venerdì, maggio 15, 2009

RACHEL GETTING MARRIED

Il matrimonio di Rachel (Rosemarie De Witt) e' l'occasione per un rendez vous familiare a cui partecipa anche Kim (Anne Hathaway), sorella della sposa e tossicodipendente in via di riabilitazione. I festeggiamenti che precedono l'evento, organizzati con la celebrazione degli sposi attraverso il ricordo degli amici, sono l'occasione per fare il punto con un passato funestato dalla perdita del fratellino a causa di un incidente stradale provocato dalla dipendenza di Kim. Provata dal senso di colpa ed alla ricerca di un equilibrio ancora lungi dall'essere tale, Kim riportera' a galla antichi rancori ed incomprensioni mai risolte.
E' evidente che dietro questa resa dei conti che assomiglia nel tema e nello stile a Festen di Thomas Winterberg (telecamera a mano, luce naturale, assenza di rumori o suoni extradiegetici, insomma una specie di Dogma), ci deve essere dell'altro, e pur volendo evitare facili allusioni, non si puo' non vedere il riferimento all'america del presente, quella di Obama (lo sposo di Rachel e' afroamericano) in cui l'auspicato melting pot, che il film realizza attraverso le famiglie degli sposi, vero e proprio coacervo di razze e di colori non puo' far dimenticare i drammi del recente passato (L'America di Bush come la tragedia che ha coinvolto i protagonisti). Inoltre l'aspetto musicale, presente fin dall'inizio con il pretesto di provare il repertorio, diventa assoluto protagonista nella parte finale del film, con un vero e proprio live concert in cui la nuova presa di coscienza (il male non puo' essere dimenticato ma insiemepotremo renderlo meno dannoso)) va a braccetto con i ritmi caraibici e multietnici cari a Demme fin dagli esordi. La Hathaway come bad girl supera la prova ma ancor piu' brava e' Rosemarie de Witt nel ruolo di Rachel, per la capacita' di modulare con assoluta spontaneita' gli stati d'animo di un personaggio che lotta a tutti i costi per la felicita' sua e dei propri cari. Il cameo di Debra Winger , nella parte della assente ed anafettiva, completa alla grande una componente attoriale di assoluto livello.

3 commenti:

veri paccheri ha detto...

questo film è stato un pugno nello stomaco e come tale è arrivato dritto al bersaglio. ben scritto e diretto. anch'io ho apprezzato sia la Hathaway che la de Witt.

nickoftime ha detto...

Io ti devo dire la verità mi aspettavo qualcosa in più ma a differenza di Vinterberg,Demme fa vedere come il tema della famiglia possa essere tutt'altro che scontato.

veri paccheri ha detto...

infatti, con Demme la famiglia ritorna ad essere il luogo della nascita di tutti i primordiali conflitti che portiamo dentro di noi e che ci rendono irrazionali, addolorati, incompiuti, fino a che non si ritrova la forza di guardarsi allo specchio e di concerdersi un'altra chance di felicità, per ricostruirsi, affrontando con integrità il riaffiorare dei ricordi e dei traumi del passato.
mi colpiscono sempre motlo queste geometrie tra genitori e figli, in particolare tra madri anafettive e immature (o egoistiche? come definirlle? senza istinto materno? ) e figlie affamate di affetto e di ricerca di un punto, seppur labile, di riferimento a cui aggrapparsi, sul quale trovare pace e conforto, nel quale trovare piccole e grandi conferme.
il continuo rifiuto della madre verso la figlia è un dolore continuo ed inesorabile. ma l'individuo deve trovare la forza di difendersi da solo.
molto toccante e da metabolizzare. Molto bello il finale, dove si respira e si spera, proprio come la nuova America di Obama sta cercando di fare.