalle regole di sopravvivenza imposte a forza dal moloch senza tempo dell’economia globalizzata che alla conquista della trasversalità uniforma gli standard dell’esistenza schiacciandoli sempre di più verso il basso.

Girato in 16mm e accompagnato da una musica elettronica che ricorda le atmosfere horror anni 80, Virgil Vernier al suo primo lungometraggio prodotto con la collaborazione del Torino FilmLAB, ritorna nei luoghi in cui è cresciuto e confeziona un film che ha l’effetto estraniante di un viaggio all’indietro nel tempo, rimanendo però nel qui e ora raccontando lo scenario di spaesamento intimo dei protagonisti, sovrapposto allo scenario di degrado comune a tutti gli hinterland del mondo, e lo fa essenzialmente discostandosi dal modo superficiale in cui i media riportano la cronaca di guerra delle periferie parigine, per parlare invece dell’altra violenza che le caratterizza, quella più sotterranea del degrado stesso che entra in vibrazione con l’anima degli esseri umani, verso una desertificazione delle speranze ed una cemetificazione dei sentimenti.

Durante un sogno notturno, con una sequenza di immagini di devastazione urbana, Liza ripete che tutto questo non è vero, che è solo un brutto sogno, è solo un incubo.
Ma alla fine, le sue paure si realizzano e prendono forma in un mostro meccanico dalle terribili fauci che divora nottetempo le case dove le ragazze cullavano sogni di felicità.
Parsec

sabato, novembre 29, 2014

32 TFF-THE DROP


The drop" 
regia di Michael R. Roska
Usa, 2014
genere, crime story
durata,107'




Bob è il barista di un locale - gestito dalla mafia cecena - che è solito essere deposito momentaneo di soldi sporchi delle gang locali.

Tra storie che vanno incrociandosi alla perfezione creando un ritmo assai serrato, "The drop" è un noir metropolitano dall'innegabile fascino costituito dai vari strati che lo costituiscono. In primis, come già accennavamo, quello che riguarda prettamente l'intrattenimento; in secondo luogo fondamentale è l'estetica di cui l'opera si fregia, con una fotografia abile a ritrarre situazioni e personaggi in tutte le proprie sfumature; come ultima osservazione - che, in definitiva, è il motivo per cui il film potrebbe essere più considerato rispetto ai cugini di genere - è l'apporto contenutistico, che si inoltra in riflessioni sulla natura umana di non poco conto.

Sarebbe tutto perfetto - anzi, verrebbe  quasi da dire al limite del capolavoro - se non fosse per gli ultimi dieci minuti che, dovendo giudicare il film nella sua interezza, abbassano, e di parecchio, il livello.
Antonio Romagnoli

32 TFF-WHAT WE DO IN THE SHADOWS

What we do in the shadows
di Jemaine Clement e Taika Waititi
New Zeland, 2014
durata, 85 min

Risate fragorose e applausi a scena aperta per il film più divertente di questa edizione del 32esimo TFF,
l’ironico mocumentary neozelandese sulla convivenza di quattro vampiri seguiti giorno e notte da una troupe televisiva,
alle prese con la suddivisione delle faccende domestiche e le piccole e grandi ambasce della vita quotidiana.
Un excursus di tutti i luoghi comuni sui vampiri, rivisti in chiave parodistica trattandone gli aspetti più prosaici che il cinema romantico più di moda sul genere non mostra mai,
una presa in giro del mito che ricondotto ad un contesto realistico si presta facilmente ad essere ridicolizzato con ritmo incalzante ed un susseguirsi di gag esilaranti che conducono ad un epilogo pacioso. Si continua a ridere anche alla fine dei titoli di coda, grazie ad un commiato in perfetto vampire style.
Parsec

32 TFF- INFINITELY POLAR BEAR


"Infinitely polar bear"
di Maya Forbes
con Mark Ruffalo, Zoe Saldana
USA 2014
durata, 88'
 
 

"Negli anni '60 era normale". Così viene giustificato, da parte della moglie, l'iniziale non prendere sul serio la bipolarita' maniaco/depressiva di Cameron, personaggio eccentrico protagonista della storia. E la smitizzazione dei favolosi anni '60 è solo uno dei tanti tratti che colora una commedia intelligente e scritta come più spesso dovrebbero essere scritti film di questo genere.
Accompagnata da una regia accorta a non dissacrarne i ritmi, "Infinitely polar bear" - titolo dato da uno svarione lessicale di una delle due figlie sul disturbo del padre - è un'opera di raro fascino che, senza far avvertire bruschi cambi, a tratti fa ridere di gusto, a volte assume toni semi-drammatici, a volte quasi commuove. Ma la peculiarità fondamentale - quindi vera riuscita del film - è che lascia in volto, ogni secondo, un sorriso che ne riassume ogni sfumatura.

venerdì, novembre 28, 2014

32 TFF PALE MOON

TFF '14
"Pale moon"
di Daihachi Yoshida
Giappone 2014
durata, 126'
 

Impiegata in banca, apprezzata dai colleghi  e con un matrimonio iper-ordinario alle spalle. Una vita che non lascerebbe mai intendere il complesso ritratto psicologico che muove la protagonista all'interno della vicenda.
Arzigogolandosi all'interno di una messa in scena perfetta e di un'ottima sceneggiatura - che ha l'unico difetto di protrarsi eccessivamente al momento dell'epilogo -, "Pale Moon" diventa un thriller ottimamente congegnato che ha i suoi reali punti di forza nei contenuti tanto quanto nell'intrattenimento.

"E' tutto finito" è il mantra/epigrafe esistenziale di Rika, che si abbandona serenamente alla visione del genere umano come inerme di fronte ad un'eterna condanna. Com'è condanna la routine del posto fisso - e Chinaski avrebbe qualcosa da dire in proposito -, è condanna il breve momento di felicità procurato dalla passione carnale e dai soldi rubati.
Il denaro, il lavoro, l'amore, il matrimonio, la passione, la beneficenza: tutto ciò che esiste è finzione. La libertà, che dell'esistenza è - o, perlomeno, dovrebbe essere - la massima espressione, diventa la più grande delle illusioni.
Antonio Romagnoli

PERFIDIA

Perfidia
di Bonifacio Angius
con Stefano Deffenu, Mario Olivieri, Noemi Medas 
Italia, 2014
genere, drammatico
durata, 100'


Pensiamo che una delle cose più importanti e difficoltose per un'opera cinematografica sia quella di riuscire a cogliere le caratteristiche più significative del proprio tempo, il famoso Zeitgest, per dirla in termini consoni a un festival come quello di Locarno, naturalmente predisposto a utilizzare idiomi appartenenti alla lingua tedesca.

Una peculiarità che appartiene a "Perfidia" di Bonifacio Angius, presentato quest'oggi nel concorso ufficiale. E questo non tanto per il processo di identificazione che la storia di un rapporto tardivo tra un padre e un figlio può innescare nella psicologia dello spettatore, catapultato per forza di cose all'interno di un'esperienza che gli appartiene in prima persona. Ma piuttosto per il fatto che il film di Angius, si svoltge all'interno di un orizzonte, umano e sociale, segnato da sentimenti che, in tempi di crisi conclamata, sono diventati parte integrante del nostro quotidiano. Ma c'è di più, perché la vicenda Peppino (uno straordinario Mario Olivieri), genitore e vedovo che si preoccupa per il futuro della propria prole, e di Angelo, suo figlio, trentacinquenne disoccupato e vinto da un'apatia che gli impedisce di scrollarsi di dosso il peso della propria insicurezze, è anche il punto di raccolta di un idea di cinema, morale e psicologico, che le figure dei due protagonisti rappresentano in una sospensione continua tra il passato e il presente del nostro paese. Una dicotomia che è propria del paesaggio (siamo a Sassari) in cui si muovo i personaggi, anonimo come lo è la modernità che attraversa gli spazii urbani, e antico, nella distanza geografica ed emotiva che il regista ci fa percepire nei discorsi degli amici di Angelo, popolati in maniera ossessiva dal mito del continente e delle sue infinite possibilità. Ma che appartiene anche al privato di una cultura patriarcale, dominata da modelli genitoriali oppressivi e castranti, che di fatto hanno impedito ad Angelo di crescere e di prendersi le proprie responsabilità. In questo senso sono significativi due piani sequenza che nella loro continuità tematica costituiscono il nucleo centrale del film. Nel primo, caratterizzato da toni idilliaci e sognanti, la soggettiva di Angelo che osserva i passi della ragazza di cui è innamorato viene bruscamente interrotta dall'entrata in campo del genitore che, alla guida di un automobile, gli nasconde l'agognata visuale e lo invita a non perdere tempo insieme ai suoi amici; nel secondo, che arriva quando oramai il destino è gia segnato, la decisione di Angelo di conoscere la ragazza coincide con il lento scivolamento della mdp che si lascia dietro la visione onirica di un quadretto famigliare che non esiste più, e si lancia fuori dal balcone per seguire i particolari di quel primo contatto. Un prima e dopo nel quale l'iniziazione fuori tempo massimo del protagonista e la conseguente indipendenza dal sostrato famigliare è pagata in maniera tanto imprevista quanto drammatica.

Una progressione che "Perfidia" racconta con stile classico, e con una grammatica che satura le possibilità del montaggio, con stacchi netti tra una scena e l'altra, quando si tratta di far percepire il senso di profonda alienazione di Angelo, e la percezione di un mondo che non riesce a comprendere, oppure dolci e sfumati quando da spazio al mondo ideale che il protagonista si è nel frattempo costruito. Organizzato in modo circolare, con il pre finale che ritorna alla scena iniziale ambientata sul margine di una veduta marina, e con la sequenza conclusiva che dimostra l'ineluttabilità di un peccato originale, annunciato in apertura dai pensieri di Angelo (informati a un dogma religioso personale e ingenuo, e usato come sistema per decodificare il reale) a proposito della sua presunta cattiveria, "Perfidia" è un'opera seconda (dopo "Sagrascia") coraggiosa e disturbante, bene interpretata, e in cui le ingenuità sono il certificato di una genuinità che ci auguriamo di rivedere presto all'opera.
(pubblicata su ondacinema.it)

mercoledì, novembre 26, 2014

32 TFF- FOR SOME INEXPLICABLE REASON

For Some Inexplicable Reason
di Gabor Reisz
Ungheria, 2014
durata, 

Voce narrante fuori campo, improvvise riprese al rallentatore, momenti musicali di grande leggerezza, personaggi che parlano di se stessi guardando direttamente in macchina, 
restituiscono in modo vibrante e coinvolgente lo stato d’animo di Aron, timido ventinovenne ungherese laureato in storia del cinema alle prese con il dolore per essere stato lasciato dalla fidanzata e in profonda crisi esistenziale per un sofferto “coming of age”.
Riluttante ad approdare all’età adulta ed in conflitto con il desiderio di tagliare il cordone ombelicale dai genitori iperprotettivo, si ritrova incidentalmente ad intraprendere un viaggio che potrebbe rappresentare la svolta per il suo affrancamento emotivo. Nel frattempo, monologhi stralunati, gli amici di sempre, la città attraversata a piedi in un ellittico piano sequenza giorno-notte.
Ritmo e freschezza sono le doti di questa opera prima che instaura da subito una connessione emozionale con lo spettatore con trovate divertenti ed un tema musicale accattivante - impossibile non canticchiarlo alla fine della visione - ed un protagonista dalla tenerezza irresistibile.
Molto americano e poco ungherese, film divertente, assolutamente consigliato per il buonumore. Bellissima la sequenza sui titoli di coda.
parsec

32 TFF- THE DUKE OF BURGUNDY

The Duke of Burgundy
di Peter Strickland
con Sidse Babett Knudsen, Chiara D'Anna, Monica Swinn
UK, 2014
durata 

In un luogo ed un tempo volutamente impossibili da contestualizzare, si racconta di due donne e della loro passione per parlare in modo autoironico dell'ossessione per il controllo come anima e spina dorsale del fare cinema.
 
Richiamando alla memoria per l'uso del colore le atmosfere sensuali del cinema erotico anni settanta,
il luogo non-luogo e il tempo non-tempo sono privi di automobili senza sembrare antichi, e senza che si noti l'assenza del genere maschile sono popolati da sole donne, immerse in un naturalismo un po' fantasy da villaggio medievale, dove le protagoniste trascorrono le giornate tra ambienti di decadente bellezza dalle vaghe architetture patrizie, dedite allo studio meticoloso delle farfalle - hobby coltivato individualmente e condiviso in incontri collettivi con il resto della comunità femminile - e alla ripetizione puntuale e ossessiva di routine sadomaso. Da qui l'ironico parallelismo che accosta l'estremo rigore della classificazione entomologica alla necessità maniacale di esercitare il controllo,
e in ultimo, al lavoro del cineasta.
 
Identificati i rispettivi ruoli 'top' e 'bottom', le scenette erotiche di sadismo vengono scritte ed interpretate alla lettera, preparate dettagliatamente nel tentativo di renderle più autentiche della realtà, e alla ricerca sofferta della volontaria sospensione di incredulità le due protagoniste non fanno che replicare a tavolino la spontaneità della vita, con risvolti a tratti esilaranti. Un film elegantissimo che coccola il voyeurismo dello spettatore, e prende in giro lo strano rapporto sentimentale tra l'autore e la sua creatura.
Parsec

martedì, novembre 25, 2014

32 TFF- AS YOU WERE

As you were
di Jiekai Liao
Singapore 2014
durata, 92'

Talvolta il verbo costruire, per assumere il valore che la sua stessa accezione richiede, necessita del suo significato opposto. La decostruzione, quindi, nel cinema, implica spesso una visione crittografata, sacrificando - a ragione - le esigenze del pubblico che pretende gli si offra, sul classico piatto d'argento, una leggerezza illusoria.

Jiekai Liao, ben consapevole di queste premesse, ci offre invece una pellicola arguta e raffinata. A partire dalla confezione, quasi feticista, che propone l'opera - già particolareggiata dalla divisione in tre capitoli - nel formato 4:3; per finire alla fotografia, che diventa, pian piano, la vera istanza narrante. "As you were", dunque, racconta per immagini una storia d'amore che lascia frammenti di esistenze sparsi lungo la pellicola, pensata ad immagine e somiglianza del tempo.

La miseria umana, anche quando guarda la città - ed il suo ineluttabile divenire - da lontano, non può non scappare da sé stessa. "Qui ed ora.. qui è libertà". Ma  qui, un attimo dopo, è già passato.
Antonio Romagnoli


32 TFF FELIX & MEIRA

32TFF 2014 
Felix & Meira
di Maxime Giroux
Canada 2014
durata, 105′
Meira vive, palesemente suo malgrado, in una comunità chassidica con la figlia piccola ed il marito. Le rigide regole che la comunità impone ai suoi componenti vengono sistematicamente infrante da Meira, che ascolta di nascosto musica soul e prende la pillola. A definire la crisi personale ci sarà l’incontro con Felix, che perde il padre nei giorni in cui i due iniziano ad avvicinarsi.
Il film di Giroux, oltre a non essere girato in maniera impeccabile, presenta delle falle che difficilmente possono essere tralasciate. I personaggi, caratterizzati nemmeno troppo bene, sono mossi all’interno di un contesto narrativo farraginoso che fatica ad arrivare a conclusione.
In un discorso che poco aggiunge alla dialettica – già di per sé stantia e melensa – tra proibizionismo e libertinaggio, Felix & Meira diventa, nonostante gli intenti siano evidentemente altri, un prodotto – per non usare epiteti peggiori – sostanzialmente innocuo.

lunedì, novembre 24, 2014

32 TFF - WIR WAREN KONIGE THE KINGS SURRENDER


32 TFF- Wir Waren Könige the kings surrender "
 di Philipp Leinemann
 Germania 2014
durata, 107'


Il cinema autoriale europeo, in costante distacco dal giro commerciale creatosi attorno a prodotti Hollywodiani, presenta - specie nel caso in cui ci sia un particolare approccio ad un genere - opere sempre complesse e mai scontate.



Accade nel caso di Leinemann, che porta a Torino un noir metropolitano pervaso da un costante senso di tensione. Protagonisti sono un reparto speciale della polizia, costituito  da uomini quasi sempre in contraddizione col proprio distintivo, ed una gang di ragazzi. I primi dieci minuti del film, intenti a descrivere un'irruzione non andata a buon fine, sono girati in maniera sontuosa e innalzano l'asticella delle aspettative. Aspettative che non vengono rispettate, dal momento in cui il film perde sia nell'impatto visivo come in quello narrativo, in un prolisso dispiegarsi di successioni troppo copiose per essere contenute all'interno dei suoi centosette minuti.



Seppure le ottime interpretazioni in alcuni casi riescono a non far crollare il castello di carte, "Wim Waren..." è un film che si pone nel fastidioso limbo tra tentativo d'autore e tentativo d'intrattenimento, tentativi, in ogni caso, falliti.
Antonio Romagnoli

TURIST

32 TFF'
di Ruben Östlund
Svezia, Danimarca, Norvegia 2014
118'
 
Inserirsi all'interno di trame mentali ingarbugliate, che compongono la psicologia dei personaggi portati sullo schermo, richiede un approccio sempre complesso. "Turist", che è costituito  essenzialmente da quest'unico intento, racconta di una famiglia in settimana bianca e delle crepe che vanno aprendosi tra marito e moglie.
Se è molto ad effetto la contrapposizione tra gli ampi scenari imbiancati e le tonalità calda ed intima degli interni, e sono sempre riuscite le parentesi comiche che colorano lo schermo, a venir meno è la costanza del procedere narrativo e della distorsione che dovrebbe venire a crearsi, mancanze che  evitano la percezione richiesta in quello che è - o meglio dovrebbe essere -  un découpage psicologico.
Al momento di fare i conti, il film si chiude con un finale in cui - a conferma dell'impressione che si ha durante tutto "Turist" - i conti proprio non tornano.

Antonio Romagnoli

32TFF - N-CAPACE


di e con Eleonora Danco


Il vantaggio del cinema è che in un periodo molto concentrato di tempo si accede velocemente ad una conoscenza che impiegheremmo molto di più a fruire con un altro mezzo di espressione.
In questo caso specifico, davanti alla sincera urgenza di raccontare per immagini che Eleonora Danco offre mettendosi - anche letteralmente - a nudo, l’esperienza può diventare catartica: è tutto lì, a portata di anima, e si può arrivare a cogliere qualcosa di noi lungo il percorso condiviso.
Tutto questo è essenzialmente il primo lungometraggio di Eleonora Danco: poetico, commovente, terapeutico, un film che fa onore al TFF perché ne rappresenta pienamente lo spirito, da un’autrice dotata di quella passione, espressa anche disordinatamente, di quel fuoco sacro che ci si aspetta dagli autori esordienti.

E poi, volendo, che si tratta di un film sull’elaborazione del lutto, sul senso di inadeguatezza, la malinconia per chi è assente, la nostalgia dell’infanzia e dei luoghi dell’infanzia, sul tempo che passa e che cambia tutto. Sulla vita che ci chiede il conto, sui promossi e sui bocciati.
Temi che emergono lungo un viaggio fatto di interviste ad anziani ed adolescenti, dove con sfrontate domande si chiamano tutti a parlare di se, un percorso in cui Eleonora Danco coinvolge il proprio padre e il ricordo della madre scomparsa, come in una terapia di gruppo, confessioni intime che aiutano a recuperare tanti pezzi di se, per scoprire alla fine che il tempo che è passato forse non ha cambiato niente e che l’umanità ruota intorno agli stessi mutevoli principi ed alle stesse mutevoli necessità, dove i corpi sono già polvere e le lacrime bellissime.
Soprattutto, da spettatori facciamo il tifo affinché quel fuoco continui a bruciare, con l'auspicio che la scena della vasca piena di "gentilini" in cui “Anima in pena” è immersa nuda, possa diventare un cult come il barattolo di Nutella in Bianca.

Parsec

domenica, novembre 23, 2014

32TFF - Gentlemen



GENTLEMEN

di Mikael Marcimain

Mikael Marciman è il 44enne regista svedese al secondo film (il primo è Call Girl del 2012) che ha accettato l'onere e l'onore di portare sul grande schermo il romanzo del 1980 del prolifico scrittore Klas Ostergren (qui anche autore della sceneggiatura) "Gentlemen", una creatura letteraria enorme e venerata in patria, romanzo considerato già un classico della letteratura svedese del XX secolo, con una complessità di piani temporali da far tremare i polsi all’idea di tradurlo in cinema.
Con alle spalle anni di serial tv, Marciman non sembra essere soltanto al suo secondo film, e con grande mestiere e forse incoscienza si misura con il tentativo di domare il magma/racconto che pare vivere di vita propria, refrattario a farsi ridurre entro i limiti del mezzo cinematografico, tanto che sembra di assistere alla visione di tre o quattro film in uno solo, per la proliferazione di generi, dal noir al sentimentale, dal giallo-thriller al biopic, dal musical allo storico.
Il risultato è una travolgente incontinenza visiva, per la traboccante scenografia e la ricchezza di dettagli, per le tante storie che dalla storia portante si diramano, si allontanano per poi ritornare a quella principale, in un lungo flash back con dentro tanti flash back, in un’ubriacatura narrativa che fa perdere a tratti il filo del discorso. Come la musica di Elton John, continuamente citato durante la storia, lo stile è barocchissimo e fa venire in mente le atmosfere de La Talpa di cui Marciman è stato regista della second unit.
Promosso per coraggio e per stile, film visivamente bello da vedere intorno al tema della storia che si ripete, dove non esistono buoni o cattivi, gli ideali si accomodano con il passare degli anni, e diventando grandi la verità si confonde con la necessità.

giovedì, novembre 20, 2014

SCUSATE SE ESISTO!


di: R.Milani.
con: R.Bova, P.Cortellesi, L.Savino, E.Fantastichini, C.Bocci, S.Rocca.

- ITA 2014 - 
Commedia - 105 min




E' noto: la Storia tende a ripetersi in un rapporto inversamente proporzionale alla quantità d'insegnamenti che se ne trae. Sarà anche per questo, forse, che la cosiddetta nuova commedia italiana stenta, in generale, a rinnovarsi. In un limbo mediano, può  ragionevolmente collocarsi, in ogni caso, quest'opera di R.Milani, "Scusate se esisto !", ruotante attorno alla figura di Serena/P.Cortellesi, talentoso architetto abruzzese che, dopo una parentesi all'estero, incapace di sopire del tutto fin troppo note nostalgie attinenti al famoso/famigerato carattere nazionale, torna in Italia e, da prassi, viene quasi subito presa al cappio di lavori senza sbocco e mal pagati. Le cose sembrano prendere una piega inaspettata allorché fa la conoscenza di Francesco/R.Bova, atletico proprietario di ristorante che la assume come cameriera e la incoraggia a non demordere. L'occasione per imprimere l'accelerazione definitiva agli eventi, si materializza sotto forma, da un lato, della rivelazione della felice omosessualità di Francesco e, dall'altro, dall'imporsi di un progetto di Serena inerente addirittura la parziale riqualificazione di uno dei tanti monumenti all'idiozia umana, nel caso l'agglomerato edilizio di Corviale, nel quadrante sud-occidentale di Roma. La combinazione tutt'altro che pacifica, seppur spesso comica, di questi due elementi, condurrà la vicenda a continui scambi di ruoli, a equivoci, fino alla ricomposizione, intesa come punto di equilibrio tra volontà ed esigenze diverse.

La commedia, scritta ad otto mani (quelle di Milani e Cortellesi incluse, quest'ultime, tra l'altro, unite anche fuori dal set), se può contare su un Bova che sa giocarsela con una qual leggerezza e distacco nei panni del bello e impossibile gay, simpatico e premuroso, e sulla stessa Cortellesi quando riesce a rendere interessante il personaggio di Serena spogliandolo di pose e moine care ai suoi trascorsi televisivi, altresì perde mordente nel ricorso assiduo al tritume di cliché cristallizzati entro la camicia di forza di macchiette con tutta evidenza inossidabili: i parenti provinciali folkloristicamente invadenti; il dialetto inscatolato in ovvi nonsense; il Capo cialtrone e, di fondo, ottuso, a cui i sottoposti riservano tutto l'ossequio che gli rifiuteranno al momento di risorgere in una collettiva presa di coscienza; i comprimari omosessuali sensibili e/o pittoreschi; i contrasti che si appianano e le prospettive che si ridisegnano di preferenza intorno alla grande-tavola-imbandita-italiana, et. Se, quindi, non si può non notare un certo garbo nel tono d'insieme (ridotto uso del turpiloquio; i caratteri, anche quelli secondari, tratteggiati in modo elementare ma con affetto sincero), permane comunque la sensazione dell'ennesima scommessa giocata sulla difensiva, più attenta cioè al margine minimo-ma-sicuro che a combinazioni magari insidiose ma più redditizie.

Piccole parti per E.Fantastichini, S.Rocca e C.Bocci.

(Nota: come da titoli di coda, il progetto di recupero per Corviale esiste sul serio. I lavori dovrebbero iniziare nel 2015. Incrociamo le dita).


TFK

Film in sala da Giovedì 20 Novembre 2014

ADIEU AU LANGAGE
di Jean-Luc Godard
con Héloise Godet, Jessica Erickson, Alexandre Païta, Kamel Abdeli, Richard Chevallier
2014 SVI - Drammatico - 70 min

I TONI DELL'AMORE: LOVE IS STRANGE
Love is Strange
di Ira Sachs
con Marisa Tomei, John Lithgow, Alfred Molina
2014 FRA/USA - Drammatico - 98 min

GHOSTBUSTER: ACCHIAPPAFANTASMI
Ghostbusters
di Ivan Reitman
con Bill Murray, Dan Aykroyd, Sigourney Weaver, Harold Ramis, Rick Moranis, David Margulies
1984 USA - Commedia Fantasy - 107 min

HUNGER GAMES: IL CANTO DELLA RIVOLTA - PARTE 1
The Hunger Games: Mockingjay - Part I
di Francis Lawrence
con Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson, Liam Hemsworth,
Julianne Moore, Philip Seymour Hoffman, Woody Harrelson,
Elizabeth Banks, Jeffrey Wright, Stanley Tucci, Donald Sutherland
2014 USA - Azione Drammatico - 123 min

IL MORTO SONO IO!
Je fais le mort
di Jean-Paul Salomé
con François Damiens, Géraldine Nakache, Lucien Jean-Baptiste, Anne Le Ny
2014 FRA - Commedia - 104 min

MY OLD LADY
di Israel Horovitz
con Maggie Smith, Kevin Kline, Kristin Scott Thomas, Dominique Pinon, Francis Dumaurier
2014 FRA/USA - Commedia

THESE FINAL HOURS
di Zak Hilditch
con Jessica De Gouw, Sarah Snook, Nathan Phillips, David Field
2014 AUS - Drammatico - 87 min

DIPLOMACY
Diplomatie
di Volker Schlöndorff
con André Dussollier, Niels Arestrup, Burghart Klaußner, Robert Stadlober
2014 GER/FRA - Drammatico - 88 min

SARA' UN PAESE
di Nicola Campiotti
2014 ITA - Documentario - 77 min

FINDING HAPPINESS
di Ted Nicolaou
con Elisabeth Rohm, Jyotish Novak
2014 USA - Documentario

mercoledì, novembre 19, 2014

DUE GIORNI, UNA NOTTE

Due giorni e una notte
di Fratelli Dardenne
con Marion Cotillard, Fabrizio Rongione
Belgio, 2014
genere, drammatico
durata, 95'
Non c'è bisogno della fantascienza e della sue astronavi per essere visionari. Chiedete ai fratelli Dardenne, ad esempio, come mai in tempi non sospetti invece di incorniciare le loro storie in un quadro di pragmatico ottimismo abbiano preferito guardare in faccia alla realtà dal suo lato  meno appetibile e più doloroso. Parliamo de "La promesse" e di "Rosetta", girati - a partire dalla metà degli anni 90-  in un epoca in cui nessuno poteva prevedere il mondo così come lo conosciamo dopo i fatti dell'11 settembre. Un realismo sviluppato con coerenza e senza concessioni per più di un lustro, fino al loro penultimo film, "Il ragazzo con la bicicletta" che, pur in quadro generale non certo ottimista, ha dato segni di cambiamento nel tratteggiare la storia di un abbandono infantile con atmosfere e  soluzioni filmiche (il finale del film per esempio) che sublimavano la pesantezza della condizione umana con accenti da fiaba contemporanea.
Un cambio di rotta tutt'altro che drastico ma appunto significativo rispetto al resto di quella cinematografia, che trova ora conferma nel nuovo lavoro dei registi belgi. "Due giorni e una notte" infatti a fronte di una storia nerissima si rivela come una sorta di favola morale, in cui la crisi che le fa da premessa diventa il motivo di un riscatto ancora più significativo se prendiamo in considerazione la qualità di conseguenze che, seppur neutre sul piano della realtà materiale, saranno in grado di aprire scenari di speranza e di nuove consapevolezze. Come si evince fin dal titolo, con la prevalenza numerica del giorno e della luce rispetto alla notte e alla sua oscurità.

La trama è presto detta, perchè, come sempre, molto di quello che si compie dentro le storie dei due registi, invece di svilupparsi nelle pieghe degli snodi narrativi, si manifesta nell'evidenza di corpi che si fanno portatori di un tormento interiore espresso attraverso il movimento (ed in questo caso il pedinamento della protagonista da una parte all'altra della città è paradigmatico) e nel confronto verso e con gli altri esseri umani. Tratti che appartengono di diritto a Manu (una bravissima Marion Cotillard), sposata e madre di due figli, indebolita dalle conseguenze di una grave depressione, e prostrata dalla necessità di chiedere ai colleghi di reparto di rinunciare all'aumento contrattuale in favore della sua riassunzione. L' opzione capestro, voluta dai datori di lavoro diventa quasi subito una corsa contro il tempo che il film traduce nella cronaca delle due giornate che separano Manu dalla decisione finale; con gli esiti del conteggio dei voti favorevoli e contrari, direttamente legato agli esiti delle visite a domicilio che la donna effettuerà nell'intento di guadagnarsi l'appoggio degli uni e degli altri.  Per certi versi straziante quando, in una guerra tra poveri, mette uno contro l'altro le due facce della stessa medaglia, "Due giorni, una notte" è invece perfetto nell'evitare il rischio agiografico in favore di una celebrazione laica della dignità umana e di un senso di condivisione, capace di rompere lo sterile pessimismo  in cui si dibatte molto cinema d'autore. Ancora una volta in controtendenza, e, speriamo, in anticipo sui tempi.

domenica, novembre 16, 2014

TORNERANNO I PRATI


di: E.Olmi

con: C.Santamaria, A.Sperduti, F.Formichetti, A. Di Maria, C.Grassi, N.Senni.

- ITA 2014 - Drammatico - 80 min.

"Ho sognato
stanotte
una
piana
striata
d'una
freschezza

In veli
varianti
d'azzur'oro
alga"
- G.Ungaretti, "Sogno", agosto 1917 -


Il fruscio della Morte da sempre percorre i campi di battaglia. Al momento, pero', di rivestirsi di una sorta d'impenetrabilità tecnologica, ecco che perde quei tratti di riconoscibilità che lo tengono entro gli orizzonti del comune destino umano - per quanto tragico, crudele ed enigmatico - e si consegna ad una cumulazione statistica fredda, atona, disgiunta dagli illusori ma significativi contesti (in relazione all'impulso ad agire) degli ideali e delle ragioni, degli entusiasmi e delle speranze, offrendosi, in definitiva, ad una necessita' più maligna e perversa - perché non solo gratuita ma come ottusa - di qualunque annientamento.

Tale inerzia trova esemplare compimento durante i quasi quattro anni e mezzo della cosiddetta Grande Guerra, di cui quest'anno ricorre il centenario legato al suo irrompere nella Storia e della cui necessita' non si e' quasi mai smesso di dibattere. Del resto, a pensarci - e sia detto come mero accenno - la stessa iperbole futurista circa "la guerra sola igiene del mondo", slancio febbrile all'azione in risposta alle mollezze e ai languori della Belle Époque, in fondo, aveva dato un certo contributo nel rendere manifesta la contraddizione che stagnava negli angoli più riposti, da un lato, dei nazionalismi e di singole mire egemoniche, la debolezza dei cui contrafforti filosofici aveva in parte alleviato; dall'altro, di coloro che opponendosi alla guerra in modo tanto reciso quanto, in realtà, poco meditato, si sforzavano di esorcizzarne il portato scandaloso ma inestirpabile, consustanziale a spinte che agitano da sempre gli strati più profondi e arcaici dell'animo umano. Palcoscenico su cui si consumano, comunque, immani eccidi, logoranti e grottesche - se non fossero tragiche - impasse, marce lunghe e penose, aleatori tentativi di risoluzione definitiva di controversie tra Imperi scopertisi inermi e invecchiati di colpo all'alba di un nuovo secolo prepotentemente in marcia verso una modernità che di li a qualche decennio avrebbe preteso ulteriori e ancor più giganteschi lavacri, proprio la Prima Guerra Mondiale vede la contesa bellica indirizzarsi in maniera irreversibile sul sentiero a senso unico che la Tecnica va tracciando sulla scorta d'innovazioni che, ridisegnandone i contorni e modificandone le logiche, via via limiteranno l'influenza e la discrezionalità del fattore umano, fino all'alto tasso d'impersonalità dei conflitti odierni (mentre d'altro canto ma in parallelo, la Morte prende a spogliarsi dei suoi secolari abiti metaforici e simbolici per indossare, in parte, anche quelli più grigi e dimessi di una contabilità tutt'altro che problematica e foriera di riflessioni, sparendo, poi, di fatto, dal dibattito contemporaneo, in quegli amplissimi territori del rimosso o del negato, se non addirittura in quelli più angusti e patetici della chiacchiera consolatoria e dello scongiuro). Si pensi, per dire, all'uso su larga scala della mitragliatrice - emblema persino sovrabbondante del nuovo guardarobadella Grande Mietitrice - meccanismo senza posa al lavoro che falcia schiere intere di uomini protesi verso quella sua bocca tanto avida quanto impietosa. O all'impiego dei gas come l'Iprite, per l'appunto battezzato durante gli scontri di Ypres (quattro battaglie nello scenario delle Fiandre Occidentali che coprirono, a diverse riprese, pressoché l'intero arco delle ostilità). O ancora, allo spiegamento di possenti e micidiali artiglierie, dall'una come dall'altra parte dei fronti, et.

Medesimo frusciare insidioso si avverte nell'incedere grave di "Torneranno i prati", ultima fatica di Ermanno Olmi, ispirato dalla novella "La paura" di F.De Roberto (1921), girato nelle zone montane di Asiago (teatro, peraltro, delle vicende riportate in "Un anno sull'altipiano" di Emilio Lussu, testimonianza fra le più alte riguardo quegli anni fatali) e narrante le vicissitudini di un distaccamento presso un avamposto d'alta quota costituito da un gruppo di militari inchiodati - in quel novembre del '17 - da una coltre nevosa di quasi cinque metri, tutt'intorno; dall'occhio sempre vigile dei cecchini nemici, di fronte; dal martellamento delle batterie e dei mortai ad intervalli più o meno regolari, dalle valli; nonché dallo spauracchio del diffondersi di una "strana influenza" (la peste, tristemente nota in seguito come spagnola, che avrebbe decimato soldati e civili in giro per l'Europa e non solo con uno zelo assai affine a quello delle armi usate in battaglia). All'interno di un solco cinematografico di argomento bellico nutritissimo e vario, il lavoro di Olmi si differenzia innanzitutto per la scelta di rifuggire tanto la variante spettacolare cara a molti war movies, quanto l'enfasi anti-propagandistica oggi come oggi poco incisiva alla luce di stratificazioni storiografiche oramai pluridecennali, per concentrarsi sui gesti (minuti, fragili e affaticati), sui silenzi e sui volti degli uomini (più esterrefatti che atterriti; più ostaggio di un'atroce meraviglia che della paura: più di tutto, esausti, incommensurabilmente stanchi, consumati e verso cui la Morte sembra intenzionata a compiere anche la beffa più infame per chi e' già quasi uno spettro, quella di tardare ad arrivare) o, meglio, su ciò che resta di essi dopo essere diventati preda di un ingranaggio immenso, crudele e sconsiderato, nel contesto di una Natura, per converso, ancor più meravigliosa nella sua indifferenza, irriducibile e imperturbabile nel suo insistere, invece, sulla Vita, non si sa se per irridere una volta per tutte l'animale umano risucchiato nel vortice della distruzione o se solo per assecondare una propria indole misteriosa e - come escluderlo ? - impertinente. Fatto sta che tra un istante di sconforto e un incrocio di sguardi che non ammette più parola, la neve riprende a scendere, una lepre zigzaga sul manto bianco appena depositatosi, una volpe torna ogni sera a far capolino nel campo visivo di una sentinella attonita, e la guerra-tecnica intensifica la sua efficienza (non ci sono scontri diretti, infatti, in "Torneranno i prati"), con la Morte a reclamare ciò che le spetta grazie, ad esempio, all'imposizione di ordini demenziali; all'esasperazione che porta a spararsi un colpo in bocca; a bombardamenti serrati che riducono corpi e oggetti ad avanzi informi...

Opera austera, laconica - ottanta minuti appena, contati i dialoghi - virata sui toni del grigio piombo, del bianco sporco, dei bruni terrei, del blu livido; calata in una semi-oscurità perenne a sprazzi rischiarata da pallori lunari che avvolgono piante, pietre e animali entro soffici aloni di funerea mestizia - quelli di un mondo/purgatorio dimentico e dimenticato - "Torneranno i prati" somma inquadrature di ieratica compostezza e antico rigore espressivo (quasi mai inclini al patetico o al bozzetto), la cui ricercata impassibilità restituisce altresì una gamma ampia di suggestioni figurative che va dalla muta ingenuità delle foto d'epoca, ad echi sparsi di pittura caravaggesca e tardo impressionista, fino al nitore astratto di certi squarci di trincea o alle nature morte di sparute suppellettili o di spogli accantonamenti. Su queste direttrici, Olmi tratteggia, così, una sorta di orazione sfinita di taglio teatrale ai lasciti della Memoria, il cui retrogusto religioso non si sostanzia di ingredienti dottrinali ("Il Padreterno non ha salvato Suo Figlio, perché dovrebbe ricordarsi di noi cani ?", borbotta un infermiere) ma finisce per caratterizzarsi in ragione dell'emergere oltre le differenze di ceto, di censo, di età, del nudo denominatore comune umano, unica spezia in grado di rendere praticabile quell'abbraccio tra eguali - l'ultimo - intriso di consapevolezza e lealtà che rende tollerabile e meno oscena la Morte. Anche per questo, allora, se "quando la guerra sarà finita, qui crescerà l'erba nuova e di quello che abbiamo patito non resterà niente, come non fosse mai successo", sarebbe il caso di chiedersi - chiedersi davvero - cosa n'è stato dell'erba ricresciuta in questi cento lunghi anni.

TFK

Film in sala da Giovedì 13 Novembre 2014

DUE GIORNI, UNA NOTTE
Deux jours, une nuit
di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne
con Marion Cotillard, Olivier Gourmet, Fabrizio Rongione, Catherine Salée, Christelle Cornil
2014 BEL - Drammatico - 95 min

FRANK
di Lenny Abrahamson
con Michael Fassbender, Domhnall Gleeson, Maggie Gyllenhaal, Scoot McNairy
2014 GB/IRL - Drammatico - 118 min

LO SCIACALLO
Nightcrawler
di Dan Gilroy
con Jake Gyllenhaal, Bill Paxton, Rene Russo
2014 USA - Drammatico - 117 min

WORDS AND PICTURES
di Fred Schepisi
con Clive Owen, Juliette Binoche, Keegan Connor Tracy, Amy Brenneman
2014 USA - Drammatico - 111 min

TRE TOCCHI
di Marco Risi
con Massimiliano Benvenuto, Leandro Amato, Emiliano Ragno, Vincenzo De Michele,
Gianfranco Gallo, Valentina Lodovini, Paolo Sorrentino, Francesca Inaudi,
Ida Di Benedetto, Matteo Branciamore, Jonis Bascir, Luca Argentero,
Marco Giallini, Claudio Santamaria, Maurizio Mattioli
2014 ITA - Drammatico - 110 min

LA FORESTA DI GHIACCIO
di Claudio Noce
con Emir Kusturica, Kseniya Rappoport, Domenico Diele, Adriano Giannini
2014 ITA - Thriller - 100 min

LA SCUOLA PIU' BELLA DEL MONDO
di Luca Miniero
con Christian De Sica, Rocco Papaleo, Lello Arena, Miriam Leone, Angela Finocchiaro
2014 ITA - Commedia - 98 min

venerdì, novembre 14, 2014

WORDS AND PICTURES


Words and Pictures
di Fred Shepisi
con Juliette Binoche, Clive Owen
Usa, 2014
genere, dramedy
durata, 120'


Gli occhi e la bocca potrebbero essere il corrispettivo umano e carnale della disputa. L'oggetto della contesa invero, consiste nella leggittimazione di una supremazia che non può essere dimostrata, a meno di non schierarsi a priori una parte o dall'altra del binomio immagine e parola che il film di Fred Shepisi decide di mettere a confronto attraverso la tenzone amorosa tra Dina Delsanto, pittrice e insegnante di storia dell'arte con problemi di salute,  e Jack Markus, professore d'inglese e scrittore in disarmo a causa di un alcolismo in stadio avanzato. In realtà come tutte le commedie sentimentali che tali vogliono essere, "Words and Pictures" utilizza l'espediente dell'opposto  caratteriale, e in questo caso, artistico,  per sublimare l'incontro scontro tra due personaggi incompatibili per principio ma uguali per natura. La stravaganza e l'egocentrismo di Jack (Clive Owen) così come l'arroganza e la freddezza di Dina (Juliette Binoche) altro non sono che le maschere di una solitudine che il film si propone di  trasformare in amore, non prima di aver impegnato i "contendenti" in una sfida che finirà per coinvolgere anche gli studenti dell'istituto, chiamati a farne parte attraverso l'elaborazione di opere legate al tema che da il titolo al film.


 
Rispolverato dai fondi di magazzino per riempire il palinsesto, "Words and Pictures" è il film di un regista d'attori da sempre abituato a lavorare con professionisti di primo livello, e per questo predisposto ad assecondare le interpretazioni delle sue star con una messinscena invisibile e funzionale a costruire loro il palcoscenico più adatto. In questo caso una serie di primi piani che permettono allo spettatore di leggere la storia del film attraverso le sfumature emotive impresse nel volto degli attori. La convenzione regna sovrana, a cominciare dalla dialettica che si sviluppa all'interno dell'istituto scolastico, a cui professori e studenti partecipano come pedine di una scacchiera che Shepisi utilizza come trampolino di lancio per disvelare la matassa di un tormento interiore che Jack e Dina si rimpallano ora allegramente, ora in maniera più drammatica, come succede nella seconda parte della storia, quando, ad un certo punto, il destino dei personaggi sembra volgere al peggio. A salvare il film dalla medietà ci pensano Clive Owen e soprattutto Juliette Binoche che, a fronte di una serie di trasferte americane non proprio fortunate, conferma la capacità di sapersi calare con intatta empatia e appassionata partecipazione in operazioni non all'altezza di un lignaggio che ha pochi uguali nel cinema contemporaneo.

ANIMAL KINGDOM


di: D.Michod
con: J.Frecheville, J.Edgerton, J.Waever, L.Ford, B.Mendelsohn, G.Pearce, S.Stapleton.

- AUS 2010 -
115 min

Da tempo il Cinema aussie sta raccontando la transizione attuale sbirciandola dal particolare punto di vista separato degli antipodi. Transizione tipizzata, come si sa - da quella parte del mondo come da questa - da talmente tanti tratti reiterati e interscambiabili che una sua malaugurata implosione comporterebbe scompensi su scala planetaria. Del resto, lo spartito e' questo, riporta stringate strofe ed un solo ritornello: avidità, attaccamento oramai quasi inconscio al denaro, nessun contatto o sporadico-turistico con l'ambiente naturale vissuto come mero magazzino per l'approvvigionamento di materie prime. E un quieto vivere sinistramente somigliante alla rassegnazione, spesso in conflitto con una condizione gemella ai limiti dell'esclusione sociale che a quella stessa rassegnazione, in fondo, non e' così estranea. Come pure, riduzione del dialogo a livorosa semi-afasia, frantumazione dei rapporti, ricorso alla scorciatoia della violenza, sempre più crudele - questa - sempre più insensata et...

Siffatti temi ben si sposano a narrazioni di ambientazione metropolitana o (con una certa assiduità in Australia) suburbana; a scampoli di esistenze o fatti consumatisi sul crinale spesso rosso-sangue della cronaca (in quei meandri, a dire, che intrecciano in un viluppo non di rado letale, impotenza, rancori senza sfogo e alienazione): a circoli viziosi che irrobustiscono le spire del crimine e mettono alla prova la resistenza del cosiddetto sistema. Ad uno dei molteplici crocevia di così stringenti e contraddittorie sollecitazioni, s'incontra un film come "Animal kingdom" di David Michod (qui all'esordio nel lungometraggio, alle prese con una vicenda ispirata ad eventi realmente accaduti e il cui ultimo parto, "The rover", e' reperibile su queste pagine) e la figura del giovane protagonista Joshua Cody, detto "J" (Frecheville) - elemento di frattura sul percorso delle oscillazioni di un gigantesco pendolo esistenziale - il nostro - animato nel profondo da un perverso motu proprio entro gli opposti punti limite dell'apatia, da un lato, e della crudeltà, dall'altro - il quale, e siamo solo agli inizi, seduto sul divano di fronte ad uno show televisivo, in attesa che i paramedici si presentino e rimuovano il corpo della madre vinto dall'eroina, si prepara a condensare una manciata di parole che, da li' in avanti, terra' sempre ben presente: "Sono un ragazzo come gli altri... ragazzi che stanno dove devono stare e fanno quello che devono fare". La concretezza e la sottesa inderogabilità di un assunto del genere trova ben presto adeguato campo di applicazione allorché J si trasferisce nella casa/tana di nonna Janine, detta "Smurf" (Weaver), e dei suoi tre cuccioli, ognuno ben avvezzo alle arti varie della delinquenza: Andrew (Mendelsohn), detto "Pope", tipo scontroso e sfuggente, quanto spiccio nell'ideare e mettere in atto rapine; Craig (Stapleton), instabile, paranoico e attaccabrighe ma, a conti fatti, infantile spacciatore; e, infine, Darren (Ford), robusto e dai tratti gentili (stuzzicato spesso dai fratelli circa la sua presunta omosessualità) che - magari proprio in ragione di una qual autentica doppiezza caratteriale - si barcamena tra i lavori di "Pope" e i maneggi di Craig.

Michod - con un accorto uso di movimenti laterali/avvolgenti della mdp - descrive il regno animale di questo aggregato umano, alternando inquadrature (dominate dal contrasto buio/interni, chiarore radente/esterni) che privilegiano i piani ravvicinati, a quelle in cui l'agitarsi nervoso dei singoli s'impone. Lascia, quindi, che l'ansia si accumuli, risolvendola pero' spesso - sottile perfidia - non nell'esplosione cruenta degli antagonismi interni al branco bensì per il tramite della matura leonessa. Janine, madre e nonna che abbraccia e bacia la sua carne qualunque sproposito l'hybris stravolta di questa abbia portato a compimento o stia ancora progettando. Nelle ore che scivolano uguali le une nelle altre, J prende così dimestichezza con le nuove dinamiche di gruppo: scambiando sovente con gli altri sguardi da vasca di squali, apprende lo stare al mondo regolato da schemi (prontezza di esecuzione, omertà, fedeltà/tradimento, progressivo montare della solitudine personale) difficilmente eludibili. Metabolizza condotte arcaiche, perentorie e brutali, affini ad una ferinità elementare ma implacabile che trova perversa continuità e paradossale linfa vitale in un deforme guazzabuglio fatto di silenzi inerti, di dialoghi che rimestando un'umanità esausta e perdente annientano, di fatto, ogni tensione condivisa che non sia quella della sopravvivenza purchessia: tutto nella prospettiva in apparenza risolutiva del procacciamento del denaro/cibo. Ed, in un senso più vasto, dilaga, questa suddetta ferinità - finendo d'incistarsi - nelle periferie amorfe e silenziose, la cui desolazione, materiale e morale, sembra essere solo il portato più evidente - oltre che un grido roco nel vuoto - del contrasto radicale tra l'incedere normalizzatore della ragione tecnica e l'immanenza di un paesaggio, per quanto sfigurato, ancora minaccioso perché irriducibile.


Lo zoofamiliare dei Cody percorre, in tal modo, le linee già tracciate di una stanca ripetizione, cui nemmeno la controparte sana pare davvero opporsi (la Polizia - con al centro delle indagini il determinato sbirro Nathan Leckey/G.Pearce - utilizza con cinica risolutezza metodi non meno ambigui e spietati di quelli che le vengono riservati) eternando una sorta di transumanza a perdere sui sentieri dell'indifferenza e della distruzione di se'. Avvolto in un impassibile disincanto, gli equilibri del quale s'instaurano e si sbrogliano secondo le disposizioni di un rigido determinismo a base d'istintualità cieca e prevaricazione, "Animal kingdom" si offre come testimonianza di un malessere allo stesso tempo diffuso e anestetizzato dalla noia e dal disgusto; come il referto australe cui non resta che riordinare - per quanto possibile - reperti degradati di un'infezione che, pressoché indisturbata, ha raggiunto, giorno dopo giorno, anche il cuore di J, degno conquistatore sul campo di un proprio posto al sole nella catena alimentare.

TFK

giovedì, novembre 13, 2014

SUL VULCANO

Sul vulcano
di Gianfranco Pannone
Italia, Svizzera, 2014
genere, documentario
durata, 80'


Camminare sull'orlo del precipizio. E' così che si vive sul Vesuvio ed è così che vivono i personaggi del nuovo film di Gianfranco Pannone, documentarista d'origini napoletane tornato sui luoghi nati per una ricognizione geografica e sentimentale intorno alle radici di un comune sentire. Perché Maria, Matteo e Yole, i protagonisti del film, pur differenti nello stile di vita e nel mestiere di vivere, così come il resto dei personaggi che il regista prende in considerazione nel suo viaggio cinematografico, diventano uguali nella consapevolezza del sentimento che lega le loro vite alla voluttà del monte Vesuvio, e alla sua prossima, sconosciuta eruzione. A partire dalle loro sensazioni, e dall'esperienza che deriva dall'aver accettato quel compromesso, "Sul vulcano" alterna le facce e le parole dei suoi "attori" con sistematiche incursioni nella Storia, sociale, antropologica e mitologica riferita al fenomeno naturale, per capire come si sia trasformata nel corso del tempo la convivenza con la possibilità di ripetere l'esperienza che toccò a Ercolano e a Pompei. Un argomento che appartiene agli annali della cronaca ma che è pure parte integrante di un immaginario collettivo che non ha confini, se è vero che anche Hollywood continua a investire sul fascino un po' maledetto i quegli avvenimenti.


Nel film di Pannone invece, il racconto di chi vive il quotidiano e le aspettative di un domani senza futuro, sembrano trovare fondamento nelle immagini d'archivio, che testimoniano il corso degli eventi attraverso un collage di notizie, bollettini ,documentari (manca stranamente il contributo di una produzione cinematografica che sappiamo ricca) che ieri come oggi sono intrisi da un misto di meraviglia e pragmatismo. Come se, per chi vi partecipa, a parte gli scongiuri affidati a San Gennaro (messo in concorrenza con un altro Santo protettore in uno dei passaggi più simpatici del film) non si potesse far altro che andare avanti, facendo finta di niente. E poi nei brani letterari declamati da una serie di voci che appartengono alla cultura campana e partenopea (da Toni Servillo ad Andrea Renzi, a Iaia Forte ma ci sono catanesi doc come Donatella Finocchiaro e Leo Gullotta)che spostano il punto di vista su una riflessione mediata dall'abilità affabulatoria della scrittura, in un mix tra alto e basso che è il tratto più evidente di "Sul vulcano", non a caso, e per stessa ammissione del regista, debitore del Rossellini di "Viaggio in Italia" e di "Stromboli". Nella stessa direzione è anche la scelta di un tono antiretorico, lontano dagli stereotipi di una napoletanità che "Sul vulcano" mostra singolarmente cauta e riflessiva. A contare nel film è la trama gestuale ed espressiva degli attori (sociali), il modo di occupare la scena con una dignità che sembra tenere testa a quella altera e sublime del vulcano che Pannone, grazie ad un uso sapiente del fuori campo, riesce a trasformare in un luogo dell'anima, che ritorna non tanto nelle riprese filmate - in cui la presenza del Vesuvio è ridotta al minimo indispensabile - ma attraverso la dimensione quotidiana di chi gli dorme accanto. Distribuito dall'Istituto Luce il film sarà presto nelle sale italiane.

mercoledì, novembre 12, 2014

INTERSTELLAR E IL CASO CHRISTOPHER NOLAN


Come sempre accade per tutto quello che riguarda il lavoro di Christopher Nolan, anche "Interstellar", appena uscito nelle nostre sale, e' stato preso d'assalto da schiere d'appassionati e di addetti ai lavori, trasformandosi in poche ore in uno dei casi cinematografici di questa annata cinematografica. Un tripudio mediatico che testimonia ancora una volta l'eccezionalità di un regista che, pur lontano dalle ossessioni e dalle manie di alcuni celebri colleghi al quale potrebbe essere paragonato almeno in termini di visionarietà, pensiamo a James Cameron e a Stanley Kubrick, appartiene a quella ristretta cerchia di autori su cui gli studios rischiano soldi e credibilità. Alchimie produttive che Nolan e' riuscito a gestire senza particolari problemi e che pure hanno determinato in maniera importante l'evoluzione del suo cinema. Non tanto per il passaggio a strutture di lavoro più controllate rispetto alla libertà delle prime uscite, ma piuttosto per la trasformazione di una forma cinematografica che ha cambiato pelle, trasformandosi almeno in superficie in qualcosa di diverso.



A partite da "The Prestige" infatti Nolan  e' diventato un regista "mainstream", con film interpretati da alcune delle star più popolari del firmamento hollywoodiano (da Hugh Jackman a Leonardo Di Caprio, da Christian Bale a Matthew McConaughey), accelerando una propensione verso il cinema di genere che lo ha portato con successo ad occuparsi del restyling di uno dei supereroi più acclamati dello schermo. Un iper genere, quello degli Hero Movie, che ne ha consolidato le ambizioni, rilanciate con un surplus di autorialità in due film, "Inception" e "Interstellar", che ad oggi rappresentano meglio di altri la complessità di questo autore.

Una dimostrazione di forza che (per chi scrive) non sempre si è' dimostrata all'altezza delle sue premesse. Il tentativo di incontrare gli interessi dei produttori ha creato un enfasi estetica e narrativa derivante dalla necessità di confezionare un prodotto altamente fruibile.

La poetica pur coerente alla visione di un mondo da sempre dominato da forze oscure e malevoli e da personaggi dell'identità incerta, ne ha risentito soprattutto nella costruzione delle categorie temporali, un marchio di fabbrica del regista, che hanno smesso di essere la struttura portante dell'impalcatura narrativa, (The Following, Memento) per diventare parte integrante del racconto, oggetto su cui ragionare e discutere.

In questa direzione "Interstellar" rappresenta un passo in avanti perché approfittando della rarefazione del paesaggio, resa necessaria dalla scoperta della nuova frontiera, (con il quotidiano ripreso più in senso metaforico che cronachistico) il cinema di Nolan appare di nuovo inquietante, pur continuando a pescare da un immaginario filmico largamente inflazionato. Non solo nell'afflato ambientalista presente nella  degenerazioni delle condizioni climatiche e naturali (il richiamo allo Shyamalan di "The Happening" e' uno dei rimandi possibili)  e nel richiamo ad una palingenesi che era stata uno dei temi cardine dell'acclamato "Gravity", ma anche in dettagli minimi come quelli che riguardano la definizione di un personaggio come quello interpretato da Matthew MacConaughey, praticamente equipollente per cultura e stile di vita al Cade Yaeger di "Trasformers 4". Contraddizioni che sono insieme la forza e il punto debole di un autore che nonostante tutto non ha ancora trovato la sua collocazione definitiva.

lunedì, novembre 10, 2014

DRACULA UNTOLD

Dracula Untold
di Gary Shore
con Luke Evans, Sarh Gadon, Charles Dance
drammatico, azione
Usa, 2014
durata, 92'


 
La scommessa di Dracula Untold stava già nel suo titolo. Perché a fronte di una sconfinata filmografia di cui oramai si  è persa  memoria, la riproposizione del mefistofelico personaggio in chiave di assoluta novità - Untold, ovvero mai rivelato - suonava come sfida alle orecchie dei milioni di fan pronti a vivisezionare le varianti di una ortodossia filologica  che come sempre in questo casi e' la misura che decreta l'affermazione o meno di questo tipo di operazioni.

Ed in effetti la storia del principe Vlad costretto a sacrificarsi per i propri sudditi, porgendo il collo al demone che gli trasmetterà i poteri necessari a sconfiggere l'invasore, poteva prendere in contropiede i cultori del filone.

Una combinazione di possibilità, quelle di invincibilità derivate dal fatale morso, e di attitudini morali, la salvaguardia del bene altrui, tali da trasformare il protagonista in un eroe a tutto tondo, simile a quelli resi celebri dalle produzioni della casa delle idee. Sul piano pratico però queste caratteristiche sono messe in immagini senza alcuna idea, riproducendo scenari di insipiente computer graphic. Largo spazio quindi, a panoramiche di valli sterminate e di eserciti in miniatura, con il povero Dracula costretto a destreggiarsi all'interno di una sceneggiatura schizofrenica, che prima gli consente di sconfiggere da solo le falangi nemiche, e poi lo costringere a difendersi dalle prevedibili contromisure di un singolo avversario.

Una mancanza di coerenza calcolata,  che però  "Dracula Untold" fa apparire finanche ridicola, per il fatto di non riuscire a trasformare i suoi eccessi in motivo di spettacolo o almeno di tensione. drammaturgia: con sommo detrimento di quell'empatia che identifica il pubblico al proprio beniamino Una pecca tanto più grande se si considera che a fronte di una forma da b movie, il film di Gary Shore e' costato quasi 100 milioni di dollari. Uno cifra che "Dracula Untold" non riesce a mettere a frutto. Luke Evans nella parte del protagonista è una presenza puramente fisica.