venerdì, aprile 27, 2012

The Rhum Diary

The Rum Diary. Cronache di una Passione” (The Rum Diary, 2011) è il quarto lungometraggio del regista inglese Bruce Robinson che torna dietro la macchina da presa dopo una ventina d’anni. Attore e sceneggiatore; è tornato all’opera di un film su richiesta di Johnny Depp (qui anche produttore insieme ad una schiera con tanti altri produttori esecutivi).
   “Senti puzza di bastardi..la verità è odore di inchiostro” dice Paul Kemp al suo amico Bob Salas mentre era con loro anche Moberg. E sì la vendetta profumata non riesce completamente ma c’è pur sempre uno yacth che aspetta per sbarcare in altri lidi. E sì che Paul può permettersi il lusso di ‘salire in poppa’. Un film disparato, macchiato e pieno di livori stomachevoli. Certo, ma produce un effetto poco convenevole e di gustosa voglia di lasciarsi andare: diramazioni, sensazioni e salubri i modi che si assaporano con vera goduria di immagini e con riprese ben delineate. Un centoventiminuti che non ti accorgi di rincoglionimento positivo e di pensieri strani. Tant’è che l’amico Bob senza mezzi termini dici a Paul: “Sei fatto coglione… bevi il rum!”. Inutile persuadersi di capire, basta prendere la palla al balza pur di assecondare il proprio destino e di far fuori (senza sconti e con vizio da ‘cazzone’ per niente intimorito) l’amico-nemico Sanderson e tutto il suo giro di amici e la sua girl Chenault, con sguardo infuocato (‘guarda che prende il sole nuda’ riferisce all’acuto giornalista nel primo incontro in villa con spiaggia privata). Come la vita si prende arriva e come arriva (senza fottersene) bisogna lasciare ogni idea lucida per una stranezza di gentilezza a chi vuoi (amici di cordata a cui il destino ha riservato ben poco e molta facile ebbrezza!).
   Siamo nel 1960 e Paul Kemp (Johnny Depp) giornalista di una certa bravura arriva a Puerto Rico per lavorare in un giornale locale (con grosse difficoltà) dove le notizie importanti sono di media levatura: dallo sport all’oroscopo (è quest’ultimo che gli viene affidato dal direttore Lotterman). I lettori vogliono sapere ‘chi vince non certamente chi perde’ e poi ‘l’astrologia è letta da tutti’; poco interessa come ma l’importante è vendere (comunque e con qualsiasi mezzuccio). Paul conosce Salas (un fotografo) e il suo amico sgangherato e fuori di testa Moberg (Giovanni Ribisi) e vuole ad ogni costo riuscire a sbarcare il lunario (in ogni senso). Quando conosce il ricco Sanderson non si lascia sfuggire l’occasione di un’offerta allettante (due alberghi in un’isola incontaminata per un pubblicità sena prezzo e una vista mare da sogno). Tutto con variazioni di ballo, alcool, intrecci strani e cazzeggiamenti di ogni sorta. Il vedere oltre quello che il regista ci rappresenta: i vero retroscena sono altezzosi e provocanti ma nascosti con un stile personalissimo.
   Una vita schiumata, rottamata e accanita di modi futili e persuasivi: una vecchia automobile ricompone il duo Paul-Bob ogni volta ma la gloria è sempre al limite di un burrone mai visto da vicino. La storia del testo originale dello scrittore Hunter S. Thompson è certamente non calligrafica e tantomeno infarcita del suo, ma resta una scrittura suadente, godibile e, per certi versi, fruibile. Un film che rimane non perfetto ma ingiustamente bistrattato e accantonato in un angolino per lasciarlo solo e senza menzione d’interesse. Tutt’altro la pellicola rimane impressa negli ambienti e nella messa in scena; tutti i personaggi assecondano bene la sceneggiatura e le danno una buona valenza. Un fiume di rum da assorbire con gusto e con gorgheggi continui per arrivare a fiamme alcooliche per allontanare ‘dallo schermo’ inermi poliziotti e nemici dei sogni. Perché il sogno americano si rivitalizza nel confine lontano di uno stato sconosciuto e di un oceano da toccare ed ammirare come ‘corrente di denaro’. Ma è anche vero che il “sogno è una pozzanghera di sangue” e il ritorno di una vita in poppa è di là da venire (con un finale che ‘sapientemente’ e ‘spudoratamente’ aleggia nella retorica modernizzata di un allungo di sogno nella notte dei balli e dei fuochi portoricani).
   Da notare i titoli di testa con il ‘volare’ di modugno-memoria cantata da Dean Martin nella  cover originale del 1958 mentre un areo sta sorvolando e poi atterrando a Puerto Rico. Di spessore la fotografia di Dariusz Wolski (che aveva già lavorato con Depp in tutta la serie ‘Pirati dei Caraibi’ e che aspettiamo nel nuovo “Promotheus” di Ridley Scott) che dilata i colori diurni e pasteggia bene con le oscurità e i girati interni e notturni dell’isola. Sceneggiatura dello stesso regista che ha un buon ritmo e gusto delle riprese. Spassosa e intelligente la prova di Depp come è buona quella di Michael Rispoli; tutto il cast risponde bene all’uopo.
   Voto: 7/8.
pubblicato da loz10cetkind

giovedì, aprile 26, 2012

film in sala dal 27 aprile 2012

The Rum Diary - Cronache di una passione
(The Rum Diary)
GENERE: Drammatico, Avventura
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Bruce Robinson

Ho cercato il tuo nome
(The lucky one)
GENERE: Drammatico, Guerra, Sentimentale
ANNO: 2012
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Scott Hicks

Il castello nel cielo
(Tenkuu no Shiro Laputa)
GENERE: Animazione, Fantasy, Avventura
ANNO: 1986
NAZIONALITÀ: Giappone
REGIA: Hayao Miyazaki

The Avengers
(The Avengers)
GENERE: Azione, Avventura
ANNO: 2012
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Joss Whedon

Maternity Blues
(Maternity Blues)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Fabrizio Cattani

lunedì, aprile 23, 2012

DIAZ - Non pulire questo sangue


recensione di Fabrizio Luperto





























I fatti
: Nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001, in occasione del G8 di Genova, dopo una giornata di scontri che lasciano sull'asfalto Carlo Giuliani, la polizia assalta la scuola "Diaz" all'interno della quale diversi manifestanti hanno cercato rifugio per la notte.
Quello che accadde all'interno dell'edificio fu definita “Macelleria messicana” da Michelangelo Fournier, uno dei poliziotti che parteciparono all'assalto, quando depose come imputato al processo.
Alla fine di quella notte tra gli occupanti della scuola si contarono 93 arrestati e 87 feriti. Dalle dichiarazioni rese dai 93 detenuti (molti dei quali oggetto di ulteriori violenze nella caserma-lager di Bolzaneto) nacque il processo in seguito al quale, degli oltre 300 poliziotti che parteciparono all'azione, 29 vennero processati e, nella sentenza d'appello, 27 sono stati condannati per lesioni, falso in atto pubblico e calunnia, reati in gran parte prescritti. Mentre per quanto accaduto a Bolzaneto si sono avute 44 condanne per abuso di ufficio, abuso di autorità contro detenuti e violenza privata.

Il Film: Luca (Elio Germano) è un giornalista di un quotidiano di centrodestra che il 20 luglio 2001 decide di andare a vedere di persona cosa sta accadendo a Genova durante il G8.
Alma (Jennifer Ulrich) è un'anarchica tedesca che ha partecipato agli scontri e ora, insieme a Marco un organizzatore del Social Forum è alla ricerca dei dispersi. Anselmo (Renato Scarpa) è un anziano militante della CGIL che ha preso parte al corteo pacifico contro il G8. Nick ( Fabrizio Rongione) è un manager francese giunto a Genova per seguire il seminario dell'economista Susan George. Max (Claudio Santamaria) è vicequestore aggiunto. Tutti si troveranno all'interno della scuola Diaz quando la polizia darà luogo alla mattanza.
In questa stagione il cinema italiano ha deciso di confrontarsi con le ingiustizie che hanno segnato la storia recente del nostro Paese. E se Marco Tullio Giordana con Romanzo di una strage indaga sui complotti di autorevoli esponenti dello Stato, Daniele Vicari (Velocità massima 2002 - Il passato è una terra straniera 2008) affronta quella che è stata definita da Amnesty International come "la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale".
Mettiamo subito in chiaro una cosa fondamentale: il film non si chiama "storia del G8 di Genova" nè tantomeno "tutte le sfaccettature politiche del G8" ecc.., il film si chiama Diaz e racconta esclusivamente quanto accaduto quella triste notte. Questo per evitare le sempre presenti (inutili) polemiche a sfondo ideologico e politico e anche perché quando un film si occupa di storia, incombe il rischio di dover fornire risposte, Vicari invece, si limita a mostrarci il "cosa e come" è accaduto, senza inventarsi nulla, è tutto vero e tutto è basato sugli atti giudiziari.
Alla Diaz e a Bolzaneto ci fu un comportamento criminale la cui principale vittima è stata la democrazia ed è grazie a chi ha raccontato, fotografato, indagato, che il nostro Paese può distinguersi dal Cile di Pinochet e l'Argentina di Videla.
Il regista reatino ricostruisce con agghiacciante realismo il furibondo massacro di coloro che erano presenti all'interno della scuola, le violenze e le umiliazioni inflitte con sadica ferocia.
Il film, nel suo complesso, è ben girato, con momenti di eccellenza come le riprese notturne dall'alto, con la colonna dei mezzi della polizia che crea un effetto cromatico davvero notevole (l'avesse girata M. Mannsarebbe stato osannato).
L'atmosfera di tensione all'interno della questura è realisticamente ricostruita, con dirigenti altezzosi che imbeccano giornalisti compiacenti prima e confusi, indecisi dopo, quando cercano di mascherare e minimizzare quanto accaduto.
Ottima l'intuizione di Vicari di far indossare ad una funzionaria di Polizia lo stesso vestito della vera polizotta immortalata all'epoca in diverse foto (si tratta della poliziotta che durante gli scontri indossava un vestito D&G e lunghissime unghie finte).
Per gli amanti dell'altra faccia del cinema si possono segnalare le sequenze con la descrizione delle sevizie e delle umiliazioni perpetrate dagli agenti di Polizia Penitenziaria, che ricordano vagamente le atmosfere dell'exploitation seventies europeo e questo la dice lunga su quanto è riportato negli atti del processo.
Come sempre, la buona riuscita di un film è dovuta anche alle seconde linee (anche se in Diaz non c'è un vero e proprio protagonista) e consumati professionisti come Mattia Sbragia e Renato Scarpa assicurano talento e solidità.
Nessuno potrà lamentarsi se un cittadino dopo aver visto il film, dirà di non fidarsi delle istituzioni, di non credere nella democrazia.
Il cinema italiano ha infranto un antico tabù e dopo A.C.A.B. – All Cops are Bastards di Stefano Sollima, ecco Diaz dove i cattivi sono quelli con la divisa blu e tonfa in mano.
I nomi dei personaggi non sono quelli reali (il rischio di denunce e querele con conseguente sequestro della pellicola era altissimo), ma sono facilmente riconoscibili.
Nessun distributore ha accettato di affiancare la Fandango per l’uscita in sala. Evidentemente il cinema italiano riesce ancora ad essere scomodo.
Crudo, a tratti insostenibile, necessario.

di Fabrizio Luperto

giovedì, aprile 19, 2012

film in sala dal 20 aprile 2012

Street Dance 2
(StreetDance 2)
GENERE: Sentimentale, Musicale
ANNO: 2012
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna
REGIA: Max Giwa, Dania Pasquini

Il primo uomo
(Le premier Homme)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: Francia, Italia
REGIA: Gianni Amelio

Quella casa nel bosco
(The cabin in the woods)
GENERE: Horror, Thriller
ANNO: 2012
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Drew Goddard

To Rome with Love
(Nero Fiddled)
GENERE: Commedia
ANNO: 2012
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Woody Allen

Una spia non basta
(This Means War)
GENERE: Azione, Commedia
ANNO: 2012
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: McG

sabato, aprile 14, 2012

Battleship



“Battleship” (id., 2012) è il sesto lungometraggio del regista
newyorkese Peter Berg che si occupa anche di tv, produzioni,
sceneggiature e attore (l’ultima apparizione è in “Lions for Lambs”
del 2007 di Robert Redford)..
Il film trova spunto dal gioco ‘Battaglia Navale’ e il pretesto per un
‘movie-platter-impero’. E sì…basta prenderlo per quello che è senza
porsi eccessive domande. Un divertimento non ansiogeno e tantomeno
molto adrenalinico ma semplicemente un accumulo di foghe narrative e
di immersioni (di effetti) speciali ma semplicistico e in fondo
(parlando di marina) anche godibile. Parte piano (primi 15
minuti…quasi inutili) ma poi un’ora di comandi, visuali attacchi di
giusta dimensione a forme extraterrestri di un pianeta G che l’uomo
(americano) crede di non vedere mai. Ma il faccia a faccia o meglio il
cannone-missile contro intelligenze bombe saettanti e fumanti dischi
rasoio-fuoco generano uno scompiglio nelle riunioni che contano e una
giusta incredulità del tutto. Niente di nuovo sotto il sole verrebbe
da dire con lo scontato pre-inizio con belle facce, visi radenti,
sorrisi di ordinanza e arruolati incazzati come per il facilone finale
con bei comandanti, ragazze in attesa, festa-spot e invito di saluto.
Tutto vero ma alla fine si passa una sera d’ordinanza marinaresca (con
bandiere sventolanti a stelle e strisce e cerchi nipponici) con giochi
ed effetti a gogò contro l’invasione aliena Regents. E quando si
tratta di salvare il mondo non si bada a spese ritirando fuori la
‘gloriosa’ Missouri ormai un museo galleggiante della marina
Statunitense. Il film diventa una retorica (riveduta) del doppio
comando occidente-oriente in terra hawaiana dopo i tristi ricordi (e
non solo) dell’attacco nipponico a Pearl Harbor. Il film contiene di
tutto: uno stile ‘jurassic park’ nelle scene all’interno dell’isola
dove non manca lo scienziato pazzoide e pauroso, uno stile guerriero
cartoon (appunto ‘ufo-robot’ do vecchia gloria), uno stile
‘trasformers’ con effetti rutilanti e accattivanti, uno stile
‘androide-aliien’ con il solito risveglio dell’essere inospitale, uno
stile ‘presa-in-giro- per non meglio farsela addosso, uno stile
‘guerra dei mondi’ con facce stupite e in alto (dove le pubblicita
‘coca.cola ancora sono evidenti) e uno stle melò(enso) per il rituale
chiedere il consenso del padre (per sposare la figlia). Tutto appare e
tutto costa in un caos di spari, missili e grida da soverchiare
l’udito del povero spettatore /che certamente non può essersi
addormentato). D’altronde l’ultimo colpo (proprio quello decisivo su
ordine del comandante in pectore) spetta di diritto a Cora Raikes
(alias Rihanna…alla sua prima prova da grande schermo): la ragazza non
manca certo di farsi notare e il suo sguardo fulminante zittisce la
compagnia in meno di un attimo. Sì certo una ‘bella’
attrice…d’altronde in film del(i) genere è difficile valutare la prova
di cotanta (aggluminata) bellezza (sic…). E il bacio di Samantha (cioè
di Brocklyn Decker…una lì per caso…ma visibile bene per le misure)
figlia dell’ammiraglio Shane (un Liam Neeson al risparmi da firma del
cartellino a prova di attore un po’ in vacanza) con il comandante
vittorioso (che ha salvato tutti dai Regents cattivissimi) è
abbastanza casto e con poco afflato. E sì che siamo oramai dalla parte
del fotoromanzo avventuroso e del bacio quasi reclame. Per la prossima
aspettiamo meglio. In chiusura le parole dei vari personaggi servono
quasi a nulla da ‘ahi cazzo’ ripetuto più volte dai vari all’incontro
a tu per tu con simili oggetti strani non identificati, a ‘andrà tutto
bene’ come si conviene, fino a ‘salveremo il mondo’ come un rituale
gioco di faccende personali che coinvolgono tutti noi (compreso il
gruppo spettatori che è restio ad uscire). Infatti mi becco i
chiassosi titoli di coda (quasi interminabili) e alla fine (proprio
alla fine) si vedono un gruppo di ragazzini che s’imbattono con uno
strano oggetto in piena campagna…ma ecco arrivare un tipo che con la
fiamma ossidrica vuole aprire il grande involucro ed ecco che di colpo
l’inquadratura da cielo azzurro fa vedere un arto che… Senza prendersi
in giro il film pare sia veramente finito. Certo le luci della sala
sono tutte accese. Ma qualcuno riguarda lo schermo…non è che c’è uno
scherzo finale (ancora…no…ahi…i Regents forse sono andati via..per
sempre). E.T ha già telefonato a casa (film in battuta centrale). Ciao
e alla prossima. E’ veramente finito.
Goduria leggera senza aspettative e con poche invogliate freschezze ma
basta per non sognare troppo e riderci un po’ su.
Un voto medio(cremente) sufficiente (5/6).

recensione di loz10cetkind.

giovedì, aprile 12, 2012

film in sala dal 13 aprile 2012

Battleship
(Battleship)
GENERE: Azione, Fantascienza
ANNO: 2012
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Peter Berg

Bel Ami
(Bel Ami)
GENERE: Drammatico, Sentimentale
ANNO: 2012
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna, Italia
REGIA: Declan Donnellan, Nick Ormerod

Ciliegine
(Ciliegine)
GENERE: Commedia
ANNO: 2012
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Laura Morante

Diaz
(Diaz)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2012
NAZIONALITÀ: Francia, Italia, Romania
REGIA: Daniele Vicari

Poker Generation
(Poker Generation)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2012
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Gianluca Mingotto

mercoledì, aprile 11, 2012

Piccole bugie tra amici


Squadra che vince non si cambia. Il detto calcistico torna utile anche al cronista voyeur chiamato ad occuparsi dell'ennesimo caso del cinema francese. Squilli di tromba e strilli sui giornali il nuovo parto dei cugini d'oltralpe arriva nel paese con la risonanza molto glamour che da un pò di tempo accompagna ogni manifestazione di quella cinematografia. Ai nostri distributori non è sembrato vero di ritrovarsi in mano un titolo finito in naftalina e rispolverato per l'improvvisa notorietà di alcuni dei suoi interpreti tra cui distinguiamo i premi Oscar Dujardin e Cotillard ed il protagonista di "Quasi amici" campione a sorpresa di questo scorcio di stagione. Uno scoop in corso d'opera che rischia di rimanere tale per inconsistenza ed ovvietà perchè a conti fatti "Piccole bugie fra amici" pur ambendo a classici come "Il grande freddo" ripreso nella struttura del rendez vous amicale funestato da prematura dipartita (in questo caso l'amico non è morto ma quasi) ed alla spontaneità filmica di opere come quelle di Cassavetes e di Sautet, più volte citati in sede di presentazione per il taglio fenomenologico a cui aspira l'intera operazione, si rivela più che altro un occasione per il regista ed i suoi interpreti di lasciarsi trasportare da una libertà artistica ed attoriale da altre parti sempre meno perseguibile. Una forza che il film trova soprattutto nella complicità tra il regista Guillame Canet e la sua compagna, l'attrice Marion Cotillard, capace di aggregare intorno a loro compagni di viaggio disposti ad assecondarli nella costruzione di una storia che approfitta di una vacanza estiva per mettere a confronto le esistenze di un umanità alle prese con le solite insoddisfazioni, coniugali ed esistenziali: dai mariti in crisi di identità che si innamorano del migliore amico a quelli sull'orlo di una crisi di nervi per la minima sciocchezza - il personaggio interpretato da Cluzet ad un certo punto abbatte il muro della sua casa per catturare gli animaletti che non lo fanno dormire – oppure depressi perché la compagna li ha lasciati per la loro insulsaggine. Un film al maschile quindi, come testimonia il ruolo marginale svolto dalle donne, che ad eccezione di quello della Cotillard, peraltro irrisolta a tal punto da giustificare gli atteggiamenti superficiali che gli rivolge di chi le sta intorno, hanno il compito di contenere le frustrazioni del sesso forte, e per la capacità di questi di relativizzare le cose, di metterle tutte sullo stesso piano, considerando la vita alla stregua di un grande luna park in cui tornare ogni volta che c’è bisogno di non assumersi le proprie responsabilità.

Così, reiterando una liturgia comportamentale fatta di abbracci occasionali e di pacche sulle spalle, la storia attraversa gli uomini e le cose con una liquidità che appartiene al tempo presente per la capacità di attirare su di sé un attenzione totalizzante, fatta di momenti ad alta densità sensoriale – nel film la musica prende progressivamente spazio con esecuzioni ai limiti della sopportabilità acustica - ed emotiva – quelli in cui il film sembra superare il punto di non ritorno con improvvise esplosioni di energia – destinate però a confluire in un nulla di fatto per gli spostamenti infinitesimi prodotti sulle sorti dei personaggi, che di fatto, e nonostante quell’esperienza, rimangono attaccati alla loro iniziale inconsistenza. Ad alimentare i sospetti di un prodotto ammiccante ma sostanzialmente vuoto una regia che si ripete, accumulando scene madri e situazioni limite, seguite da lunghe pause in cui la mdp con uno stile da spot pubblicitario (con riprese che sembrano vendere il modello di vita che contengono) incornicia la libera uscita dei suoi personaggi, dapprima concentrati sulle loro angosce e poi improvvisamente catapultati in un paesaggio di infinita bellezza, liberati dalle parole ( il commento musicale le sostituisce con pezzi discografici di massima tendenza) e dall’impegno con se stessi.

Campione d’incassi nel proprio paese “Piccole bugie fra amici” è solo il primo di una lunga lista di film provenienti da un paese che anche da noi ha incrementato la propria fetta di mercato. Speriamo solo che la campagna acquisti dei nostri produttori non sia solo il frutto di una moda da monetizzare fintanto che funziona. Questo film qualche sospetto potrebbe farlo venire.

lunedì, aprile 09, 2012

Non dirlo a nessuno

Il cinema francese si è spesso distinto per le sue storie amare e disincantate, dove l'elemento esistenziale ha trovato una delle sue migliori espressioni in storie di ordinaria violenza. Lontano da esagerazioni spettacolari e con interpretazioni poco divistiche quella cinematografia ha praticamente inventato un genere "il polar" a cui anche il corrispettivo americano di è dovuto spesso inclinare. Non è quindi una caso che il quasi debuttante Guillame Canet, noto ai più prima come attore, e poi anche per essere il compagno di Marion Cotillard, si sia affidato ad un genere così tradizionale per l'opera seconda, quella che generalmente conferma o meno le possibilità di una carriera. E neanche a farlo apposta la scelta di offrire il ruolo da protagonista a Francois Cluzet ("Quasi amici" ma anche "Piccole bugie tra amici") attore versatile - il suo curriculum spazia dal dramma alla commedia - ma costituzionalmente predisposto ad incarnare una tipologia umana costantemente ripiegata sulle proprie nevrosi, è indicativa sulla scelta di assecondare le caratteristiche del genere, con un personaggio fisiognomicamente consueto, ma eccezionalmente dotato sul piano nervoso ed emozionale. Peculiarità che il film mette a disposizione di un storia in cui l'amore struggente di un uomo (Alexandre) per la moglie (Margot) misteriosamente assassinata deve fare i conti con l'ossessione della sua mancanza, alimentata prima dalla riapertura del caso da parte degli organi giudiziari, e successivamente dai segni di una sua possibile esistenza. Se la vicenda si sviluppa secondo canoni consueti, con le indagini della polizia volte a far quadrare i conti a discapito del marito che attraverso la ricerca della verità cercherà di dimostrare la sua innocenza, la trama esce progressivamente dall'alveolo della normale crime story, comunque presente con inseguimenti e depistaggi, per accogliere suggestioni di stampo Hitckochiano ("Vertigo") quando prima la mancanza, e poi la speranza di un possibile ricongiungimento con l'amata danno vita ad una serie di sequenze in cui il passato che ritorna si colora di mistero, presentando il personaggio della donna ed il menage matrimoniale sotto una veste nuova e sorprendente.


D'altronde pur mantenendosi nelle vicinanze di un realismo mai spinto ai limiti dell'adesione per la presenza di una trama a tratti troppo alambiccata, e con alcuni passaggi messi dentro a forza, "Non dirlo a nessuno" si colora fin da subito di elementi onirici ed ancestrali, con la sequenza di apertura che dapprima tratteggia un infanzia edenica ed un amore nato sullo sfondo di una natura senza tempo e poi si sposta sulle sponde del lago, dove di lì a poco si verificherà il terribile misfatto. Immersa in un atmosfera rarefatta per l'assoluto isolamento dei due personaggi, calata nei contorni indefiniti della notte, e dominata dalla presenza delle acque del lago a cui gli amanti offrono i loro corpi nudi, la sequenza che da via alla vicenda è la sintesi di un film che usa l'elemento psicanalitico - il rapporto di Margot con il proprio padre e quello di Alexandre con la sorella risulteranno decisivi nella soluzione della vicenda - come motivo di coinvolgimento emozionale. Canet che per il film si aggiudicò addirittura il Cesar per la migliore regia non si dimentica del primo amore privilegiando la recitazione ed i primi piani, realizzati con la solita ensemble di attori giunti in aiuto con insolita generosità. Una qualità che va a discapito del contesto ambientale, incapace di determinare gli umori della storia - eccezion fatta per la parte in cui Alexandre scappa dai chi lo vuole catturare percorrendo strade e vicoli della periferia parigina - oppure eccessivamente stilizzato quando nelle sequenze ambientate nella foresta e nel lago, vorrebbe farlo. Difetti che però non mettono a rischio la bontà di un film che è impossibile seguire con distacco. A distanza di tempo e con il successo del nuovo film appena uscito nelle sale possiamo dire che "Non lo dire a nessuno" è stato in qualche modo profetico per le sorti del giovane cineasta.

giovedì, aprile 05, 2012

film in sala dal 6 aprile 2012

Act of Valor
(Act of Valor)
GENERE: Azione, Thriller, Avventura
ANNO: 2012
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Mike McCoy, Scott Waugh

Biancaneve

(Mirror, Mirror)
GENERE: Commedia, Drammatico, Fantasy
ANNO: 2012
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Tarsem Singh

I più grandi di tutti
(I più grandi di tutti)
GENERE: Commedia
ANNO: 2012
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Carlo Virzì

Pirati! Briganti da strapazzo
(The Pirates! Band of Misfits)
GENERE: Animazione, Avventura
ANNO: 2012
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna, USA
REGIA: Peter Lord, Jeff Newitt

Good as you
(Good as you)
GENERE: Commedia
ANNO: 2012
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Mariano Lamberti

Piccole bugie tra amici
(Les Petits mouchoirs)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Guillaume Canet

Pollo alle prugne
(Poulet aux prunes)
GENERE: Commedia, Drammatico
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud

Titanic in 3D
(Titanic 3D)
GENERE: Drammatico, Sentimentale
ANNO: 2012
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: James Cameron

lunedì, aprile 02, 2012

Act of valor




Ci sono film che seppur qualitativamente limitati sono destinati a rimanere come reperto di una mentalità o di un punto di vista. In questa senso il cinema hollywoodiano quale cassa di risonanza del sentimento nazionale ha spesso offerto una visione del mondo in cui la funzione salvifica si esplica quasi sempre con un uso della violenza necessaria alla realizzazione di quel concetto.

Così ogni volta che c’è stato bisogno di mostrare i muscoli questa manifestazione è stata preceduta da un impalcatura di immagini costruite ad hoc per trasformare la morte in un bisogno assolutamente necessario. Donne in pericolo, innocenti da salvare, famiglie da cui tornare sono diventate con il tempo lo slogan capace di far passare qualsiasi nefandezza.

E se in molti casi quel messaggio era stato edulcorato con le forme dell’intrattenimento del cinema mainstream ciò non avviene in un film come “Act of Valor” prodotto indipendente che spinge sull’acceleratore del realismo con il sostegno dell’esercito capace di fornire mezzi , uomini (alcuni attori sono veri e proprio soldati) e consulenza.

Un prodotto a quattro mani realizzato da un ex stunt - man e da un regista poco più che esordiente in grado di mettere in pista un format da video game (la soggettiva con l’arma che spunta sullo schermo sembra la fotocopia di tanti giochi a tematica bellica) con la trama, una squadra di Navy Seals chiamata a salvare il paese dal pericolo di un nuovo 11 settembre, che usa ogni pretesto per scomparire sotto una gragnola di pallottole ed esplosioni.

A beneficiarne è sicuramente l’adrenalina, sollecitata dalle abilità dei superman in uniforme e dall’efficacia della messa in scena, a cui il film porta in dote la capacità di restare aderente allo sviluppo dell’azione con una pulizia di immagine che si mantiene sempre tale, evitando le derive caotiche e frammentarie dello stile combact film.

A non funzionare però è il progetto finale, fin troppo scoperto nel diffondere la supremazia etica e morale (il binomio patria e famiglia è il parametro di tutte le cose) di quel paese, ed in controtendenza, per l'unilateralità della sua visione, rispetto alle scelte di basso profilo, almeno a parole, continuamente richiamate dalla politica di Obama.

Al contrario il film fa di tutto per esasperare gli animi con un richiamo alle armi che la voce off supporta nei commenti infarciti di pathos e di retorica. Così tra un combattimento e l’altro la vicenda fa in tempo a sciorinare clichè che, dal barbeque organizzato alla vigilia della partenza in un tripudio di amicizia e fratellanza ai tramonti vissuti sopra una tavola da surf insieme all'amico del cuore, ci ricordano l’importanza di preservare un modello di vita messo a rischio dalle azioni del nemico.

Una rappresentazione ideale che coesiste a fatica con il crudo realismo messo in campo nello sviluppo dei combattimenti e che per eccesso di enfasi finisce per assomigliare ad una chiamata alle armi organizzata per rinfoltire le schiere di nuovi adepti.

Prodotto dalla Bandito Bros messa in piedi dal duo registico formato da Mike McCoy e Scott Waugh, il film ha avuto un buon successo di pubblico tanto che uno di loro è in procinto di girare il nuovo film con Schwarzeneggwer. Una promozione ottenuta sul campo ma che lascia pochi margini ad un eventuale inversione di tendenza.