lunedì, dicembre 03, 2007

La promessa dell'assassino

Utilizzando un impianto di genere, il gangster movie, ed una citta’, Londra, David Cronemberg continua a parlare di violenza come pulsione primaria dell’essere umano, raccontando le vicende di ordinaria criminalita’ di una famiglia mafiosa alle prese con uno scomodo diario e costretta a fronteggiare l’idealismo senza frontiere di una coraggiosa dottoressa. Il microcosmo delinquenziale inserito all’interno della comunita’ russa e’ l’ambiente ideale per vedere in azione i meccanismi che regolano l’esistenza umana. La struttura tribale come principio informatore di ogni attivita’ ,i meccanismi ancestrali vissuti come fardello psicologico, le relazioni familiari organizzate come strumento di potere sono rappresentate con sguardo da entomologo ed una messa in scena che e’ un referto patologico. Il determinismo darwiniano impone la sua legge attraverso l’escalation di un "uomo tranquillo", un factotum della mafia con aspirazioni filosofiche, personaggio speculare all’imperturbabile padre di famiglia di "A History of violence", che mostra la sua vera natura quando, in un escalation di brutalita’ realizzata in puro stile cronemberghiano con i corpi che si avvinghiano in un estasi di sangue e redenzione e’ costretto a lottare per salvare la propria vita. Come al solito il regista piega le regole del genere alle necessita’ della sua visione ma questa volta il meccanismo non funziona perche’ si lascia trascinare da un plot monocorde, piu’ attento ai dettagli visivi (il look tatuato ed il taglio di capelli del faccendiere) che allo sviluppo drammaturgico (la bellezza bionda e angelica di Naomi Watts e la virilita’ nera e trattenuta del protagonista) che non aiuta l’elaborazione di quel mondo altro che si annida dietro la normalita’ del quotidiano. Ciononostante il pubblico del TFF come era accaduto per il deludente "Blueberry Nights" ha applaudito con convinzione i titoli di coda confermando una succube assuefuazione.

2 commenti:

nickoftime ha detto...

Per Fabrizio
Cronemberg
No non è solo quello ma è anche quello
è che senza la poetica della "carne" il film non ha spessore, rimane sulla pellicola,
è pericolosamente uguale a se stesso, quasi conservativo (mentre il
film cronemberghiano è per antonomasia ed eternamente in progress).
Certe scene assurgono a cinema granguignol se non ad umorismo
involontario modello weirdo ed a proposito della sublimazione della violenza
attraverso un autorappresentazione liturgica e cerimoniale (mi
riferisco alle scene all'interno del ristorante) basterebbe
riguardarsi il sottovalutato (anche dagli scorsesiani doc) 'L'età
dell'innocenza', in cui Scorsese (come Cronemberg al centro di un
ecumenismo critico e commerciale), riusciva a farci sentire/vedere
la violenza di quei rituali attraverso un cinema che era allo stesso
tempo decoro ma anche sostanza (anche la pietra è comunque sostanza).
"History of violence" invece pur appartenendo a questa nuova fase (iniziata con Spider)
aveva un altro respiro, più profondo...riproponeva il mito dell'uomo
solo controtutti rielaborava quelle "catene della colpa"
stratificandole attraverso una nuova lettura dei generi (noir ma anche western) che
non ne mortificava il talento visionario (vedasi l'accoppiamento dei
coniugi sulle scale e lo si confronti con la sodomizzazione della
prostituta di Eastern Promises). Ed è proprio la mancanza di questa
visione, che non smetteremo mai di rimpiangere (e non di detrarre). E
se questo film fosse proprio la rappresentazione di questa assenza,
la messinscena di una morte professionale che non prevede
Eastern/resurrezioni? Affettuosamente da un afficionados del canadese.

Anonimo ha detto...

La nota dedicata a fabrizio ed alla sua bella recensione vuole essere lo spunto per conversare di cinema, per scambiare pareri, punti di vista, ed insanabili ossessioni con gli amici che ne hanno voglia..che poi è lo scopo per cui questo sito è nato...

I detrattori di David Cronenberg, che sempre più spesso si annidano tra i suoi fans più sfegatati, non perdonano al maestro canadese la svolta cinematografica di A History of violence (2005) e di questo La promessa dell'assassino. Il Cronenberg "storico ha smesso (definitivamente?) di descrivere la violenza come fonte di godimento estremo che trova la sua sublimazione nel martoriare/deformare la carne e che nasce da turbe mentali o meglio da menti eccessivamente lucide nel mettere in atto i propri folli (?) progetti. La "carne" di Cronenberg non esiste più, i suoi personaggi sono pezzi di ghiaccio, di legno, di pietra. Non possono più essere plasmati, non c'è più metamorfosi.
La violenza del Cronenberg attuale è quella ragionata, lucida, rituale, messa in atto al solo scopo di raggiungere obiettivi che mirano a salvaguardare interessi primari come gli affari e l'incolumità fisica. Ma l'aver abbandonato le sceneggiature complesse e visionarie per passare a quelle apparentemente lineari e quasi monocorde degli ultimi 2 film, niente toglie alla grandezza del regista.
La promessa dell'assassino è film glaciale e tetro, dove una Londra fredda e inevitabilmente uggiosa non si vede quasi mai.
Tutto si svolge all'interno della comunità russa, un mondo chiuso in se stesso, all'interno del quale dettano le regole le organizzazioni criminali, fiorite nelle prigioni dell'Unione Sovietica di Breznev.
Sia chiaro, niente traffici internazionali, niente grandi affari, niente fiumi di denaro.
Siamo di fronte a organizzazioni criminali a conduzione familiare che si occupano di prostituzione e contrabbando, piccoli traffici insomma, che i russi devono difendere da altre "famiglie" anch'esse provenienti da Paesi dell'Ex URSS (Cecenia e Georgia su tutti).
Il noir di Cronenberg, dalla trama semplice, forse volutamente esile, visto che è una scusa per raccontare altro, è "sconvolto" dal regista che inietta dosi massicce di ambiguità psicologica nei personaggi: il vecchio padre-padrone (uno spettacolare Armin Muller-Stahl) dolcissimo con gli anziani, tenero nonno con i nipoti, amante della cucina raffinata, è in realtà un violentatore di minorenni indifese, rese schiave con l'eroina; il figlio Kirill (un buon Vincent Cassel - l'odio), spaccone e arrogante, spesso circondato da belle donne, si rivela essere un debosciato, emotivamente debole, probabilmente omosessuale.
E Nikolai? Chi è Nikolai?
Da vedere e rivedere la scena del bagno turco dove Nikolai viene sorpreso da 2 sicari ceceni armati di coltello, sequenza di una bellezza eccessiva: cruenta, tesa, di sangue e violenza.
Cronenberg con questa scena imprime la svolta definitiva al film, ne trae una coreografia perfetta piena di simboli: il dolore, il pentimento, una nuova nascita. Non una ri-nascita, ma appunto una nuova nascita, perché ogni nuova vita nasce dal/con dolore.
E' impossibile non relazionare questo film al precedente lavoro di Cronenberg, il già menzionato A History of violence, con il protagonista Viggo Mortensen (Il signore degli anelli I, II, III) che ricopre un ruolo uguale e contrario a quello interpretato 2 anni or sono.
L'interpretazione di Mortensen è impeccabile. Gelido, ermetico, l'attore ideale per il regista canadese.
La promessa dell'assassino è film asciutto e stringatissimo, con inquadrature mai banali. Consigliabilissimo.
Fabrizio Luperto
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