giovedì, dicembre 30, 2010

8 Million way to die

8 Million way to die
di H. Ashby


Una città tentacolare e la voce di una fine anticipata. I numeri della violenza snocciolati dai burocrati del crimine danno parola all’indifferenza di una città ridotta ad un grumo di strade perdute.
La sequenza iniziale, panoramica dall'alto di un arteria stradale in overdose di clienti con commento fuori campo a definire lo spazio d’azione di una scena altrimenti anonima, sono il biglietto da visita di un film che tenta di mettere insieme il compendio esistenziale di Hal Ashby un autore in lotta con la vita, e le regole di un genere, la crime story, che di lì a poco e con differenti nomi (neo noir) sarebbe diventato la forma di cinema più adatta a rimettere insieme i pezzi di un mondo andato in frantumi.
Non è difficile infatti riconoscere nel percorso esistenziale di Matt Scudder, interpretato da un Jeff Bridges, un ex poliziotto che cerca di redimersi aiutando una prostituta a liberarsi dal proprio carnefice, i segni di una biografia fortemente segnata dall’uso di additivi, nel film la tossicodipendenza diventa alcolismo, e da una diversità difficilmente assimilabile dal sistema-dopo la sua fuoriuscita Scudder continua a comportarsi come un poliziotto ma lo fa a modo suo e di fatto il desiderio di rientrare nei ranghi finisce in secondo piano rispetto alle urgenze della vita - cosi’ come le convenzioni del genere, riassunte nella struttura di un racconto circolare in cui l’identità perduta e poi ritrovata è il pretesto per un percorso attraverso i gironi di un inferno che ha il profumo di una città dal ventre molle.
Certo il paragone con il resto della filmografia del regista fa difetto alla sua ultima opera, soprattutto perché la visione caustica della realtà e la contagiosa ingenuità dei suoi personaggi più famosi (Harold e Maude) è qui sostituita da un pessimismo spalmato a piene mani nelle rispettive esistenze dei personaggi coinvolti nella vicenda, invischiati in una solitudine dorata ma letale (le due prostitute che per differenti ragioni cambieranno la vita di Scudder, ma anche Maldonado, trafficante di droga rinchiuso in una torre d’avorio piena di cadaveri per non parlare del protagonista principale, abbandonato dalla famiglia e costretto ad elemosinare l’attenzione della figlia) ma soprattutto da una sensazione di immobilismo che non permette a nessuno di tirarsi fuori dalla propria infelicità.
Ashby è bravo ad inserirsi negli spazi della crisi, nelle frazioni di tempo in cui bisogna decidere se vivere o morire. È lì, in quella penombra di sguardi e di silenzi, di corpi fiaccati dal tempo e dalle abitudini che emerge il talento di un regista abituato a lavorare per gli attori. E’ per questo che pur in un panorama rappresentato con molte approssimazioni (i ruoli antagonisti rimangono poco caratterizzati ed anche gli ambienti sono ridotti ad un realismo di facciata), non si può non mettersi dalla parte di Scudder, interpretato con sofferta partecipazione da Jeff Bridges, cavallo di razza piegato ma non abbattuto, con le scarpe bucate ed i vestiti da due soldi, eppure regale nella sua dignità fatta di poche parole e molto sentimento, pronto a riconoscere negli altri il riflesso di se stesso e per questo a coinvolgersi senza mezzi termini.
Anima e cuore di un film diseguale ma sincero, sfuggito più volte di mano al suo artefice per motivi produttivi ed uscito nelle sale americane solamente in versione video.
Hal Ashby è stato una figura di riferimento del cinema americano degli anni '70, ma la sua filmografia seppur caratterizzata da successi importanti (Coming home, Being there, The last detail) è passata sotto silenzio. A rimanere più impressi sono stati la vita da outsiders ed i comportamenti fuori dalle righe.
Sean Penn ha dedicato a lui ed a John Cassavetes "Indian Runner" il suo esordio cinematografico. Un accostamento che gli rende giustizia.

domenica, dicembre 26, 2010

Ladro di bambini

Rosetta e Luciano sono due fratellini che il destino mette nelle mani di Antonio, il carabiniere calabrese che li deve accompagnare all’istituto per minori, dopo l’arresto della madre, colpevole di far prostituire la figlia con avventori occasionali. Antonio è inizialmente distaccato, risentito (“ma non li potevano affidare all’assistente sociale” dice senza neanche conoscerli) rispetto ad un incarico che sembra sminuirlo agli occhi di un ego che guarda a quella carriera come un mezzo per emanciparsi dai problemi della terra natia. Poi, complice il rifiuto dell’istituto demandato all’accoglienza dei bambini ed al conseguente prolungamento del viaggio verso la nuova destinazione, inizia ad affezionarsi ai due ragazzi di cui nessuno sembra volersi curare.
Dopo una serie di film in cui l’impegno civile si traduceva nella scelta di soggetti legati alla Storia del nostro paese (I ragazzi di via Panisperna, Colpire al cuore, Porte Aperte), Gianni Amelio cambia registro per fare i conti con le urgenze di una vicenda umana e personale, che solamente le necessità di consolidare un mestiere iniziato per scommessa e continuato per passione, avevano potuto rimandare. Così il trauma di un padre partito per Lamerica e mai più ritornato rivive nella trasposizione cinematografica negli occhi e negli sguardi dei due piccoli protagonisti, costretti a fare i conti con il dolore di un affetto negato e con un mondo che li punisce per una colpa che non hanno commesso. Amelio decide di raccontarsi e di raccontare la propria esperienza attraverso la storia di un infanzia violata, in cui l’indifferenza degli uomini, delle istituzioni e della loro leggi è ancora più dolorosa della causa che l’ha creato. Inizialmente separati dalle rispettive esperienze, i tre personaggi si ritrovano accomunati nella stessa condizione di umiliati ed offesi fino a quando, per una situazione contingente, anche Antonio, finalmente solidale con i due diseredati, dovrà fare i conti con i meccanismi di un sistema che scambia la sua solidarietà per un colpo di testa e lo costringe a rientrare nei ranghi, a diventare come gli altri, indifferente e duro, pena la messa a rischio del posto di lavoro. Girato con uno stile che sembra entrare in punta di piedi nella vita dei suoi personaggi (siamo lontani dal “combact film” che avrebbe caratterizzato il cinema d’autore degli anni successivi), “Ladro di bambini” è in realtà, anche sotto questo profilo un film capolavoro. Sintonizzato sulle note musicali che Francesco Piersanti riduce all’essenziale, suoni dell’anima che fanno da contraltare agli hit musicali dell’epoca (tra cui “I Maschi” di Gianna Nannini e “Le mani” di Zucchero), Amelio gira con tempismo eccezionale, utilizzando un procedimento a fisarmonica che espande e poi condensa l’anima del suo film all’interno di un intreccio volutamente esile, fatto apposta per evidenziare, senza dare la sensazione di farlo, i rami secchi di una società in decadenza: dal quartiere dormitorio che dà l’avvio alla vicenda, simbolo di un nord dove l’immigrazione non si è mai integrata, ai palazzi della capitale in perenne decadenza, e poi con le case abusive del paesaggio calabrese, il regista sembra voler concretizzare in maniera precisa lo sradicamento esistenziale che attanaglia i protagonisti: che si tratti della casa degli orrori dove i due bambini hanno trascorso la loro giovane vita, oppure di quella senza identità, presa in affitto dai colleghi di Antonio, così come l’abitazione della sorella, una specie di ibrido architettonico, con il ristorante al piano terra e le camere senza finestre al piano di sopra, il dramma si acuisce nella mancanza di un posto dove andare od uno in cui tornare. Un disagio che il film riproduce attraverso la presenza costante dei bagagli che i tre sono costretti a trascinarsi: ingombranti, poco maneggevoli quei pesi diventano non solo l’evidenza di una costrizione fisica, ma anche il simbolo di un peso morale, di un marchio che impedisce di essere liberi. Una condizione logorante evidenziata nella scelta di restituire gli spazi della tregua in interni scarsamente accoglienti o normalmente delegati ad altro, come gli interni della macchina che Antonio ha preso in affitto o le sedie della stazione dove aspettano il treno che li porterà in Calabria, che tolgono allo spettatore qualsiasi possibilità di ricondurre quei momenti all’interno delle proprie consuetudini (al contrario i luoghi deputati al riposo diventano il palcoscenico di questo inferno metropolitano). Ma è soprattutto nei corpi e nei volti dei protagonisti, su cui la telecamera si sofferma, che il film costruisce la sua memoria: Amelio li mette sempre al centro della scena, insieme o separati, ne coglie gli umori attraverso gli sguardi reticenti, l’andatura indolente, il rumore dei silenzi, ma al contempo evita il melò raffreddando la scena con un paesaggio privo di quella retorica che spesso accompagna molto cinema italiano. Caratterizzato da continui cambi di luogo, “Ladro di bambini” si avvantaggia di questo dinamismo per enfatizzare l’immobilismo del mondo che fa da sfondo alla vicenda: i bambini all’interno dell’istituto religioso costretti nei banchi dal dettato della suora, le forze dell’ordine trincerate dietro scrivanie piene di carte, la famiglia di Antonio arroccata dentro un ristorante che sembra un fortilizio, diventano lo specchio di un umanità incapace di comunicare (e quando lo fa usa un linguaggio burocratico e pieno di luoghi comuni) e ripiegata su se stessa. Amelio sceglie di non gravare sullo stato emotivo dei suoi protagonisti e per questo allontana la telecamera quando Rosetta è costretta a prostituirsi, utilizza i campi lunghi per custodire meglio i rari momenti di felicità o allentare la tensione, trasformando il mezzo cinematografico in un espediente taumaturgico capace di agire sulle endorfine degli esseri umani.Destinato a diventare la prima puntata di un ideale trilogia (“Lamerica” e “Così ridevano” completano il trittico) in cui la ricerca della propria identità non potrà prescindere dal recupero del rapporto paterno, seppure surrogato da un serie di figure sostitutive (Il vecchio “Piro Milkani” de Lamerica e “Giovanni” il fratello maggiore di Così ridevano), “Ladro di bambini” riportò all’attenzione mondiale un cinema italiano che da tempo attendeva un riconoscimento a livello internazionale. Il Gran premio della giuria al festival di Cannes del 1992, l’Oscar europeo come miglior film ed un'altra serie di premi collaterali furono il giusto riconoscimento per uno dei film più importanti dell’ultimo ventennio.

giovedì, dicembre 23, 2010

Film in sala dal 24 e 31 dicembre 2010

DAL 24 DICEMBRE

Le avventure di Sammy - Il passaggio segreto
(Around the World in 50 Years 3D)
GENERE: Animazione, Avventura
ANNO: 2009
NAZIONALITÀ: Belgio
REGIA: Ben Stassen

Un altro mondo
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Silvio Muccino

DAL 31 DICEMBRE

Tron Legacy
(Tron Legacy)
GENERE: Azione, Fantascienza, Thriller
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Joseph Kosinski

domenica, dicembre 19, 2010

The tourist


"The Tourist", film del regista diventato famoso per "Le vite degli altri" e qui irriconoscibile in una storia senza fiato, divisa tra l'alone romantico di una coppia a spasso per i calli veneziani e la suspence di una caccia al ladro in versione italica. Un bacio ed una pistola orchestrato da una partitura di parole perennemente in ritardo ed incapace di creare scenari di credibilità cinematografica.
Un mix di generi e di intenzioni che diventa il lievito di uno spettacolo svilito dalla deferenza verso una città scenografia e dall’ambizione di conciliare uno spirito scanzonato da cavalleria rusticana con il fascino di un valzer al chiaro di luna. Deep e Jolie come il Leone di piazza San Marco vivono di una staticità che ricorda le pagine dei magazine, mentre una pletora di attori italiani si svilisce pur di vivere il riflesso di tale celebrità. Lanciato come strenna natalizia per contrastare i cinepanettoni, “The Tourist” è in realtà un prezioso alleato del loro futuro successo.

venerdì, dicembre 17, 2010

Jack goes boating

L'importante è sentirne la necessità. Se poi oltre al desiderio di un attore che cerca di reinventarsi circumnavigando la macchina da presa si deve prendere in esame i risultati di questa esperienza, allora l'emotività è costretta a fare i conti con la ragione e per quanto si possa amare uno straordinario uomo da palcoscenico, un artista che è riuscito ad imporsi rimanendo se stesso, cosa non facile in un mondo di lustrini, bisogna dire che l'esordio da regista di Philip Seymour Hoffman è piuttosto deludente.
E questo non perché la storia di Jack e Connie, due 40 enni teneramente problematici ed affetti da reciproca attrazione rientri nel clichè di tanto cinema indipendente per la scelta di portare in primo piano una diversità senza compromessi, Jack ha l'ingenuità di un bambino ed al limite dell'afasico mentre Connie è afflitta da perenne disistima, e filmata con i tempi dilatati di chi intende andare oltre l'apparenza. E neppure per la sensazione di uno spettacolo più adatto al palcoscenico che al buio illuminato della sala, nonostante il tentativo di allargare al mondo esterno, New York e le sue strade ma anche Central Park e persino L'Hotel Waldorf Astoria rientrano nella topografia di una metropoli come al solito protagonista, una vicenda pensata inizialmente per il teatro (lo sceneggiatore Robert Glaudini è anche l'autore della piece da cui è tratto il film) .

Niente di tutto questo, o forse, non solo questo, ma piuttosto la decisione di non rischiare nulla da parte di un regista che usa se stesso (ed anche gli altri attori) seguendo alla lettera la lezione di quelli che l'hanno preceduto: una ricetta che prevede come unica soluzione l'inquadratura del malinconico faccione alla ricerca del lampo di genio che fa la differenza.

Ed in effetti l'Hoffman attore la differenza la fa: basterebbe vedere la tenerezza prodotta dalla sua figura corpulenta alle prese con le lezioni di nuoto che Jack riceve dall'amico, oppure gli impacciati dialoghi con la futura fidanzata, un mix di imbarazzo ed intraprendenza da personaggio delle favole, per far spostare l'ago della bilancia a favore dell'intero pacchetto. Ma il fatto di poter contare su questo valore aggiunto sembra adagiare il suo alterego in una regia senza invenzioni, che fa il paio con una sceneggiatura troppo attenta a rispettare le fasi di un innamoramento destinato ad accontentare le anime più romantiche.
Più che un occasione mancata "Jack goes boating" potrebbe essere il prezzo da pagare di chi sa di aver qualcosa da perdere. In questo senso aspettiamo con fiducia il seguito di questa nuova carriera.

(pubblicato su ondacinema.it)

giovedì, dicembre 16, 2010

Film in sala dal 17 dicembre 2010

The Tourist
(The Tourist)
GENERE: Drammatico, Thriller
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Francia, Italia, USA
REGIA: Florian Henckel von Donnersmarck

American Life
(Away We Go)
GENERE: Commedia, Drammatico, Sentimentale
ANNO: 2009
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna, USA
REGIA: Sam Mendes

La banda dei Babbi Natale
(La banda dei Babbi Natale)
GENERE: Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Paolo Genovese

La bellezza del somaro
GENERE: Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Sergio Castellitto

Le cronache di Narnia: il viaggio del veliero
(The Chronicles of Narnia: The Voyage of the Dawn Treader)
GENERE: Fantasy, Avventura
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna
REGIA: Michael Apted

L'esplosivo piano di Bazil
(Micmacs à tire-larigot)
GENERE: Commedia
ANNO: 2009
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Jean-Pierre Jeunet

Megamind
(Megamind)
GENERE: Animazione, Commedia, Family
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Tom McGrath

Natale in Sudafrica
(Natale in Sudafrica)
GENERE: Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Neri Parenti

lunedì, dicembre 13, 2010

LA BANDA VALLANZASCA - Italia '70. Il cinema a mano armata (19)

LA BANDA VALLANZASCA
Regia: Mario Bianchi
Cast: Enzo Pulcrano - Gianni Diana - Antonella Dogan - Franco Garofalo - Stefania D'amario - Paolo Celli


IL FILM: Roberto (Enzo Pulcrano) evade dalla prigione insieme al suo compagno di cella Italo (Gianni Diana). Dopo aver tentato una rapina durante il matrimonio dei rampolli di due potenti famiglie mafiose, i due vengono assoldati da una misteriosa e potente organizzazione criminale dedita ai sequestri di persona.
Durante un posto di blocco, i due compari perdono la calma e danno vita ad un conflitto a fuoco con la polizia dove l'unico a restare in vita è Roberto.
Una volta messosi al sicuro, Roberto viene incaricato dall'organizzazione di portare a termine il sequestro della giovane figlia (Stefania D'amario) di un noto petroliere.

COMMENTO: Uno dei tanti film a bassissimo costo spediti nelle sale di seconda e terza visione per sfruttare il successo del filone più in voga del momento (come già accaduto con lo spaghetti-western).
Il film è sciatto, mal recitato, quasi privo di sceneggiatura, infarcito di dialoghi allucinanti che spesso sfociano nel comico involontario.
La sceneggiatura (se così la possiamo chiamare) ci regala alcune "chicche" indimenticabili già nella prima mezz'ora: Appena fuggiti di galera, Roberto e Italo si presentano al matrimonio dei figli di due potentissimi boss (come erano a conoscenza dell'evento?) e chiedono di Riccardo, un tale che ovviamente non conoscono, ma che subito mette a loro disposizione un arsenale che custodisce nel ristorante dove è in svolgimento il banchetto ( è noto che tutti gli invitati ad un matrimonio custodiscono quantità industriali di armi all'interno del ristorante), ovviamente i nostri "eroi" con quelle stesse armi prima ammazzano Riccardo e poi tentano di rapinare tutti gli invitati (chi non tenta di rapinare due famiglie malavitose al gran completo?) quando le cose si mettono male ecco sbucare dal nulla gli uomini dell'organizzazione (come sapevano che Roberto e Italo erano fuggiti di galera e si erano recati in quel locale?).
Finale assurdo, dove si rievoca (a parole) la situazione politico-sociale dell'Uruguay del '73, che ovviamente nulla a che spartire con quello che abbiamo visto sullo schermo.
Mi fermo qui, il resto ve lo lascio immaginare.
Totalmente inbarazzante il fatto che il titolo del film faccia riferimento a Renato Vallanzasca, estremo tentativo per cercare di attirare pubblico in sala, visto che nel film il bandito non viene mai citato e non vi è alcun riferimento alla banda della comasina.

CURIOSITA' e NOTIZIE: Il protagonista Enzo Pulcrano era un ex pugile (pesi medi).
Nei titoli di testa si può notare che la pellicola risulta essere prodotta dalla fantomatica "Canadian International Film", che doveva essere proprio ridotta male visto che il regista Mario Bianchi dichiarò in una intervista che non aveva neanche la pellicola per girare e che si era procurato degli spezzoni rovistando nei magazzini.

giovedì, dicembre 09, 2010

Film in sala dal 10 dicembre 2010

Cyrus
(Cyrus)
GENERE: Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Jay Duplass, Mark Duplass

I due presidenti
(The special relationship)
GENERE: Drammatico, Storico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna, USA
REGIA: Richard Loncraine

In un mondo migliore
(Hævnen)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Danimarca
REGIA: Susanne Bier

My Lai Four
GENERE: Azione, Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Paolo Bertola

martedì, dicembre 07, 2010

L'ULTIMO ESORCISMO

L'ULTIMO ESORCISMO (Usa 2010)
Regia: Daniel Stamm

Il reverendo Cotton Marcus (Patrick Fabian) appartiene a una famiglia di predicatori da diverse generazioni.
In un recente passato ha avuto una crisi di fede dovuta alla malattia del figlio.
I suoi dubbi sull'esistenza di Dio, vengono tenuti ben nascosti ai suoi parrocchiani grazie ai suoi brillanti sermoni sempre ricchi di trovate.
Decide di confessare i suoi dubbi ad una troupe e rivela che in passato ha effettuato diversi esorcismi pur nutrendo forti dubbi sull'esistenza del diavolo.
Quando il reverendo viene contattato per lettera da Louis Sweetzer ( Louis Herthum) per esorcizzare la figlia Nell (Ashley Bell) a suo dire posseduta da un demone, l'uomo decide di fare quest'ultimo esorcismo ed accetta di essere filmato nel suo tentativo dalla troupe (tecnico del suono e cameraman) per dimostrare che i cosiddetti posseduti in realtà altro non sono che malati bisognosi di cure e attenzioni e che comunque il suo esorcismo può servire a far ritrovare un minimo di serenità al presunto posseduto e alla propria famiglia.
L'ultimo Esorcismo è un falso documentario (adesso va di moda scrivere Mockumentary, ma io sono all'antica) abbinato al ritrovamente della pellicola (anche qui sarebbe più figo scrivere found footage horror) mai troppo scontato e con buone trovate che procurano qualche brivido, anche se la parte più interessante è quella riguardante la "confessione" davanti alla mpd del reverendo che non nasconde che ormai i suoi sermoni ed i suoi esorcismi più che in nome di Dio, vengono fatti in nome dei dollari che servono per sostenere la famiglia.
Qualche dubbio lo lasciano alcune sequenze in cui le telecamere risultano essere palesemente due, mentre aderendo alla sceneggiatura dovrebbe essere solamente una.
Stesso discorso andrebbe fatto per il sonoro.
Da sottolineare una curiosità; tutti i personaggi del film, ad esclusione del reverendo e dell'indemoniata, hanno lo stesso nome di battesimo degli attori che li interpretano.
Presentato in anteprima italiana al 28° Torino Film Festival nella sezione "Rapporto Confidenziale". Produce Eli Roth.

lunedì, dicembre 06, 2010

Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni

Dopo una breve sosta nella città dei balocchi l’omino con gli occhiali ritorna transfugo per occuparsi nuovamente di amore e tradimenti, di sogni ed illusioni, di uomini e di donne sullo sfondo di una città diventata una specie di succursale di un nuovo modo di pensare, più vicino ad un carosello artistico che ad un laboratorio di idee. Una scelta visibile innanzitutto nella mancanza di un personaggio forte, capace di produrre e catalizzare spunti drammaturgici, qui sostituiti da una pluralità di caratteri che replicano senza variazione di sorta i meccanismi di un intreccio già visto e destinato a concludersi con un finale largamente anticipato nell’incipit dalla citazione shakesperiana “la vita è piena di rumore e di furore e alla fine non significa nulla". Caratteristica, quella dell’originalità di cui il regista aveva sempre fatto a meno, trasformando la mancanza in un alternativa (la commedia umana è prima di tutto un giardino di vizi e virtù e successivamente il racconto della loro storia) fatta di battute fulminanti e paradossi esistenziali, di collisioni sbeffeggianti ma anche dolorose, dove in ogni caso intelligenza e buon umore ne uscivano sempre vincitori.
Niente di tutto questo avviene in “Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni”, in cui partendo dalle pene d’amor perduto di una delle protagoniste, una moglie abbandonata dal marito per una donna più giovane, assistiamo ad una ronda di relazioni (sentimentali) che si innescano e si sviluppano all’insegna di un insoddisfazione esistenziale che ha i toni chiaro scuri dell’Allen da trasferta. Alla solita scorpacciata di belle donne, alle quali il regista newjorkese sembra sempre più avvezzo, afflitte come sempre da irrequietezza bovariana si oppone un campionario maschile artefice del misfatto che fa saltare il banco. Ma questa volta la contrapposizione è forte di uno spessore psicologico appena accennato, con protagonisti che altrove avrebbero avuto ruoli secondari e che invece occupano scialbamente la ribalta (su tutti la coppia rappresentata da Sally/Watts Roy/Brolin) illustrando un mondo nel quale neanche la sublimazione dell’arte (lui è uno scrittore impegnato a riconfermare il successo del primo libro, lei una talent scout di un importante galleria d’arte) e dell’amore (le rispettive infedeltà non scioglieranno i rispettivi nodi esistenziali) riesce a dare un senso. Ed anche quando la storia si sofferma su binari secondari, come ad esempio l’amor fou tra Alfie e Sally, oppure quello tra Roy e Dia, lo fa con riferimenti ingenui (Sally è una prostituta che non ha perso il vizio) e scontati (l’attrazione di Roy si esplica in un vojerismo che assomiglia alla Finestra sul cortile), oppure con cambi di direzione talmente improvvisati da rasentare l’inverosimile. Si aggiunga l’espediente della voce narrante, già utilizzato dal regista per legittimare in chiave universale i motivi delle sue storie è qui mero tentativo di dare ossigeno ad una vicenda altrimenti impantanata nell’angusto orizzonte dell’aneddotto. Il resto sono abiti griffati, locali alla moda e liturgie modaiole di una classe troppo agiata per essere serena.

sabato, dicembre 04, 2010

Nowhere boy

Nowhere boy è una biografia sui generis perchè trattandosi di John Lennon ci si aspetterebbe molta musica ed aneddoti legati a quella fama; qui invece a farla da padrone è il periodo della prima giovinezza, quello in cui il nostro doveva ancora scoprire il proprio talento ed intanto faceva i conti con un emotività costretta ad affrontare il ritorno di una madre che lo aveva abbandonato, affidandolo alle cure severe di una zia senza sorrisi (Kristin Scott Thomas). Solido prodotto inglese improntato al rispetto delle regole Nowhere boy, per le caratteristiche da storia di formazione pretenderebbe di andare oltre la dimensione musicale per abbracciare gli interessi di un pubblico più ampio. In realtà i pregi di una ricostruzione dettagliata e di una recitazione inappuntabile diventano i limiti di un film che si mantiene sulla soglia delle cose per ribadire i fatti di una cronaca già annunciata. Nella parte del Beatles più famoso si distingue Aaron Johnson, attore in ascesa (Kick Ass ma anche Chatroom), capace di rendere l’eccezionalità del suo personaggio attraverso un recitazione istintiva ed allo stesso tempo controllata: un esame superato a pieni voti.

giovedì, dicembre 02, 2010

Film in sala dal 3 dicembre 2010

Il responsabile delle risorse umane
(The Human Resources Manager)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Germania, Francia, Israele
REGIA: Eran Riklis

Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni
(You Will Meet a Tall Dark Stranger)
GENERE: Commedia, Sentimentale
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Spagna, USA
REGIA: Woody Allen

Jackass 3D
(Jackass 3-D)
GENERE: Azione, Commedia, Documentario
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Jeff Tremaine

L'ultimo esorcismo
(The Last Exorcism)
GENERE: Horror, Thriller
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Daniel Stamm

Nowhere Boy
(Nowhere Boy)
GENERE: Biografico, Drammatico
ANNO: 2009
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna, USA
REGIA: Sam Taylor Wood

Tornando a casa per Natale
(Hjem til jul)
GENERE: Commedia, Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Germania, Norvegia, Svezia
REGIA: Bent Hamer

Tre all'improvviso
(Life as We Know It)
GENERE: Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Greg Berlanti

We Want Sex
(Made in Dagenham)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna
REGIA: Nigel Cole

mercoledì, dicembre 01, 2010

The killer inside me

Witterbottom non è uno che si lascia intimorire e, dando seguito ad un eclettismo condizionato da una prolificità funzionante a fasi alterne, si cimenta nel più classico dei generi, traducendo per il cinema l’omonimo capolavoro noir di Jim Thompson.
Ambientato in un America ancora affetta dalla sindrome di un sogno da cui si sarebbe tristemente risvegliata, "The Killer Inside me" è una dichiarazione sull’impossibilità di essere normali ed insieme il ritratto di una personalità costretta a fare i conti con i fantasmi di un passato che non si può cancellare.

In questo senso Lou Ford, sceriffo per necessità ed assassino per vocazione, è il prototipo di un umanità assuefatta al proprio orrore fino al punto di alimentarlo nella completa accettazione di questa anomalia. L’omicidio, così come la violenza, esercitata in un crescendo di sangue e crudeltà, non entrano mai in competizione con alcuna ipotesi di bene ma sono il risultato consapevole di un percorso viziato dagli abusi di una madre bambina e dall’omertà di una società che preferisce nascondere ciò che non si può mostrare.

Ma è proprio qui, in questo spazio da riempire per evitare di essere già morti che si inserisce il vitalismo contorto di un personaggio privo di attrattive e lontano dal fascino perverso dell’antieroe criminale: un "American Psycho" con la faccia ordinaria e le abitudini scontate a cui viene negato persino l’apparenza di una virilità ("la mancanza di lavoro" è la scusa per non portare la pistola) altrimenti sacrificata alla viltà delle sue azioni.

Alle prese con una materia "incandescente" non tanto per il surplus di misoginia evidentemente ribadito nella visibilità fin troppo insistita di certe scene, ma piuttosto per il tentativo di analizzare la "malattia" con quegli stessi strumenti che l’hanno prodotta (la mente dell’assassino ritorna anche nella voce fuori campo annullando qualsiasi tentativo di oggettività), Winterbottom si limita a riassumere il romanzo non riuscendo a farci entrare nel cuore di tenebra del suo protagonista. Immerso in una fotografia che riproduce in maniera stucchevole il quieto malessere di un paesaggio di matrice Hopperiana, il regista sembra più preoccupato a ricreare un estetica che a fornire il senso logico di una storia che procede alla cieca, senza alcuna plausibilità nella costruzione di una detection che seppur depotenziata dalla'assoluta centralità del protagonista rimane pur sempre il mezzo più efficace per tirare le fila di motivazioni che in questo caso rimangono ad un livello di superficialità tale da invalidare la necessità dell’intera operazione.

Accompagnato dalla voce strascicata del suo protagonista, un Casey Affleck dall’espressione insondabile, "The Killer inside me" rischia di essere ricordato solamente per il sadismo delle sofferenze inferte alla compagine femminile che per il contributo ad un genere per alcuni registi ancora improponibile.

(recensione pubblicata su ondacinema.it)

venerdì, novembre 26, 2010

MACHETE



L'aveva detto ed ha mantenuto la promessa: nato come biglietto da visita del precedente "Grindhouse" ed in qualche modo espediente per sintetizzare l'estetica di un modello di cinema, l'Exploitation, resuscitato da un passato non troppo lontano, il trailer di Machete è diventato un film. Basterebbe già questa bizzara anomalia a spostare i livelli di simpatia dalla parte di un regista che sembra divertirsi un mondo a rileggere i generi, andando a ripescare idee ed estetiche di un cinema quasi primordiale rispetto alle grandi costruzioni visive della nostra contemporaneità.

La storia di Machete, ex agente federale, impegnato a vendicare lo sterminio della propria famiglia si mischia con quelle degli immigrati clandestini messicani, perseguitati da un governatore reazionario e da una serie di sgherri che sembrano usciti dal museo delle cere, catapultando il nostro eroe in una spirale di vendetta e redenzione.Buoni e cattivi, delitto e castigo, sacro e profano, stilemi del cinema "dell'autore" americano, trovano nel personaggio di Machete interpretato dall'ex galeotto Danny Treio, un altro scherzo di questo film, il terreno adatto per un manicheismo che lascia poco spazio all'immaginazione.

A metà strada tra "The Punisher" e "Terminator", e come loro affetto da una monolicità al limite dell'autismo, Machete è il Che Guevara di un cinema fatto ad uso e consumo di chi preferisce gli stimoli della pancia a quelli del cervello. Mani mozzate, teste che saltano, sangue a catinelle ma anche esposizione di corpi impegnati in improbabili accoppiamenti completano un panorama che avrà la propria catarsi nella scontata vittoria degli oppressi e nella parodiata punizione dei cattivi.

Realizzato con un economia che è ormai un marchio di fabbrica del cinema di Rodriguez, "Machete" si fa apprezzare a patto che si sia disposti ad accettare con atteggiamento ludico il suo spettacolo. In questo modo si avrà l'occasione di ritrovare attori dimenticati come Don Johnson, stelle Hollywoodiane come Robert De Niro, divertente e divertito, e sempre più disposto a lasciarsi coinvolgere in questo tipo di operazioni, Jessica Alba e Michelle Rodriguez, wild girls dalla pistola facile. Per tutti gli altri invece la sensazione di un divertimento programmatico. Si annunciano sequel.

(recensione pubblicata su ondacinema.it)

giovedì, novembre 25, 2010

Film in sala dal 26 novembre 2010

A Natale mi sposo
GENERE: Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Paolo Costella

Ancora tu!
(You Again)
GENERE: Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Andy Fickman

I poliziotti di riserva
(The Other Guys)
GENERE: Azione, Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Adam McKay

Il mio nome è Khan
(My Name Is Khan)
GENERE: Drammatico, Romantico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: India
REGIA: Karan Johar

La donna della mia vita
(La donna della mia vita)
GENERE: Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Luca Lucini

Precious
(Precious)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2009
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Lee Daniels

Rapunzel
(Tangled)
GENERE: Animazione, Commedia, Musical, Family
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Nathan Greno, Byron Howard

The Killer Inside Me
(The Killer Inside Me)
GENERE: Drammatico, Thriller, Western
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Michael Winterbottom

venerdì, novembre 19, 2010

La scomparsa di Alice Creed

Passato alle cronache per la presenza di Gemma Arterton, ultima cartina di tornasole delle pruderie da cinema mainstrem, peraltro piuttosto annacquate dagli ultimi tentativi lontano dalla mecca hollywoodiana, "La scomparsa di Alice Creed" segna un punto a favore della sua interprete non tanto sotto il profilo della performance attoriale, basata su un copione che la vede quasi sempre legata e distesa su un letto in attesa che venga pagato il riscatto per la liberazione del suo personaggio, ma su quello della storia, per via di una sceneggiatura che una volta tanto riesce a rendere credibile le motivazioni psicologiche dei caratteri.
Riducendo al minimo le fasi che precedono il rapimento e lasciando ad un breve quanto rocambolesco finale la soluzione dell'intrigo, il film si concentra sulla dialettica che si istaura tra tre protagonisti, apparentemente separati dai rispettivi ruoli, ma in realtà uniti da un ambiguità di fondo che diventerà con il passare dei minuti il motivo centrale del film.
Ambientato in unico spazio, ove si eccettuino brevi scene in esterno inserite piu' per enfatizzare la sensazione di generale claustrofobia che si respira lungo tutto il film che per una reale necessità, "Alice Creed", attraverso il genere, prova a raccontare una società dominata dal denaro ed incentrata da rapporti di forza in cui l'uomo è lupo all'uomo e dove la distinzione tra vittima e carnefice è solo un illusione per sentirsi più buoni.
Seppur macchiato da alcune situazioni poco credibili per quanto riguarda l'accostamento sociale tra i personaggi, evidentemente lontani per istruzione e provenienza, per non dire degli stratagemmi operati sul genere (impensabile il susseguirsi di momenti topici in cui i tentativi di fuga della prigioniera vengono costruiti e poi smontati con espedienti inverosimili) al fine di giocare la partita sul piano del confronto mentale e psicologico, il film riesce a portare a casa il risultato.
A metà strada tra le ruvidezze proletarie di certo cinema Lochiano, che Blakeson riprende attraverso la presenza di Martin Compston, già interprete di Sweet Sixteen, e la patinata asetticita di molto cinema inglese dell' ultima generazione (4321 di Mark Davis e Noel Clarke) "La scomparsa di Alice Creed" merita almeno una visione.

Campagna "IO Proteggo i Bambini" di Terre des Hommes

In occasione della Giornata Mondiale per la Prevenzione della violenza, 19 NOVEMBRE 2010, dall’ 8 al 21 novembre Terre des Hommes invita tutti a indossare il nastro giallo, simbolo della campagna mondiale per la prevenzione dell’abuso sull’infanzia per dire: "IO proteggo i bambini, SI’ alla prevenzione contro gli abusi".

Anche I Cinemaniaci partecipa indossando il nastro giallo e diffondendo l'iniziativa.

Alla Campagna "IO Proteggo i Bambini" sarà abbinata dall’8 al 21 novembre 2010 una raccolta fondi con l’sms solidale 45509 da 2 euro da cellulari Tim, Vodafone, Wind, 3 e COOP Voce e da rete fissa Telecom. I proventi andranno a finanziarie le attività di protezione dell’infanzia in Colombia (per bambini vittime di tortura), Mauritania (minori in conflitto con la legge) e Perù (bambini lavoratori) di Terre des Hommes.

Se desideri unirti e saperne di piu', visita il sito dedicato:

"IO Proteggo i Bambini" di Terre des Hommes

giovedì, novembre 18, 2010

Film in sala dal 19 novembre 2010

Saw 3D
(Saw 3D)
GENERE: Horror, Thriller
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Kevin Greutert

Dalla vita in poi
GENERE: Commedia
ANNO: 2010 DATA:
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Gianfrancesco Lazotti

Harry Potter e i doni della morte (Parte 1)
(Harry Potter and the Deathly Hallows: part I)
GENERE: Azione, Fantasy, Avventura, Mystery
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna, USA
REGIA: David Yates

I fiori di Kirkuk
(Golakani Kirkuk)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: India, Irak
REGIA: Fariborz Kamkari

Io sono con te
(Io sono con te)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Guido Chiesa

L'estate di Martino
GENERE: Commedia
ANNO: 2009 DATA: 19/11/2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Massimo Natale

Scott Pilgrim vs. the World
(Scott Pilgrim vs. the World)
GENERE: Azione, Commedia, Avventura
ANNO: 2010 DATA: 19/11/2010
NAZIONALITÀ: Canada, USA
REGIA: Edgar Wright

Un marito di troppo
(The Accidental Husband)
GENERE: Commedia
ANNO: 2008 DATA: 19/11/2010
NAZIONALITÀ: Irlanda, USA
REGIA: Griffin Dunne

lunedì, novembre 15, 2010

Mangia, Prega, Ama



L’età di mezzo è, specialmente nella sua dimensione femminile, una
linea d’ombra che il cinema ha visitato con una predilezione che è
sempre stato sintomo di modernità. Assieme a questa la performance di
attrici che nell’interpretare donne sull’orlo della crisi hanno
trovato la maniera di esprimere anche il proprio momento personale.
Chissà se anche Julia Roberts, alle prese con il passare del tempo e
con una seconda parte di carriera ancora da definire, ha intrapreso
questa nuova avventura con le stesse aspettative.



Di certo il personaggio di Liz Gilbert, esponente di un upper class
alle prese con le conseguenze di una vita immolata al decoro sociale
ed improvvisamente catapultata nel vuoto di quella costruzione, le
calza a pennello soprattutto nella similitudine con una condizione di
raggiunto benessere che rischia di mandare in crisi di astinenza un
umanità abituata a ragionare per obiettivi. Accade così che Liz, nel
mezzo di una vita apparentemente felice divorzi dal marito ed
intraprenda un viaggio attraverso i continenti alla ricerca
dell’equilibrio perduto. Rigorosamente declinate secondo le azioni del
titolo, Italia, lIndia e Bali rappresentano altrettante tappe di un
iniziazione alla felicità che dovrà necessariamente passare attraverso
gioia e sofferenza.

Costruito come una guida della salute, "Mangia Prega Ama", risulta
impeccabile nell’esposizione del proprio prodotto: scorci da
cartolina, città ripulite da qualsiasi forma di inquinamento,
ambientale ed umano, personaggi che parlano per slogan e soprattutto
una profusione di oggettistica che farebbe la felicità di qualsiasi
turista in cerca di un ricordo da portare a casa. Entra invece in
crisi quando deve dare sostanza ad un incipit che da solo potrebbe
rappresentare il manifesto di una nuova spiritualità. Ancora una volta
infatti è la cornice a rimanere impressa: l’alternanza dei paesaggi,
gli interni di certe abitazioni, la ritualità degli incontri e degli
addi, entrambi schematicamente inseriti all’interno dei diversi quadri
in cui il film è suddiviso, sono messi in risalto dalla cura della
confezione e dall’insistenza della macchina da presa, mentre il
percorso di rinascita della protagonista sembra appartenere al normale
decorso delle cose più che alla scoperta di una nuova sensibilità. Ed
è un vero peccato per il film e per la sua attrice, come Tom Cruise,
di cui pare sempre di più la versione femminile per il conformismo
delle scelte, preoccupata di non uscire dai limiti di una
trasgressione calcolata e definita all’interno del circuito di
omologazione hollywoodiano. Due grandi attori a cui non farebbe male
una crisi reale, di quelle che ti cambiano gli orizzonti. Ne
gioverebbero loro ed anche il pubblico

giovedì, novembre 11, 2010

Film in sala dal 12 novembre 2010

Devil
(Devil)
GENERE: Horror, Thriller
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Drew Dowdle, John Erick Dowdle

La scuola è finita
GENERE:
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Valerio Jalongo

Noi credevamo
GENERE: Drammatico
ANNO: 2008
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Mario Martone

Porco Rosso
(Kurenai no buta)
GENERE: Animazione, Fantasy, Avventura
ANNO: 1992
NAZIONALITÀ: Giappone
REGIA: Hayao Miyazaki

Stanno tutti bene
(Everybody's Fine)
GENERE: Commedia, Drammatico
ANNO: 2009
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Kirk Jones

The Social Network
(The Social Network)
GENERE: Commedia, Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: David Fincher

Ti presento un amico
GENERE: Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Carlo Vanzina

Unstoppable
(Unstoppable)
GENERE: Azione, Drammatico, Thriller
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Tony Scott

martedì, novembre 09, 2010

MARY

Per anni tormentato da rovelli sirituali e costretto a rantolare nei miasmi di una cinematografia diventata sempre più paradigma di un anima lontana dalla propria assoluzione, Abel Ferrara riesce dunque a realizzare il suo film “religioso”. Forse non è un caso che lo abbia girato in italia, la terra che ne supporta l’esilio ed in cui trova sede formale quel dogma spesso interrogato dal regista americano. Sicuramente agevolato nella ricerca dei capitali dall’interesse suscitato dal filone apocrifo tornato in auge anche grazie alla pellicola di Ron Howard, Ferrara ne riprende almeno formalmente la carica eversiva intitolando la sua opera con il nome della prostituta salvata dal Messia e secondo la leggenda divenuta la sua discepola prediletta.

Il pretesto per l’ennesima escursione nella storia religiosa è la pellicola che il regista americano Modine sta girando ed il cui titolo “Questo è il mio sangue” ripropone ancora una volta la riscrittura del Vangelo alla luce di una fede personale e lontana dalla lettura ufficiale di quegli avvenimenti. Fin da subito quindi il cinema di Ferrara è non solo un mezzo per raccontare storie di mala/fede, attraversate da personaggi sempre ai limiti della sanità mentale ,Binoche/Mary dopo poche scene entrerà in una crisi personale che la porterà ad allontanarsi dalle scene alla ricerca di Dio, oppure divorati da un male oscuro (Modine/Anthony Childress) dipendente dalla propria opera cinematografica e rinchiuso in una camera di proiezione la cui oscurità è foriera di un salto nel vuoto irreversibile), ma più che altro un modo per mettere in atto un espiazione riflessa e frantumata nei personaggi che occupano la scena. L’attrice pentita, il regista outsider, e poi ancora il giornalista televisivo interpretato da Forest Withaker, punto di raccordo e centro della storia, con una talk show televisivo che indaga sull’essenza di una religiosità di cui lui stesso sembra ignorare la sostanza, sono la trinità in cui si divide lo sguardo del regista. Una schizofrenia lucida e moderna, dilaniata dai problemi personali (il giornalista tradisce la moglie in attesa del suo bambino per poi cadere in prostrazione quando questa rischia di perderlo), ma ancora capace di allargarsi al mondo circostante: il cinema prima di tutto, affrontato anche alle radici attraverso le parole degli apostoli e di Mary che si interrogano sul significato del “vedere” e che alludono ad un estetica sempre in bilico tra il cuore e la mente, ma anche i media, al centro dell’attenzione per motivi di sceneggiatura e per un primato a cui anche la settima arte deve sottostare (è lì che succede tutto dice un personaggio riferendosi al potere persuasivo del mezzo catodico), per non parlare degli effetti disumani prodotti dalle intolleranze culturali, esposti in maniera impietosa con un pezzo di repertorio televisivo in cui un padre ed un figlio diventano le vittime innocenti di una guerra combattuta nel nome di Dio.

Insomma un Ferrara a tutto campo che continua il suo viaggio personale nei recessi dei propri tormenti (le riprese con Withaker che attraversa la città in uno stato di catalessi, evidenziata da uno sfondo sfocato e rallentato, sono il segnale di una realtà filtrata dallo stato d’animo del personaggio) riproponendo domande destinate a rimanere insolute. Il disagio generale tradotto con una forma continuamente reinventata- cinema classico nelle scene “religiose” e della vita di “Mary” si alternano a interviste giornalistiche la cui finzione è in qualche modo messa in dubbio dalla presenza di interlocutori che appartengono alla cultura del nostro tempo e le cui risposte potrebbero appartenere a vere e proprie lezioni specialistiche, per non dire degli inserti da cinegiornale- trova la sua linearità in una volontà che è disposta a tutto, anche a reinventare New York in una Roma assolutamente riconoscibile, pur di arrivare al nocciolo della questione. E come se Ferrara, da sempre riottoso ai teoremi istituzionali (il Vaticano accusato di disciplinamento culturale e psicologico è oggetto di un invettiva tanto veloce quanto definitiva), abbia scelto il tema evangelico e la vicenda di Mary, una fuoriuscita come lui, per tentare di tirare le fila del suo cinema ed insieme di ripartire, disfandosi di fardelli ormai metabolizzati (ed infatti il film successivo, “Go Go Tales”, sarà caratterizzato da una leggerezza inedita nella filmografia del regista). Trattato come un episodio interlocutorio anche dai fan più accaniti, Mary è in realtà cartina di tornasole di un cinema che non ha ancora deciso di abdicare.

giovedì, novembre 04, 2010

Ciao Elisa

Dedicato ad Elisa Golvert, coordinatrice e factotum di Ondacinema.it che ci ha lasciato ieri notte. Non ti dimenticherò.

Nickoftime

Film in sala dal 5 novembre 2010

A cena con un cretino
(Dinner for Schmucks)
GENERE: Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Jay Roach

Due cuori e una provetta
(The Switch)
GENERE: Commedia, Sentimentale
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Josh Gordon, Will Speck

La scomparsa di Alice Creed
(The Disappearance of Alice Creed)
GENERE: Drammatico, Thriller
ANNO: 2009
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna
REGIA: J Blakeson

Last Night
(Last Night)
GENERE: Drammatico, Sentimentale
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Francia, USA
REGIA: Massy Tadjedin

L'immortale
(L'Immortel)
GENERE: Drammatico, Poliziesco, Thriller
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Richard Berry

Potiche - Quel genio di mia moglie
(Potiche)
GENERE: Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: François Ozon

Una vita tranquilla
(Una vita tranquilla)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Germania, Francia, Italia
REGIA: Claudio Cupellini

mercoledì, novembre 03, 2010

ANIMAL KINGDOM

ANIMAL KINGDOM
Regia: David Michod


Joshua (James Frecheville), non proprio quel che si dice un ragazzo sveglio, dopo la morte della madre, si trasferisce a casa dei temibili criminali zii materni e della nonna (Jacki Weawer).
Il capo della banda a conduzione famigliare, Pope Cody (Ben Mendelson) vive nascosto perchè una squadra di poliziotti che non riesce ad incastrarlo ha deciso di farlo fuori. Quando la tensione tra la famiglia e una parte della polizia sfocia in guerra, Joshua si ritrova ad essere bersaglio.
Scena iniziale: su un divano sono seduti il giovane Joshua, completamente rapito da un quiz trasmesso alla tv, e sua madre che pare dormire profondamente.
Entrano due operatori sanitari che chiedono se è stato lui a chiamare l'ambulanza e perchè. Il giovane risponde svogliatamente che è stato lui a chiamarli e continua a guardare la tv. Poco dopo scopriamo che la mamma di Joshua è morta di overdose.
Basta questa prima folgorante sequenza, per capire che ci troviamo dinanzi a un film interessante, mentre, quello che verrà dopo ci porterà a considerare Animal Kingdom un ottimo, grande film.
Il regno animale del titolo è quello della criminalità di Melbourne dove le bestie annoverano tra le loro fila la famiglia Cody, bestie in pericolo che rischiano di essere sbranate da altre bestie.
Animal Kingdom (Premio speciale della giuria al Sundance 2010) è lo spettacolare esordio di David Michod, che dimostra di conoscere bene la materia trattata, infatti nonostante la tanta carne al fuoco, riesce ad essere sintetico e contemporaneamente a tratteggiare perfettamente le psicologie dei protagonisti.
I Cody sono animali feriti, senza scampo, destinati a morire, ma ancora capaci di sferrare colpi letali e Michod li bracca con la sua mdp, gli toglie respiro, si insinua nelle loro menti tossiche e amorali.
Nel noir del regista australiano non c'è spazio per inseguimenti spettacolari e infinite sparatorie, tutto si risolve con poche disturbanti parole e pochissime pallottole, al resto ci pensa nonna Smurf che con le sue unghie curatissime e trucco da vecchia baldracca, bacia sempre un pò troppo a lungo i propri figli, tanto da mettere i brividi e farci pensare a passate relazioni incestuose.
Più che Martin Scorsese, al sottoscritto il film richiama i lavori di Abel Ferrara e l'ultimo David Cronenberg.
Cupissimo, disturbante, torbido, malsano e ..... bellissimo!

martedì, novembre 02, 2010

SOUL KITCHEN

SOUL KITCHEN
di F Akin


Celebrato dai festival ed accolto con rispetto dal pubblico pagante Fatih Akin non si è montato la testa: così dopo due film di struggente bellezza ma anche pieni di quelle seriosità che da anni rappresentano la caratteristica indispensabile per buona parte dei Mujaheddin culturali, il regista turco tedesco fa un passo indietro, o forse in avanti, mettendo in scena una pochade culinario musicale che pur non perdendo nulla di quella commistione interraziale e meticcia altrove rappresentata, la rinnova nella consapevolezza di un “Nostos” finito laddove era cominciato (per una volta il passaporto dei protagonisti non si traduce in uno spostamento geografico ed emotivo) e di un’affabulazione priva di requisiti sanguinolenti e disgreganti .

In termini esistenziali “Soul Kitchen”, per le caratteristiche intrinseche del microcosmo rappresentato - le facce che l’attraversano ma anche la musica appartengono ad un mondo capace di accogliere le influenze più disparate - è una terra promessa a domicilio, in cui è possibile ricreare le condizioni per essere felici. Così accade anche a Zios, greco trapiantato in Germania, ed al di lui ristorante da cui il film prende il titolo, alleati in una scommessa che va controcorrente, uniti dalla voglia di concedersi agli altri senza mezza termini e senza nessun tornaconto: il fratello senza arte né parte, la moglie algida ed un po’ fedigrafa, la cameriera scostante ma dal cuore d’oro e pure la fisioterapista che lo sta curando da un mal di schiena che lo perseguiterà per tutto il film sono l’esempio, nella loro diversità ma anche nell’accettazione con cui il protagonista le comprende, di questa nuova leggerezza.

Abituato a non farsi mancare niente, Akin si concede ancora una volta il lusso di relegare a comprimari i volti noti del suo cinema per lasciare spazio ad un attore poco noto, almeno a questi livelli, ma altrettanto efficace : Adam Bousdoukos, nella parte di Zinos, corpo generoso e faccia da guappo, è infatti il valore aggiunto di un film come al solito supportato da un energia che sembra condensare in un sol colpo la pazzia tizgana dell’umanità Kusturichiana con atmosfere che ricordano molto scampoli di cinema alla Aki Kaurismäki. Ed anche le mancanze,come quella di alcune situazioni che sembrano solo un pretesto per un sottofondo musicale - ad un certo punto il ristorante si trasforma in una sala di prove musicali, oppure di alcuni personaggi che fanno appena capolino, si pensi alla fisioterapista destinata a rappresentare un cambio di direzione senza averne la forza necessaria in termini di scrittura, oppure a Shayn, cuoco pazzoide ma pieno di talento improvvisamente tolto di mezzo per dare lustro all’avvenuto cambiamento del protagonista, per non dire del buonismo che pervade anche le azioni più crudeli, diventano accettabili in un impianto che riesce ad essere barocco nella sostanza ed equilibrato nella forma. Premiato con il premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Venezia del 2009, Soul Kitchen rappresenta un ottimo vaccino al pessimismo dilagante della nostra contemporaneità.


venerdì, ottobre 29, 2010

SALT

Salt
di Philipp Noyce


Abituato al riciclaggio e con l’estro ridotto al lumicino il Tycon americano è spesso costretto ad affidarsi all’inesauribile miniera iconografica e mitologica di quel cinema per supplire all’assenza di una qualunque variazione. Un assemblaggio di incastri e meccanismi prelevati dal già visto, e ripuliti quel che basta per inventarsi un nuovo titolo.
Un gioco scoperto, ma non per questo meno subdolo perché in questo caso, disegnato sugli istinti di una paese in dialettica continua con i fantasmi del passato. E così dopo anni di iperboli mediorientali e teocrazia satellitare Hollywood torna all’antico riproponendo scenari da guerra fredda, ed una Nikita "bipolare" Evelyn Salt, pescata dalle ceneri dell’action movie più recente. Agente della Cia in fuga dalla propria vita e dall’accusa di cospirare a favore della Russia, la nostra si ritroverà coinvolta in una corsa contro il tempo per fermare il pericolo di un nuova escalation nucleare organizzato da fantomatici figuri.

Essere pensante ed arma letale sfuggita al controllo, Salt, invade gli spazi di un immaginario tutto maschile portandosi dietro una femminilità per nulla mortificata dalle movenze e dagli equipaggiamenti che appartengono al mestiere, ma al contempo si mantiene sottotono rispetto ad un estetica di corpi inguainati e curve mozzafiato che la stessa attrice ha contribuito ad alimentare: una decisione coraggiosa, quella dei produttori, di valorizzare gli aspetti psicologici del personaggio e le qualità recitative di una star conosciuta soprattutto per la sua avvenenza fisica. Femmina per niente fatale quindi, la nostra è una donna chiamata a risolvere le ambiguità di una personalità che il film fa emergere all’inizio del film e che in parte dovrebbero giustificare i cambiamenti di percorso di una storia caratterizzata dal continuo ribaltamento dei ruoli e delle dinamiche che legano i vari personaggi, sullo sfondo di una sfida senza esclusione di colpi.

Intenzioni lodevoli ma penalizzate da un impianto che non riesce a sostenere il bagaglio psicologico e le sfumature dell’assunto: nella contesa tra cinema pensato e quello fracassone è il secondo a uscire vincitore perché più funzionale ad un prodotto che vuole soprattutto guadagnare: inseguimenti urbani, sparatorie telefonate ma soprattutto un andamento che tende ad accumulare situazioni senza svilupparle, sembrano il risultato di un gioco pensato al risparmio, ed anche volendo stare dalla parte di coloro che dell’arte se ne infischiano, Salt appare deficitario persino dal punto di vista spettacolare, irrigidendosi su un atmosfera di plumbeo pessimismo che fa il paio con la fisionomia da sfinge della sua interprete. Aspettando gli esiti di un botteghino fin ora incoraggiante, il film si conclude restando aperto ad una possibile sfruttamento seriale. Come al solito una questione di soldi.

(pubblicato su ONDACINEMA)

(10-09-2010)

giovedì, ottobre 28, 2010

Film in sala dal 29 ottobre 2010

Maschi contro Femmine
GENERE: Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Fausto Brizzi

Adam Resurrected
(Adam Resurrected)
GENERE: Drammatico, Guerra
ANNO: 2008
NAZIONALITÀ: Germania, Israele, USA
REGIA: Paul Schrader

Bhutto
(Benazir Bhutto )
GENERE: Documentario, Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna, USA, Pakistan
REGIA: Johnny O'Hara, Duane Baughman

Il regno di Ga' Hoole – La leggenda dei guardiani
(Legend of the Guardians)
GENERE: Animazione, Fantasy, Avventura
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Australia, USA
REGIA: Zack Snyder

L'illusionista
(L'Illusionniste)
GENERE: Animazione
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Sylvain Chomet

Mammuth
(Mammuth)
GENERE: Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Benoît Delépine, Gustave de Kervern

Salt
(Salt)
GENERE: Spionaggio, Thriller
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Phillip Noyce

Winx Club in 3D – Magica Avventura
GENERE: Animazione
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Iginio Straffi

Animal Kingdom
(Animal Kingdom)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2009
NAZIONALITÀ: Australia
REGIA: David Michôd

lunedì, ottobre 25, 2010

BENVENUTI AL SUD

BENVENUTI AL SUD
Regia: Luca Miniero


Alberto (C. Bisio), direttore di un ufficio postale in Brianza, colpevole di aver simulato un'invalidità permanente al fine di ottenere un trasferimento a Milano, viene spedito per punizione a Castellabate, nel Cilento.
Il film narra di come un uomo partito dalla Brianza per andare a vivere in quello che ritiene un posto inospitale, incivile, abitato da scansafatiche, una volta toccata con mano la realtà e messo da parte i pregiudizi non può far altro che innamorarsi di quei luoghi e rispettare tradizioni e cultura dei suoi abitanti.
Il messaggio della pellicola è molto chiaro: liberarsi dai preconcetti per essere accoglienti verso gli altri.
Remake del francese Bienvenue chez les ch’tis, uscito in Italia con il titolo di Giù al nord.
Benvenuti al sud è una commediola che si basa esclusivamente sull'ormai usuratissimo tema dei luoghi comuni sulle differenze culturali tra nord e sud.
Punto di forza del film sarebbe dovuto essere il cast, che oltre ai volti noti dei protagonisti annovera una folta schiera di comprimari di sicuro affidamento tra cui spicca Giacomo Rizzo (l'inquietante Geremia de L'amico di famiglia di P. Sorrentino 2006).
Il risultato però non è quello che ci si attendeva, Alessandro Siani di solito scoppiettante in Tv e soprattutto dal vivo, sembra fare il verso a Pieraccioni e il resto della truppa pare limitarsi a svolgere il compitino assegnatogli intrappolata in una sceneggiatura che si limita al copia-incolla.
Il regista Luca Miniero, (autore del divertentissimo Incantesimo napoletano -2002- ma anche di cose inguardabili come Questa notte è ancora nostra -2008) e i suoi sceneggiatori si limitano a trasferire la storia francese nel sud Italia e poco aggiungono all'originale se si esclude che i formaggi e le birre corpose di Bergues del film transalpino, diventano rispettivamente mozzarelle e limoncello in quel di Castellabate.
Cameo per Dany Boon, sceneggiatore, regista e protagonista della versione originale.

venerdì, ottobre 22, 2010

Dieci Inverni

Dieci Inverni
di Valerio Mieli


Cosa cerchiamo in un film che parla d’amore: è questa la domanda che
sorge spontanea dopo aver visto l’ultimo film di Valerio Mieli. La
questione potrebbe sembrare scontata e forse lo è, ma di fronte ad un
opera che mette in scena tutti i “must” di un gioventù precaria ed in
cerca di identità, è necessario togliere di mezzo inutili distrazioni
e concentrarsi sul cuore del problema.
Ebbene, io direi proprio
L’amore o meglio, lo stato d’animo che lo rende credibile anche in
presenza di una storia non particolarmente originale e che in parte
ricalca nella forma (la relazione tra i due protagonisti divisa in più
atti sviluppati nel corso di arco di tempo predeterminato, i dieci
inverni appunto) ma anche nella sostanza (anche qui seppur con
qualche variazione il trasporto amoroso è segnato dall’assenza di
stabilità e soggetto a variabili incalcolabili) l’approccio di un
caposaldo del genere quale “Un amore” di Gian Luca Maria Tavarelli.

Ma in questo caso, forse per una capacità di mezzi che il film di
riferimento non aveva e che invece Mieli dimostra di saper sfruttare
senza eccessi, mettendo a disposizione degli attori una location
illuminata in tutta la sua malinconica bellezza e pronta a
rispecchiare nelle nebbie del paesaggio veneziano le reticenze verbali
di una coppia che ha paura di innamorarsi, ne risulta un opera capace
di uscire dalle estasi cinefile senza per questo farsi risucchiare dal
facile ritorno di carinerie così in voga nel cinema di questo genere.
Continuamente in bilico tra affollamenti da “appartamento spagnolo”,
adatti alla delicata guasconeria di Silvestro ed intimismi da teatro
cechoviano, perfettamente calibrati alla personalità di Camilla,
studentessa di letteratura russa e come le eroine di quei romanzi
immersa in una tempesta di sentimenti indicibili, Dieci Inverni deve
la sua empatia alla totale immedesimazione dei due attori, calati
dentro i rispettivi personaggi con una spontaneità talmente genuina da
far sembrare certe scene il resoconto di un diario personale. Buffi
nella loro indecisione caratteriali, Silvestro e Camilla (Michele
Riondino e Isabella Aragonese) sono restituiti con precisione
barometrica nell’inadeguatezze tipiche dell’età di formazione, così
come negli slanci impacciati di chi teme di non essere all’altezza.
Privilegiando una recitazione affidata ai mezzi toni e concentrata
soprattutto nel cogliere i mutamenti dell’animo, Mieli ignora
volutamente i corpi, altrove griffati e modaioli, ed affida al
linguaggio dei gesti e dello sguardo il compito di farci partecipare
all’evoluzione di una vicenda, che proprio nella sua conclusione si
concede un colpo di coda un po’ scontato ma che in fondo rende
giustizia ai motivi di ogni innamoramento.


dedicata a tutte le persone che hanno attraversato la mia vita e che ancora l'attraversano.

giovedì, ottobre 21, 2010

Film in sala dal 22 ottobre 2010

Fair Game
(Fair Game)
GENERE: Azione, Drammatico, Thriller
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Doug Liman

Figli delle stelle
(Figli delle stelle)
GENERE: Commedia
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Lucio Pellegrini

Paranormal Activity 2
(Paranormal Activity 2)
GENERE: Horror
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Tod Williams, Kevin Greutert

Séraphine
(Séraphine)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2008
NAZIONALITÀ: Belgio, Francia
REGIA: Martin Provost

Uomini di Dio
(Des hommes et des dieux)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Xavier Beauvois

Wall Street: il denaro non dorme mai
(Wall Street 2: Money Never Sleeps)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Oliver Stone

mercoledì, ottobre 20, 2010

GORBACIOF

GORBACIOF
Regia: Stefano Incerti


Marino Pacileo (T. Servillo), detto "Gorbaciof" a causa di una vistosa voglia sulla fronte, è contabile presso il carcere di Poggioreale a Napoli.
Schivo e solitario, Gorbaciof passa le sue serate nel retro di un ristorante cinese giocando a poker.
Per finanziare le sue partite al tavolo verde prende i soldi dalla cassa del penitenziario che puntualmente rimette al proprio posto.
Quando, però, si trova a dover saldare i debiti di gioco suoi e soprattutto quelli del proprietario cinese del locale, della cui figlia si è innamorato, è costretto a ricorrere ad "aiuti" esterni.
Gorbaciof è un solitario, un duro, non accetta soprusi e non si piega neanche nel pericoloso mondo del gioco d'azzardo, ma l'amore per la giovane figlia (Mi Yang) del ristoratore cinese lo porterà ad entrare in contatto con mondi pericolosi.

Gorbaciof, presentato fuori concorso all'ultimo Festival di Venezia, è un noir in salsa partenopea che oltre al merito di offrire un timido spaccato di una Napoli "orientale", si basa praticamente sul nulla.
Il regista scarica il film sulle robuste spalle di Toni Servillo, che pur facendo ricorso a tutta la sua grande arte non può reggerne il peso, rischiando seriamente in alcuni frangenti di diventare macchietta di se stesso.
A metà pellicola, la sceneggiatura (dello stesso regista e D. De Silva) comincia a mostrare la corda e i limiti del film, inevitabilmente, si materializzano sullo schermo.
Tutto è troppo scontato, persino telefonato e una buona rappresentazione degli eventi non basta a colmare l'assenza di sostanza.
Per lo scontatissimo finale, S. Incerti si rifugia in maniera palese nel confortevole abbraccio di Brian De Palma e del suo Carlito's Way (1993) e addirittura nel tarantiniano Pulp Fiction (1994), senza tralasciare un richiamo (a ruoli invertiti) a Le Conseguenze dell'amore (2004) di Paolo Sorrentino.

venerdì, ottobre 15, 2010

UNCLE BOONMEE WHO RECALL HIS PAST LIVES

UNCLE BOONMEE WHO RECALL HIS PAST LIVES
Di Apichtpang Weerasenthakul



Con l’approssimarsi della fine un uomo prende commiato dalla vita circondandosi dell’affetto dei parenti e chiamando a raccolta i fantasmi della moglie e del figlio, prematuramente scomparsi. Da questo spunto, tanto esile quanto singolare, il regista Tailandese dal nome impronunciabile imbastisce una storia che procede con assonanze imperscrutabile, e che si fa gioco delle regole della verosimiglianza e della logica, confondendo i piani temporali e le dimensioni dell’esistenza, invitando lo spettatore a seguirlo in questo processo di liberazione, con un mantra sensoriale e visivo tanto ipnotico quanto snervante: una trasformazione apparentemente impercettibile, perché costruita attraverso un uso sistematico della telecamera fissa, un utilizzazione del tempo incurante dei tempi cosiddetti cinematografici e perciò aperto anche a particolari senza apparente significato, e con inquadrature che sembrano spiare da lontano ed in maniera quasi distaccata lo svolgersi della realtà.

Spazi naturali a tutto schermo, la vita dei campi di una fattoria dove si raccolgono pesche, conversazioni di un uomo e di una donna intorno al significato della morte e della vita, sono i segni di una realtà inequivocabile e che però il regista riesce a mettere in discussione inserendo l’inspiegabile sotto forma di fantasmi che assumono una corporalità umana o animalesca (scimmie volanti o gorilla con gli occhi fluorescenti), oppure, dopo lo sconcerto iniziale, mettendo i personaggi e lo spettatore all’interno di un contenitore dove l’elemento metafisico e quello realistico diventano la stessa cosa.

Con una luce naturale pronta a cogliere i passaggi tra il giorno e la notte (una metafora dell’imminente trapasso) ed un utilizzazione del suono che spazia da quelli ambientali, quasi sempre rubati alla foresta che circonda la fattoria in cui si svolge la vicenda, a quello artificiale ma non meno evocativo- un sibilo ossessivo che preannuncia l’indicibile alla maniera di certe immersioni Lynchiane- il film si trasforma in qualcos’altro: se la storia non puo esistere senza il corredo religioso spiritista (non solo i fantasmi ma anche il richiamo alle vite precedenti rappresentate dall’episodio dell’accoppiamento tra la regina ed il pesce), così il film non sarebbe se stesso senza i continui cambiamenti che mischiano generi (sociale, intimista, fantasy) e stili (la veggenza del morituro appare attraverso una serie di scatti fotografici che sono un misto tra reportage documentaristico ed improvvisazione dilettantesca), finendo per diventare il simbolo di un indipendenza artistica e umana che da sempre appartiene alla filosofia del regista.

Detto questo “Uncle Boonmee” rimane un film di difficile fruizione per la sua “disorganizzazione", troppo legata a ciò che rimane fuori campo (simbolismi e riferimenti spiegabili solo alla luce di conoscenze che sfuggono ai non addetti) e che rischia di farlo diventare un oggetto antropologico piuttosto che cinematografico. E se alcuni momenti riescono ad affascinare per il primitivismo che li contraddistingue- evidente il contrasto tra la natura in cui l’uomo si riconcilia con se stesso, e la città rappresentata nella scena conclusiva, con un bar che assomiglia ad un non luogo, e che come nel celebre quadro di Edward Hopper raffigura in maniera evidente l’alienazione degli astanti-per la maggior parte del tempo il film sembra quasi bearsi della sua cripticità.

Palma d’oro all'ultimo Festival di Cannes, Uncle Boonme è destinato a diventare l’ennesimo oggetto misterioso promosso da una giuria sposata agli equilibri geopolitici ed alle ragioni produttive.

giovedì, ottobre 14, 2010

Film in sala dal 15 ottobre 2010

Adèle e l'enigma del faraone
(Les aventures extraordinaires d'Adèle Blanc-Sec)
GENERE: Azione, Giallo, Avventura
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Luc Besson

Buried - Sepolto
(Buried)
GENERE: Thriller
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Spagna
REGIA: Rodrigo Cortés

Cattivissimo Me
(Despicable Me)
GENERE: Animazione, Family
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Pierre Coffin, Chris Renaud, Sergio Pablos

Gorbaciof
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Stefano Incerti

L'estate d'inverno
GENERE: Drammatico
ANNO: 2007
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Davide Sibaldi

Lo Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti
(Loong Boonmee Raleuk Chaat)
GENERE: Commedia, Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Germania, Spagna, Francia, Gran Bretagna, Thailandia
REGIA: Apichatpong Weerasethakul

mercoledì, ottobre 13, 2010

LIBERI ARMATI PERICOLOSI - Italia '70 - il cinema a mano armata (18)

LIBERI ARMATI PERICOLOSI (1976)
Regia: Romolo Guerrieri
Cast: Stefano Patrizi - Benjamin Lev - Max Delys - Eleonora Giorgi - Tomas Milian - Diego Abatantuono - Antonio Guidi


IL FILM: In una Milano sempre più violenta, Mario Farra detto il "biondo", Giovanni Etruschi detto "Joe" e Luigi Morandi detto "Luis" seminano il terrore mettendo a segno sanguinose rapine e ammazzando chiunque cerchi di fermarli.
Lea (Eleonora Giorgi) fidanzata di Luis (Max Delys) si rivolge alla polizia denunciando il proprio ragazzo e i suoi complici nella speranza di evitare stragi e soprattutto per cercare di riportare alla ragione il fidanzato.
Il biondo e Joe sono sempre più scatenati, a niente servono le proteste di Luis, che si limita a guidare l'auto durante le rapine, i due ammazzano senza pietà e soprattutto senza logica: poliziotti, malavitosi e perfino i componenti di un'altra banda di giovani, compreso il loro capo Lucio (Diego Abatantuono).
Il commissario di Polizia (Tomas Milian) è molto preoccupato, cerca di agire con calma per non mettere a rischio la vita di altri poliziotti, fa di tutto per evitare scontri a fuoco nei centri abitati, ma ormai la situazione e fuori controllo.
Sentendosi braccato, Luis è tentato di mollare i suoi complici, ma il biondo, capo della banda, non sente ragioni e avendo dei forti sospetti sul comportamento di Lea, costringe Luis a portarla con loro.

COMMENTO: Una regista che sa come fare un film d'azione (R. Guerrieri); uno sceneggiatore esperto (F. Di Leo); giovani protagonisti bravi e credibili.
Un'ottima e invidiabile base di partenza per uno dei tanti film del filone poliziottesco.
Ad impedire a LIBERI ARMATI PERICOLOSI, film comunque godibilissimo, di diventare una delle pietre miliari del poliziottesco è la solita maledetta fretta con la quale venivano confezionati questi film.
Fretta (di arrivare sul mercato; per contenere il budget) che impedisce al regista di mettere in atto gli accorgimenti necessari che avrebbero dato al film più credibilità e spessore.
Alcuni esempi facilmente riscontrabili durante la visione: 1. La polizia è efficacissima (al limite dell'impossibile) ad organizzare in pochissimo tempo la trappola presso il distributore di benzina preso di mira dai rapinatori, ma poi non solo viene beffata da tre ragazzini inesperti, ma soprattutto non riesce ad intercettare i tre balordi che circolano indisturbati per Milano a bordo di una vistosissima e lussuosa auto lanciando banconote; 2. L'escamotage con cui il capobanda riesce a far allontanare l'elicottero della polizia è arguto, ma per niente credibile, anche perché i suoi complici sono perfettamente visibili; 3. Lucio, seppur giovanissimo, vive in una lussuosissima villa e dispone di un vero e proprio arsenale che tiene in casa per nulla nascosto, questo (e altro) fa pensare che viva da solo, che disponga di un ingente patrimonio e che quindi sia un pezzo grosso della malavita a capo di uomini validi e ben organizzati. In realtà però, si riduce a compiere rapine in compagnia dei tre balordi, male organizzate e mal gestite e visto l'alto numero dei partecipanti, si tratta di colpi che dovrebbero fruttargli un bottino misero.
Detto questo, LIBERI ARMATI PERICOLOSI resta comunque un buon film di genere, diretto con mestiere e mano solida e con una sceneggiatura per niente banale, che si sforza di descrivere con una certa accuratezza (inusuale per questo tipo di film) le psicologie dei protagonisti.

CURIOSITA'e NOTIZIE: Il film è ispirato a due racconti di Giorgio Scerbanenco, scrittore di riferimento per le sceneggiature poliziesco-noir di Fernendo Di Leo.
Il plot principale del film è tratto da BRAVI RAGAZZI BANG BANG, mentre la seconda parte, quella che riguarda la fuga dei tre banditi e di Lea nelle campagne che circondano Milano, fa riferimento ad un altro racconto dello scrittore italo-ucraino.
Più precisamente si tratta di IN PINETA SI UCCIDE MEGLIO, breve racconto ambientato nella campagna toscana e precisamente nella pineta di TOMBOLO.
Si tratta della stessa pineta in cui è ambientato TOMBOLO - PARADISO NERO (1947) di Giorgio Ferroni (con Aldo Fabrizi e Adriana Benetti) uno dei film catalogati come Neoralismo nero e che rappresenta uno dei primissimi esempi di film italiani con un intreccio poliziesco-criminale, una novità assoluta per quel periodo, visto che sino a pochissimo tempo prima, in Italia, era impossibile girare film riguardanti questi argomenti a causa delle severe imposizioni volute dal regime fascista.



lunedì, ottobre 11, 2010

The Town

The Town
di Ben Affleck

The Town è il secondo film di Ben Affleck che segue il bell'esordio di Gone baby gone: qui la storia appartiene senza alcuna variante ai classici del genere "guardie e ladri" ed anche lo stile non si discosta molto dal primo film, con immagini rubate alla vita reale ed un ambiente che racconta più delle parole: quello che non funziona è un meccanismo che sorvola su dettagli determinanti (malviventi sotto sorveglianza riescono ad organizzare le loro rapine senza problemi) e sulle psicologie dei personaggi, mentre la detection che ad Affleck interessa ben poco è lasciata tutta ad una faccia da schiaffi (e molto anni 40) imprestatagli da John Hamm, protagonista della serie televisiva Mad Man.

venerdì, ottobre 08, 2010

LA PASSIONE

LA PASSIONE
Di Carlo Mazzacurati



La passione fa proseliti: da quella miliardaria di Mel Gibson, fino alle rappresentazioni apocrife di Scorsese o profane dei Monthy Python, il mistero religioso è stato affrontato dal cinema con un successo accompagnato da altrettante polemiche. Incurante di tali avvertimenti e di ritorno dalla parziale delusione del suo ultimo film, Mazzacurati ripropone l’ultimo atto del vangelo dilazionandolo all’interno di una cornice in cui trovano spazio alcuni luoghi e tematiche già celebrate nei precedenti lavori.
La provincia, innanzitutto, ancora una volta al centro della scena seppur privata del grigiore padano, i tipi umani, sempre sull’orlo di una svolta radicale ed il più delle volte costretti a ritornare al punto di partenza, l’Italia, ancora una volta terra di frontiera dove vige la legge del più forte (gli indici d’ascolto della diva televisiva hanno la meglio su qualsiasi ipotesi artistica) e dove l’incomunicabilità, sintetizzata dalle difficoltà telefoniche che il personaggio di Orlando incontra nel corso della storia, a suo modo uno dei momenti più divertenti di un film in cui si ride poco, è la condizione esistenziale dominante.
Questa volta però, nel tentativo di sdoganarsi da un eccellente marginalità, e forse anche per togliersi di dosso la malinconia di una cinematografia lievemente monocorde (anche se "La lingua del Santo" rappresentava già un tentativo di cambiamento), Mazzacurati vira verso il grottesco ed il surreale, affidando il suo film alla faccia da povero Cristo di Gianni Dubuois (Silvio Orlando), regista di dubbio talento costretto ad organizzare una rappresentazione della Passione per evitare la prospettiva di una denuncia un po’ forzata, ed alla gentile pesantezza di Giuseppe Battiston, ancora una volta incapace di andare fuori parte, e qui alle prese con l’ennesimo outsider dal cuore d’oro.
Assieme a loro ed in ruoli cameo molto cinema italiano vecchio e nuovo (da Cristina Capotondi a Stefania Sandrelli) ed uno stuolo di facce ed espressioni appese al film come le luci di un albero di Natale, anonime caricature chiamate a commentare con espressioni lievemente deformate i momenti salienti della storia.
Un dolceamaro che pesca anche nel metacinema, con i cittadini del paese che alla stregua degli attori partecipano al martirio cristologico, e personaggi immaginari che dialogano con il loro scrittore, per non dire della riflessione sul cinema radicato nella storia per ovvi motivi e scandagliato nelle retrovie di un cabaret di miserie e nobiltà.
Tanta carne al fuoco, forse troppa per una sceneggiatura che fatica a tenere insieme le diverse diramazioni di una vicenda che rischia la sovraesposizione e finisce per avvolgersi su se stessa, con personaggi che entrono ed escono con motivazioni risibili - il personaggio di Battiston estromesso e poi rimesso in gioco da logiche variabili - comparsate televisive, - Guzzanti ancora imbavagliato dall’appendice televisiva – infiocchettature da commedia boccaccesca – l’amplesso sotto le coperte tra la Sandrelli e Messeri suggellato da uno stacco verso una testa di cinghiale imbalsamato.
Lanciato come un opera divertente e risaiola, La passione, manierata dalle luci pastose dell’immancabile Bigazzi, dispensa pochi sorrisi, incanalandosi verso atmosfere dilatate e pensierose che tolgono ritmo ad una storia bisognosa del contrario.