martedì, maggio 26, 2009

ANTICHRIST


Un film rimasto in parte in testa al suo regista. Lars Von Trier riesce ancora a spiazzare adottando un titolo che rimanda ad un archetipo dell’immaginario cinematografico e poi, dopo un inizio che lascerebbe presagire un immersione negli incubi di una metafisica applicata al religioso, prosegue come un dramma strindbergiano, tanto allucinato quanto ordinario nel disporsi sui binari di un confronto in parte psicanalitico, per l’approccio teraupetico con cui Dafoe cerca di curare la depressione della moglie, traumatizzata dalla morte del figlio, avvenuta nel corso dell’amplesso che apre a mo di prologo la storia, e successivamente, verso la metà del film, quando lei afferma la propria guarigione e poi, con uno scarto che la sceneggiatura fa fatica a giustificare, si scaglia verso il marito colpevole a suo dire di volerla abbandonare, e diventa una sfida senza esclusione di colpi tra la vittima ed il suo carnefice.
Abituato a provocare i suoi clienti con ben altre sfumature, questa volta il regista danese rende troppo esplicita la sua volontà, valga per tutti la penetrazione in primo piano che suggella l’antefatto amoroso, una sorta di melodramma raffreddato dall’invadenza dell’accompagnamento musicale e dal bianco e nero patinato delle immagini, oppurre la scena in cui lei inserisce una mola nella tibia di lui, eccesso di crudeltà che appartiene ai B movie amati da Tarantino ed ancora nella recitazione sovraccarica dei due attori, certamente voluta, ma che nel caso della Gainsbourg oltrepassa i limiti che permettono di distinguere tra un interpretazione attoriale ed una performance sportiva. Ed anche quando il clima si fa serio ed un angoscia sincera riesce a farsi largo in tanta confusione ed apprendiamo che la madre potrebbe essere stata consapevole della disgrazia imminente, rimane la sensazione di un cinema posticcio, che non inventa nulla di nuovo ma prende a piene mani iconografie (Lynch, Friedkin ma anche Kubrick) e situazioni (Haneke per quanto riguarda la mutilazione che lei si infligge nella parte finale della storia) già sfruttate. I rimandi alle vicende personali (la depressione che ha costretto il regista ad un lungo periodo di inattività) ed alla presunta misoginia di un uomo che sembra ossessionato dalla sofferenza femminile rimangono tali e fanno fatica ad assumere una valenza che l’apparato simbolico messo in campo ( la presenza di personaggi privi di nome, gli animali che danno vita alla costellazione immaginaria e che più volte incrociano la strada del protagonista, la natura come “Eden” abitato da novelli Adamo ed Eva) vorrebbe universali. Ad attenuare il rammarico di un attesa mal riposta c’è la conferma di un artista coraggioso che non arretra neanche di fronte all’autolesionismo e malgrado tutto riesce ancora una volta ad andare fino in fondo.

7 commenti:

ethan ha detto...

voto 6 tirato. Mi è piaciuto addentrarmi nella psiche depressa e misogena di Lars, anche se trovo il film incompleto.
Mi è piaciuto:
- la mano piena di zecche
- la castrazione con la masturbazione con fuoriuscita di sangue
- la grande ricerca dei temi trattati
- il prologo

nickoftime ha detto...

Sono curioso di sapere qualcosa di più sul prologo perchè a me ha lasciato piuttosto interdetto...

nickoftime ha detto...

scusa,
dimenticavo di chiederti anche cosa non ti ha convinto

un saluto

ethan ha detto...

La musica Lascia ch'io pianga di Handel con i movimenti rallentati, la neve che cade fuori dalla finestra, il bambino che si sveglia, i due che si accoppiano sudati e mentre raggiungono l'orgasmo, il bambino muore. (Di una bellezza strugente). In questa scena non c'è dolore. Il prologo racchiude gran parte del senso dell'opera compresa il pensiero di Lars riguardo la donna e il sesso. Questa sequenza apre ai temi trattati che poi si sviluppano nell'intreccio narrativo. In primo luogo l'immagine dei 3 mendicanti. I loro nomi appaiono sulle statuette che il bimbo getta a terra, prima di cadere dalla finestra, nomi che ritorneranno sulle carte che la donna aveva ritagliato per la sua tesi, accompagnati dalle figure di tre animali. Un frammento rivelatorio.
Negativo: Ho trovato molto simile a qualche scena di Saw quando lei prende una mola per affilare i coltelli e, con un trapano, gliela infila nel polpaccio.

nickoftime ha detto...

A proposito del prologo ti volevo dire che non mi ha convinto per niente a cominciare dalla fotografia che ho trovato patinata, per non parlare della scena della penetrazone..quell'inquadratura ristretta sul particolare sembra finta, mentre se fosse stata fatta mostrando anche i corpi sarebbe stata veramente forte ...ed il fatto di non mostrarla in questo modo, ma inserendola quasi di nascosto è un controsenso per un regista a cui piace fare scandalo.
Diversamente ho trovato più interesante il suo gemello alla fine del film, con le donne senza volto che risalgono la valle da cui sta scendendo Dafoe...tu che ne pensi?

ethan ha detto...

La fotografia l'ho trovata perfetta sia nel prologo e sia nella durata del film. Un buon uso cromatico dei colori.
Sicuramente la scena finale è molto potente. Una moltitudine di donne che non sono più una sola e che rappresentano la parte femminile che in lui. Almeno io ho dato questa interpretazione. La visione della pellicola mi ha lasciato molti punti di domanda perché non sono riuscito a cogliere tutti i vari simboli. La visione del film è personale e andrebbe visto più volte.

nickoftime ha detto...

Il film è comunque costruito su un apparato iconografico e simbolico molto complesso..e hai notato nei titolo di coda LVT elenca i libri da cui ha tratto la sua summa...dei veri e propri trattati a proposito di stregoneria, simbologia, astrologia ecc..

Interessante la tua interpreazione a proposito dell'epilogo..io ho pensato che potesse essere la rivelazione finale...ovvero che L'Anticristo non può essere sconfitto.