giovedì, luglio 28, 2011

Tournèe -- recensione di nickoftime

Ci sono film destinati a rimanere nella memoria ed altri nella pelle: Tournèe, film d’esordio di Mathieu Amalric, appartiene alla seconda categoria perché raccontando le vicissitudini di una compagnia di teatro burlesque e del suo impresario, Joachim Zand, riesce a parlaci della vita senza la scorza di illusioni di cui spesso si riveste.

Una scelta ambiziosa per la retorica che spesso ne caratterizza i tentativi e che invece il neo regista riesce ad evitare, con una messa in scena di sorprendente sobrietà: monopolizzato da un umanità fisiologicamente eccessiva, vuoi per le caratteristiche fisiche delle sue interpreti, generosamente al di sopra dello stereotipo striminzito delle passerelle modaiole, che per la natura caricaturale dello spettacolo offerto, il Burleque appunto, e senza contare l’egocentrismo di un ruolo, quello dell’impresario interpretato dallo stesso Amalric, elevato al di sopra degli altri per le necessità mercenarie della realizzazione artistica, Tournèe si muove sempre su territori che privilegiano gli aspetti privati ed intimi dei personaggi, evitando di mostrare gli antefatti dolorosi, quelli delle scelte esistenziali (il mondo della televisione e del successo rinnegato da Joachim) e degli abbandoni familiari (i mariti ed i figli sacrificati all’esigenze personali), isolando momenti di vita che riescono ad esprimerne però, le conseguenze e gli sviluppi. Con inquadrature rubate, ed isolando i personaggi in un contesto che li riporta alla loro essenza - le performance delle ballerine riprese da lontano e decontestualizzate dal loro pubblico è esemplare nel rendere la solitudine di cui si fanno portavoci nel corso della storia – Almaric riesce a far dimenticare la carne per coinvolgerci in un diario intimo delicato ed allo stesso tempo vitale.

Costruito alla maniera di un road movie, con la progressione della storia collegata alle varie tappe della tournee, il film si avvale di una fotografia impressionista che favorisce la spontaneità della direzione registica ( per la quale si è tirato in ballo addirittura Cassavetes) e con un cast di attori la cui mancanza di notorietà, e mi riferisco per esempio a Miranda Colclasure ed alla sua splendida Mimì, riesce ad aumentare la credibilità delle loro performance. Presentato al festival di Cannes del 2010, il film si è aggiudicato il premio per la miglior regia. Per chi scrive anche l’attore era degno di menzione.

Film in sala dal 29 luglio 2011

Diario di una schiappa
(Diary of a Wimpy Kid)
GENERE: Commedia
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Thor Freudenthal

Vanishing on 7th street
(Vanishing on 7th street)
GENERE: Horror, Thriller
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Brad Anderson

giovedì, luglio 21, 2011

Film in sala dal 22 luglio

At the end of the day
(At the end of the day)
GENERE: Thriller, Noir
ANNO: 2011 DATA: 22/07/2011
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Cosimo Alemà

Bitch Slap - Le superdotate
(Bitch Slap)
GENERE: Azione, Commedia
ANNO: 2011 DATA: 22/07/2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Rick Jacobson

Captain America: Il primo vendicatore
(Captain America: The First Avenger)
GENERE: Azione, Fantascienza, Avventura
ANNO: 2011 DATA: 22/07/2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Joe Johnston

Hanna
(Hanna)
GENERE: Drammatico, Thriller
ANNO: 2011 DATA: 22/07/2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Joe Wright

Monte Carlo
(Monte Carlo)
GENERE: Commedia
ANNO: 2011 DATA: 22/07/2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Thomas Bezucha

lunedì, luglio 18, 2011

The conspirator

Quando Frederick Aiken (James McAvoy), giovane avvocato di belle speranze deve decidere sull’opportunità di difendere Mary Surat (Robin Wright), la donna accusata di aver organizzato l’assassinio del presidente Abramo Lincoln, si trova di fronte ad un bivio: accettare l’incarico, e così facendo affermare ancora una volta il diritto di qualunque cittadino ad avere un processo equo, nonostante l’emotività del momento, oppure rinunciare, e cedere il passo alla volontà di coloro che ritenevano il verdetto già scontato ed il procedimento una pura formalità.
The Cospirator ci parla appunto di quella scelta e delle conseguenze che essa comportò nella vita del protagonista, costretto a lottare contro il pregiudizio di chi lo considerò un traditore della patria per aver accettato quella difesa, ma anche del pericolo insito in una democrazia che perde di vista i suoi principi fondanti: “quando c’è la guerra la legge tace” afferma uno dei personaggi del film al fine di giustificare le “leggi speciali” messe in atto dal governo per forzare la giuria a cambiare un verdetto non gradito, e successivamente di annullare la decisione di ripetere un processo evidentemente iniquo. Ed ancora delle responsabilità, che furono quelle della gente comune, qui rappresentata dal drappello di amici che ruotano attorno all’avvocato, e che il film utilizza per restituire gli umori di un opinione pubblica più attenta alle convenienze personali che all’evidenza dei fatti, e della classe dirigente, spaventata dalle conseguenze di quel vuoto di potere e per questo desiderosa di esibire una vendetta inesorabile. Il mondo dell’epoca alle prese con un evento epocale, che però ricorda quello di oggi, così vicino per gli scenari altrettanto apocalittici aperti dall’attentato dell’11 settembre e per le reazioni unilaterali messe in atto da chi il mondo lo deve governare.

Dopo “Leoni per Agnelli” Redford riprende un'altra pagina di storia americana costruendo un film che assomiglia ad un analoga lezione, e nel farlo, cerca di mantenersi in equilibrio tra ragione e sentimento: da una parte l’obiettività di chi rileggendo la storia non vuole commettere l’errore di manipolarla, dall’altra la passione dell’uomo da sempre impegnato nelle cause civili. Ed è proprio la presenza di queste due anime il difetto più evidente del film perché, se dà una parte assistiamo alla costruzione di una serie di caratteri che sembrano più preoccupati di corrispondere alla fedeltà storica che alla vita, con il conseguente irrigidimento verso formule stereotipate, dall’altra è evidente una certa enfatizzazione soprattutto nelle figure del giovane avvocato, idealista a tutti i costi e quasi sempre colto in una tensione emotiva da cilicio francescano, ma soprattutto nella figura di Mary Surat, sguardo emaciato e colorito pallido, perennemente ritratta come una specie di Santa Maria Goretti, inginocchiata nella cella con un fascio di luce esterna ad illuminarne il volto. Concorrono in questa colpa anche una musica magniloquente ed una fotografia eccessivamente leziosa. In questo scenario la ricostruzione dei fatti, sciorinata secondo le regole del film processuale risulta poco importante e secondaria rispetto al messaggio che il regista vuole far passare. Ne risulta un opera dignitosa ma poco appassionante, che in qualche modo rischia di essere controproducente al tentativo di veicolare le idee in essa contenuta.


Interpretato da un cast all star anche nei ruoli secondari, tra cui ci piace ricordare un redivivo Kevin Kline nella parte del segretario della guerra Stanton e di Tom Wilkinson in quelli del suo avversario politico,The cospirator è l’opera di un uomo di cinema che non ha più nulla da dimostrare e che può permettersi di dire quello che pensa. Nel farlo dovrebbe rispolverare un talento registico attualmente un po’ annacquato

venerdì, luglio 15, 2011

Manuale d'amore 3

Spiegare l’amore, declinarlo attraverso una serie di situazioni paradigmatiche.
Renderlo fruibile anche a chi generalmente refrattario alle contraddizioni di un sentimento tanto bello quanto complicato. Storie in cui riconoscersi ma soprattutto attori riconoscibili a cui consegnare il compito di divulgarle. Pensato secondo un modello di cinema più attento alla confezione che alla sostanza, la terza puntata della serie diretta da un regista specializzatosi nei film ad episodi ripropone in una cornice come al solito svincolata dalla cronaca quotidiana – il frammento di Carlo Verdone costretto a recitare il mea culpa occidentale sotto la minaccia di un sedicente terrorista è un tentativo poco convinto di invertire la tendenza- e con i toni da elegia contemporanea, le vicende di un gruppo di personaggi coinvolti per differenti motivi nella tenzone amorosa.
E’ ancora una volta il caso, costruito ad arte da un (improbabile) cupido che di mestiere fa il tassista oltre che l’arciere, a rompere le uova nel paniere di vite già indirizzate e poi sconvolte dall’entrata in scena di una variabile, che nel film di Veronesi ha il volto e soprattutto il corpo della femme fatale.
Monica Bellucci in fuga da Parigi, Laura Chiatti sposa irrequieta di un padre marito e Donatella Finocchiaro, crazy woman con tendenza allo stalking, sono le erinni di un sodalizio femminile pensato per esaltare le debolezze del maschio italico e non solo - l’entrata in scena di Robert De Niro nei panni di un maturo professore americano sembrerebbe dirci che il vizietto non è una caratteristica nostrana- e per ribadire, se mai c’è ne fosse bisogno, la forza di un sentimento che fa girare il mondo.
In realtà “Manuale D’amore” è un prodotto studiato a tavolino per esaltare le strategie di marketing della casa di produzione che può esaltarsi mettendo in cartellone attori di diversa provenienza artistica ma di indubbio appeal estetico e poi mediatico, e per rincorrere quel successo al botteghino che ormai sembra essere una faccenda esclusiva delle commedie merchandising, quelle capaci di riunire sotto le stesso tetto attori ed attrici capaci di soddisfare le golosità di un pubblico eterogeneo per età e preferenze. Una specie di cinepanettone ripulito che sostituisce gli eccessi di quello con un relativismo emozionale capace di mettere sullo stesso piano fortune e disgrazie, talmente leggera è l’incidenza delle une e delle altre sull’umore dello spettatore. Insomma un intrattenimento annacquato sul quale pesa come un macigno la presenza di un copione latitante nell’intreccio così come in quello delle idee, e persino imbarazzante nell’ultimo episodio, quello più atteso per la presenza del divo scorsesiano, e risolto dallo stesso con una serie di tic e di faccette così insistite da diventare irritanti.
Lo stesso si potrebbe dire di Carlo Verdone ancora una volta nei panni del marito fedigrafo, un ruolo che evidentemente gli si addice, e che l’attore romano interpreta facendo il verso ai personaggi dei suoi film precedenti, in un trionfo di ignavia e qualunquismo, seppur condita con la solita aria da cane bastonato.
A salvarsi sono forse Scamarcio e la Chiatti che nell’episodio che apre il film, quello in cui un giovane avvocato in trasferta di lavoro ed in procinto di sposarsi rimane ammaliato dal fascino esuberante di un intraprendente ragazza, riescono a supplire con la loro freschezza all’insipienza di una trama che dal triangolo amoroso non riesce a ricavare altro che banalità verbali e sfondi da cartolina. Troppo poco anche per il pubblico nostrano che infatti non ha gradito.

giovedì, luglio 14, 2011

The hunter

Un uomo torna a casa dal lavoro e scopre che moglie e la figlia sono morte. La versione ufficiale parla di una manifestazione in cui le due malcapitate sono state vittima del fuoco incrociato tra polizia e manifestanti. La disperazione lascerà presto spazio al desiderio di vendetta.

Nonostante i natali del suo regista, The hunter fissa fin dall’immagine della locandina (il protagonista vi appare ritratto come un cow boy urbano, appoggiato ad una macchina con lo sguardo che fissa l’orizzonte/frontiera) ambizioni e punti di vista che scavalcano i confini nazionali e trovano corrispondenze nella cultura cosmopolita del suo artefice, emigrato in Francia dove ha lavorato come aiuto regista con nomi illustri ed in cui ha potuto accedere ad un tipo di cultura aperta ad ogni tipo di influenza. Ne risulta quindi un film che pur mantenendo le caratteristiche del paese di provenienza, soprattutto per la sobrietà della messa in scena e per il pudore estetico (le “morti” del film sono sempre nascoste alla vista dello spettatore quand’anche fuori campo) si arricchisce di uno sguardo che deve molto alle arti pittoriche, soprattutto nella composizione delle singole inquadrature (le simmetrie delle vedute urbane e certi interni che sembrano catturare gli attori in spazi ristretti) e nel variegato uso dei colori.

Costruito alla maniera di una crime story americana, in cui la redenzione del personaggio principale deve fare i conti con un destino inesorabile, The hunter depotenzia le dinamiche drammaturgiche del genere per lasciare spazio agli elementi spaziali e temporali del racconto. Assistiamo allora ad un ripetersi di gesti, di espressioni (quella atona del protagonista) ma anche di singole scene che si dilatano e si ripetono per dare il senso di un destino inesorabile oppure per svuotare di senso un esistenza insondabile. Tanto la città quanto la foresta, coprotagoniste del film, risultano luoghi in cui l’individuo smarrisce la propria identità - in questo caso la scena finale con la sua macabra sorpresa sembra la traduzione di questa crisi- ed in cui l’assurdo, come in un romanzo di Camus, finisce per essere l’unico dato certo. A Pitts va dato atto di aver voluto tentare nuove strade, ma la contaminazione con le istanze del cinema occidentale non riescono a coniugarsi con la matrice originale. Molte cose rimangono nel vago,(ad esempio il nesso tra la polizia e gli omicidi della donna e della bambina), si risolvono senza un perché – l’uccisione dei due poliziotti ha un movente che si può intuire ma che non viene mai definito-oppure rimangono del tutto oscure (il protagonista è stato in carcere ma non ne sappiamo le ragioni). La sensazione finale è quella di una scommessa rimandata al prossimo tentativo.

Film in sala dal 15 luglio 2011

Harry Potter e i doni della morte - parte 2
(Harry Potter and the Deathly Hallows: part II)
GENERE: Azione, Fantasy, Avventura, Mystery
ANNO: 2011 DATA: 13/07/2011
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna, USA
REGIA: David Yates

Per sfortuna che ci sei
(La Chance de ma vie)
GENERE: Commedia
ANNO: 2009 DATA: 13/07/2011
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Nicolas Cuche

martedì, luglio 12, 2011

London boulevard

La voglia di redenzione deve sempre fare i conti con il passato di chi la cerca.


Mitchel è appena uscito di prigione. Ad aspettarlo gli amici di sempre, quelli con cui ha condiviso il malaffare e forse protetto con il suo silenzio. Pacche sulle spalle, proposte di “lavoro” ed il rispetto che si conviene a chi non ha parlato. Ma il tempo ha lasciato le sue tracce, e con quelle, anche una vita fatta di pensieri ed isolamento. La voglia di cambiare ha la faccia e soprattutto le nevrosi di una stella del cinema segregata nella propria abitazione. A lui il compito di proteggerla da un accolita di paparazzi che ne assediano la casa in cerca dello scoop. Un uscita di scena col silenziatore se non fosse che in queste storie i conti da pagare non finiscono mai.


Opera prima di William Monhan, già sceneggiatore di “The Departed”, “London Boulevard” ha le carte in regola per essere un film noir. Innanzitutto lo scenario, urbano, intricato, multietnico, pericoloso e poi, i personaggi, tutti, senza eccezione, segnati da un peccato originale che li spinge verso il male. E infine la scrittura, secca, senza compiacimenti, funzionale allo sviluppo dei caratteri e delle loro relazioni. Ed in effetti se non fosse per una certa, forse fin troppa somiglianza con una vicenda come quella raccontata in “Carlito's way” e per dei passaggi psicologici un po’ troppo affrettati, il film in questione avrebbe le credenziali per farsi ricordare. Merito di un esordiente che non fa nulla per ingraziarsi i favori del pubblico, riducendo all’essenziale i motivi di una storia d’amore (quella tra Charlotte e Mitchel) costruita sui non detti, e volta a definire le personalità più che il legame delle parti in causa, ma soprattutto capace di dare nuova linfa ad un gruppo di attori che per diversi motivi sembrava aver già dato il meglio di sé: da Colin Farell, strepitoso come non lo si vedeva più dai tempi di "In Bruges - La coscienza dell'assassino", e perfetto nell’incarnare la tenera ruvidezza di un tipo disposto a vendere l’anima al diavolo per difendere la parvenza di un umanità in parte compromessa, a Ray Winstone, un boss che fa a gara per crudeltà con quello interpretato da Nicholson nel film di Scorsese, per non dire di Ben Chaplin, finalmente trasandato ed intraducibile nel suo accento simil cockney e di David Thewlis, alle prese con un personaggio a cui la storia assegna, con un risvolto a sorpresa, il compito di fare il consuntivo di un destino che non prevede vincitori.

Uscito in Inghilterra con esiti commerciali non felici, London Boulevard è stato costretto a ridimensionare le sue pretese.
Distribuito in homevideo nel mercato americano il film giunge in Italia un po’ in sordina e sulla scia di una di popolarità che per Colin Farrel sembra in fase discendente. Nel suo caso questo film sembra fatto apposta per invertire la tendenza.

(pubblicato su ondacinema.it)


sabato, luglio 09, 2011

Drive angry

In un film del genere un attore come Nic Cage calza a pennello: non solo per l’immagine weirdo che ormai ne sovrasta la capacità artistica ed a cui si addice l’ennesima improbabile zazzera color giallo paglierino imposta dal ruolo, ma anche per la fisiognomica di un volto inesorabilmente declinato all’ingiù, per via di un età che, nel caso dell’attore americano, deve fare i conti con le conseguenze dei ritocchi chirurgici a cui lo stesso si è più volte sottoposto. Insomma le “doti naturali” dell’uomo coincidono perfettamente con quelle “inventate” per suo altergo, John Milton, un tipo a cui è negata la possibilità di essere normale. Un po’ come Nic Cage, nei film, ed anche nella vita.
Per una volta quindi anche i suoi più accaniti detrattori possono deporre gli strali e constatare che il nipote di Coppola appartiene di diritto allo scenario di un film concepito per deliziare le platee che in precedenza avevano amato il ritorno del B-movie, ed in particolare di quello "Grindhouse" targato Rodriguez e Tarantino. Nomi illustri e fin troppo altisonanti per un quasi sconosciuto come Patrick Lussier, già autore di un film targato 3D- l’horror movie “My bloody valentine”- e qui chiamato ad ampliare il gradimento di quel pubblico che ama i piaceri forti.



Ed è proprio la volontà di esagerare unita ad una sana passione cinefila che caratterizza la storia di John Milton, nome che da solo serve ad evocare Angeli caduti e paradisi perduti, fuggito dall’inferno per impedire ad una setta di assassini di sacrificare la nascitura che sua figlia aveva dato alla luce prima di essere uccisa dagli stessi. Ad accompagnarlo nella cavalcata motorizzata una wild girl decisa a riscattare i propri fallimenti ed un misterioso inseguitore dal nome, “Il contabile”, tanto improbabile quanto evocativo trattandosi di un essere “infernale”.
Lussiter non ci pensa due volte e fin dal primo fotogramma spedisce i suoi protagonisti nel mezzo di un paesaggio popolato da freak erotomani e violenti, dotati di un ego smisurato e capaci di uccidere per un nonnulla. Un mondo caotico ed egocentrico a cui importa soprattutto non passare inosservato. E così tra mani mozzate e automobili go kart , si susseguono scene stracult come quella davvero imperdibile di Milton che uccide i masnadieri continuando a copulare, oppure quella non meno trascurabile, per il contrasto tra la spensieratezza dell’esecuzione e la gravità del suo effetto in cui, Il contabile, perso nei ritmi di una musica da discoteca, si lancia da un posto di blocco con un camion pieno di liquido infiammabile.

La cinepresa segue le vicende enfatizzandole con rallentì esasperati, oppure lasciando spazio allavelocità di un montaggio che taglia i tempi morti a favore di un cocktail di decibel e morte. Cinema exploitation se c’è ne uno dove la necessità di approfondire è un esercizio di retorica - ed a farne le spese sono soprattutto personaggi di contorno appena abbozzati, e privi di quella caratterizzazione che, in film del genere, costituiscono il valore aggiunto della storia - ed in cui le citazioni, da "Terminator" a "Ghost Rider", sono la ciliegina sulla torta di un cinema che ricicla se stesso e fa di necessità virtù.

Punito al botteghino con un record al negativo (è il secondo peggior incasso nella storia dei film in 3D) Drive Angry avrebbe invece le qualità per appassionare gli amanti del genere, non fosse altro per l’ennesima prova di coraggio di Nicolas Cage, intenzionato a sfidare la propria credibilità con un personaggio ai limiti del trash. Il sorriso ebete che chiude il film dopo due ore di espressioni catatoniche può essere la sintesi di un attore diventato la caricatura di se stesso.

(pubblicato su ondacinema.it)

giovedì, luglio 07, 2011

Film in sala dall'8 luglio 2011

Ancora tu!
(You Again)
GENERE: Commedia
ANNO: 2010 DATA: 08/07/2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Andy Fickman

Balkan Bazaar
(Balkan Bazaar)
GENERE: Commedia
ANNO: 2011 DATA: 08/07/2011
NAZIONALITÀ: Italia, Albania
REGIA: Edmond Budina

Big Mama: Tale padre tale figlio
(Big Mommas: Like Father, Like Son)
GENERE: Azione, Commedia
ANNO: 2011 DATA: 08/07/2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: John Whitesell

Dreamland - La terra dei sogni
(Dreamland - La terra dei sogni)
GENERE: Azione, Fantasy
ANNO: 2011 DATA: 08/07/2011
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Sebastiano Sandro Ravagnani

Il ventaglio segreto
(Snow Flower and the Secret Fan )
GENERE: Drammatico, Storico
ANNO: 2011 DATA: 08/07/2011
NAZIONALITÀ: Cina, USA
REGIA: Wayne Wang

In viaggio con una rock star
(Get Him to the Greek)
GENERE: Commedia
ANNO: 2010 DATA: 08/07/2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Nicholas Stoller

L'Albero
(The Tree)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2011 DATA: 08/07/2011
NAZIONALITÀ: Australia, Francia
REGIA: Julie Bertucelli

L'Erede
(L'Erede)
GENERE: Drammatico, Noir
ANNO: 2011 DATA: 08/07/2011
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Michael Zampino