lunedì, agosto 11, 2008

Il treno per il Dajerleeng

Il treno per il Dajerleeng è un film di opposte tendenze non solo nelle immagini che alternano momenti di stasi, emblematicamente rappresentate dallo sguardo tenero ed un po’ catatonico dei tre protagonisti a quelle del movimento, con il treno colorato come uno yellow submarine che ne costituisce una costante, presente fin dal titolo e poi all’interno della storia dall’uso continuo dei rallenti che ne enfatizzano la componente catartica e liberatoria, ma anche nel paradigma di essere o non essere che caratterizza i personaggi e le loro azioni: chiamati a recitare un ruolo che non gli appartiene – il patriarca, il padre, il marito, i tre personaggi reagiscono dando vita ad una serie di piccole fughe e micidiali ritorni, a cui contribuiscono in egual misura gli incidenti della vita e quelli messi in atto con l’aiuto delle miscele di alcool e barbiturici che i tre ingollano a cadenza regolare.
Il padre, la madre, la fiducia, l’amicizia, i legami parentali sono segni di valenza opposta, presenze e assenze che agiscono in un continuo divenire dove la vita e la morte appartengono ad un processo di consapevolezza e di definizione di sé che no finisce mai. E come in un 68 parigino a cui alludono i riferimenti culturali e musicali (la Francia nelle musiche e nel prologo ma anche i riferimenti all’altrove indiano) ma soprattutto il progressivo smarcamento dalle figure parentali i tre fratelli realizzeranno un percorso di emancipazione in cui non mancheranno delusioni e dolore ma anche la vitalità scanzonata di chi ha fatto pace con se stesso. La pop art cinematografica di Andersonn si conferma all’altezza delle attese colorando la tela delle immagini con lo stile surreale delle sue composizioni, in cui losballo psichedelico delle immagini si unisce alla stravaganza picareresca dei suoi personaggi, dando vita ad un mondo in cui i riferimenti reali perdono il loro significato primario per diventare gli strumenti dello sberleffo e del non sense che si oppongono alla crudezza della vita. In questo senso l’India, per il suo tripudio di colori ma anche per le sue contraddizioni, impossibili ma reali, è lo scenario ideale di un opera in cui la fluidità visiva (sintetizzata dalla sequenza finale del treno in movimento) e l’inconsistenza del suo tessuto narrativo rappresentano insieme la forza ed il punto debole di questo film.

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