La chimera
di Alice Rohrwacher
con Josh O’Connor, Isabella
Rossellini, Carol Duarte
Italia, Francia,
Svizzera, 2023
genere: drammatico
durata: 130’
"Il sole ci
segue" dice la giovane donna al protagonista, mentre nella soggettiva che
ne incornicia l'ovale la faccia della ragazza appare e scompare davanti ai
nostri occhi. Ancora una volta per Alice Rohrwacher il cinematografo è
un'autentica epifania: una questione di luce e oscurità, di sogno e realtà, di
essere e non essere, come è sempre stato a partire dai fratelli Lumière.
L'inizio e la fine delle sue storie sembrano fatte apposta per ricordarcelo,
costruite come sono attraverso due movimenti opposti ma coerenti uno con
l'altro.
Il primo è quello in cui
l'introduzione al racconto coincide con il "venire alla luce" dei
personaggi, come accade ne "Le meraviglie" alla famiglia di
Gelsomina, colta nel momento del risveglio mattutino, quando ancora la vita è
sospesa tra il giorno e la notte, e come succedeva in "Lazzaro
felice", laddove il presepe contadino aveva inizio con un bagliore lontano
destinato a spezzare il velo della notte.
Il secondo invece, sembra
voler tornare alle origini del racconto perchè l'improvvisa assenza dei
protagonisti - la casa vuota e disabita de "Le meraviglie", la
metempsicosi di "Lazzaro felice" - pare restituirli alla stessa
fantasia che li aveva messi al mondo: ancora una volta a quel buio che va oltre
la morte, vera o apparente che sia, consegnandoli ai miti dell'immaginario
collettivo.
Rispetto ai lungometraggi
appena menzionati, "La chimera" si può considerare una sorta di
chiusura del cerchio in quanto sintesi di temi (tra cui quello importante, ma
sottovalutato dello sradicamento), personaggi, ambienti e forme cinematografiche.
Anche qui, come negli altri frangenti, il finale, ricollegandosi alla sequenza
d'apertura, ci restituisce l'immagine di un mondo dove tutto è possibile e in
cui persino la morte è costretta a fare i conti con la forza delle passioni
umane. Nel caso specifico quella di Arthur (Josh O'Connor) nei confronti
dell'amata Beniamina (la Yile Yara Vianello di "Corpo celeste").
Se a prima vista gli
avvenimenti del racconto si concentrano sulle vicissitudini di Arthur e del
gruppo di tombaroli che trafugano con alterna fortuna i siti archeologici
etruschi della costa laziale, in realtà "La chimera" altro non è (o è
allo stesso tempo), che una storia "d'amor perduto", quello tra
Arthur e la fuggiasca Beniamina di cui il ragazzo (e non solo lui) sembra
aspettare il ritorno.
Stante le premesse fatte
in apertura, e dunque per le caratteristiche intrinseche di tutto il cinema di
Alice Rohrwacher, i due piani di lettura si equivalgono e si scambiano spesso
le parti (l'Amore così come gli Etruschi sono entrambi affascinanti e misteriosi)
nello sviluppo di un racconto in cui i confini tra gli opposti sono spesso
labili o inesistenti (onirico e reale hanno lo stesso peso nell'economia del
racconto), come lo è la scelta dell'autrice di allentare la consecutio
narrativa e la densità dialogica per mettere lo spettatore nella condizione
migliore per abbandonarsi alla poesia evocativa delle immagini, capaci come
poche di "raccontare ciò che le parole non riescono a dire".
Non è un caso che il
punto di svolta del film, quello della consapevolezza di Arthur, coincida con
il gesto con cui il ragazzo si disfa della testa della statua etrusca, ovvero
di quella parte del corpo in cui lo sguardo si crea per poi essere indirizzato.
Così facendo è come se la Rohrwacher, e con lei il suo film, si appellasse a
quella purezza di vedute che ne costituisce la visione per invitarci a
sgombrare il quadro dal superfluo.
Ecco che allora, la
rabdomanzia con cui Arthur individua i tesori nascosti sotto il terreno, e
dunque il suo farsi tramite tra ciò che è vivo e ciò che è morto, tra il
passato degli Etruschi e il presente del film (collocato negli anni Ottanta),
diventa la modalità di una ricerca più importante, quella che deve portarlo a
riunirsi con la donna che gli ha rubato il cuore.
Dunque, "La
chimera" non deve essere letto in maniera letterale, sperando di trovarne
le risposte in una logica narrativa classica, quella in cui i personaggi sono
subordinati all'azione e il legame sequenziale retto da un ferreo rapporto di
causa effetto. Al contrario, come nella lettura di strofe poetiche lo
spettatore di fronte a "La chimera" è chiamato ad aprire il cuore
agli infiniti rimandi e alle assonanze di cui sono piene le immagini,
considerando che nel suo essere una favola contemporanea il film racconta anche
attraverso situazioni ad alta valenza simbolica.
A esserlo sono le
sequenze sulla riva del mare, da sempre spazio cerniera tra luoghi reali e
immaginari, qui funzionali a esprimere un altro topos del cinema della
Rohrwacher, quello della collisione tra società agricola e sistema industriale,
individuabile nell'incombenza delle ciminiere sullo scorcio marino in cui si
svolge l'ultima parte della storia. E ancora mediante la presenza di abitazioni
vetuste e oramai in disuso (la villa in cui abita il personaggio interpretato
da una bravissima Isabella Rossellini e la ex stazione ferroviaria in cui a un
certo punto ritroviamo l'altrettanto strepitosa Carol Duarte, già protagonista
per chi non lo ricordasse de "La vita invisibile di Eurídice
Gusmão"), riadattate a spazio di vitalità famigliare, avvalorando in
questo ancora una volta l'equazione tra opposti presente in tutto il film.
Partendo da una visione
francescana del paesaggio e delle sue forme di vita "La chimera" così
come a suo tempo fecero "Le meraviglie" e "Lazzaro felice"
è solo l'ultimo esempio di una volontà di rinnovamento che, pur non rinnegando
la tradizione del nostro cinema ma anzi partecipandovi, si fa promotrice di un
realismo magico e poetico in fase di riscoperta. Dopo "Nuovomondo" di
Emanuele Crialese, "Bella e perduta" di Pietro Marcello, "La
grande bellezza" di Paolo Sorrentino, "La chimera" è la conferma
di un filone sempre più prolifico di gioielli inaspettati.
Carlo Cerofolini
(recensione pubblicata su ondacinema.it)