Assassinio a Venezia
di Kenneth Branagh
con Kenneth Branagh,
Kelly Reilly, Michelle Yeoh
USA, 2023
genere: giallo, thriller
durata: 103’
Le atmosfere più cupe,
scure, a tratti orrorifiche del nuovo capitolo dell’Hercule Poirot di Kenneth Branagh
non spengono l’entusiasmo per l’ennesimo riuscito giallo alla Agatha Christie.
Il regista inglese torna
a dirigere e impersonare il celebre detective, ma stavolta lo fa in terra
italiana, più precisamente a Venezia.
Poirot, “sorvegliato”
continuamente da una guardia del corpo da lui stesso assoldata (un Riccardo
Scamarcio che cerca di mimetizzarsi accanto agli attori internazionali), si
vede costretto a interrompere la sua quotidiana routine per seguire un caso
suggeritogli da una sua vecchia amica e scrittrice di gialli, alla ricerca di
nuovi spunti per i suoi romanzi. Il detective partecipa, quindi, a una festa di
Halloween al palazzo dell’ex cantante lirica Rowena Drake. La festa viene,
però, scombussolata da un’infermiera medium che cerca di mettere in contatto Rowena
con la figlia defunta precedentemente. A Poirot lo spettacolo non va a genio e
lo smaschera subito salvo poi scoprire l’assassinio della medium stessa e
trovarsi costretto a indagare su questo, sul delitto che ruota attorno alla
figlia di Rowena, apparentemente morta suicida, e a molto altro ancora.
Come anche nei precedenti
capitoli, la storia, più che efficace, creata dalla penna di Agatha Christie,
si va a fondere perfettamente con la struttura del film. Branagh, anche in
questo caso, riesce a conferire la giusta dose di mistero ed enigma. Continua a
non essere tutto chiaro e semplice fin dall’inizio, anzi anche noi procediamo
per deduzioni insieme al detective. Quasi preso alla sprovvista dalle strane
reazioni che il suo corpo ha, Poirot sembra perso e appare, inizialmente, quasi
come sconfitto e sopraffatto dal susseguirsi degli eventi. Vorrebbe agire in un
certo modo, ma il suo corpo sembra opporsi e andare sempre nella direzione opposta.
Geniali, e in pieno stile
con il personaggio, alcune trovate, come quella di dare un background autentico
a tutti i personaggi, ma soprattutto quella di contrapporre all’oggettività
delle indagini e delle soluzioni (corredate da prove concrete) la religione e
tutto il “mistero” che essa porta con sé da secoli. Una “differenza” resa in
maniera evidente dalla seduta della medium che cerca di far credere di poter
davvero contattare le persone defunte, ma che viene frenata dall’astuzia e
dall’intelligenza del detective. Quello che il personaggio di Joyce Reynolds,
la medium, sembra affermare è che il soprannaturale esiste e, “strizzando l’occhio”
a Poirot che non sempre per risolvere un caso ci si deve affidare a delle
indagini, delle supposizioni e delle prove concrete.
Il rapporto tra concreto
e astratto fa, quindi, comunque un po’ da fil rouge per l’intera vicenda,
tornando prepotentemente alla ribalta nel momento in cui Poirot cerca la
soluzione, “combattendo” con ciò che vede, sente e prova.
Una soluzione quella a
cui ci conduce il detective che, rispetto ai precedenti capitoli, sembra fare
più fatica a emergere anche a causa dei variegati personaggi coinvolti. Come
nei più classici gialli, tutti hanno sempre qualcosa da nascondere e qui,
ancora più che negli altri due capitoli, non siamo in grado di fidarci di
nessuno. Come il protagonista, anche noi, fin dall’inizio, oltre a tentare di
risolvere il caso, cerchiamo di individuare quella persona sulla quale poter
contare e della quale fidarci. Persona assente in questo terzo capitolo nel
quale il riferimento unico sembra essere Poirot.
Infine ad alimentare un
giallo che altrimenti avrebbe avuto troppi richiami e similitudini con tanti
altri ci pensano alcuni momenti più “spaventosi” che, mescolati a un sapiente
uso di luci e ombre, creano la giusta atmosfera per un’indagine.
Perché Halloween e
delitto vanno spesso a braccetto sul grande schermo. E Branagh prova a
sfruttare proprio questa perfetta equazione.
Veronica Ranocchi