lunedì, febbraio 28, 2011
Sono il numero quattro
Un mondo dicotomico in continua spola tra forme di aggregazioni istituzionalizzate come la famiglia, luogo della ragione e del buon senso, e la scuola, territorio di formazione dove si decidono le sorti della gioventù, verrebbe da dire dell'umanità intera se è vero che lo scontro finale tra buoni e cattivi avverrà nel campo da football del liceo, ed un senso di alienazione che in simili vicende sembra la chiave più efficace per esplorare i territori dell'amicizia e dell'amore.
Ed è proprio per questa spiccata propensione verso le vicende del cuore che il film, sulla scia di un prodotto come "Twilight", capace di rileggere la saga dei vampiri con gli strumenti di un romanzo d'appendice, riesce a creare le condizioni per una partecipazione che non si ferma alla meraviglia ma arriva a coinvolgere la sfera emozionale.
Così dopo una scena d'apertura tanto crudele quanto spettacolare la sceneggiatura incomincia una sorta di lavoro ai fianchi dello spettatore, da un lato immergendolo nelle atmosfere ovattate e sognanti di una provincia americana immersa in una natura solare e vitale e le cui promesse di american dream sono evidenti nell'alchimia di due protagonisti destinati a reiterare un immaginario di prosperità familiare, dall'altra disseminando indizi ed atmosfere sul tipo de "il buio si avvicina", anche qui il contatto è frutto di un avvicinamento continuamente rimandato ma allo stesso tempo inesorabile, con improvvise sottrazione di colore a favorire un oscurità densa di presagi e restringimenti di campo che rendono il senso di una situazione senza via di scampo.
Da una parte il male con i suoi segni di morte, visi tatuati e pastrani neri, simili a quelli indossati dalle gerarchie naziste, dall'altra la faccia buona dell'America con le sue facce slavate e gli indumenti di un disimpegno calcolato sono gli altri segni di un manicheismo funzionale ad una storia che non ammette vie di mezzo.
Usando cromatismi artificiali utili ad enfatizzare gli aspetti fiabeschi di una vicenda che si mantiene lontana da qualsiasi forma di realismo e supportato da uno script perfettamente oliato (la sceneggiatura è degli stessi autori di Smalville) Caruso filma con disinvoltura, creando meccanismi di suspense ad orologeria in cui la continua sottrazione di certezze è riequilibrata dalla tipicità della situazioni. Forte di una modernità di tipo classico che privilegia una messa in scena di ampio respiro, con riprese più vicine allo stile "long take" che a quello frammentato, il regista si dimostra all'altezza di un film che non viene mai meno alle sue qualità di puro intrattenimento.
(pubblicata su ondacinema.it)
venerdì, febbraio 25, 2011
Amore ed altri rimedi
Hard Sell: The Evolution of a Viagra Salesman di J. Reidy il film racconta l’incontro di due personalità apparentemente diverse come Jamie (un Jake Gyllenahall in versione salutista), diviso tra il lavoro di rappresentante farmaceutico e la passione per le donne ed appunto Maggie, decisamente indipendente e riottosa a qualsiasi tipo di legame. Ad unirli è inizialmente l’intesa sessuale poi, anche l’amore: il tutto complicato dalle condizioni di salute di lei, affetta dal morbo di parkinson, e dalle oscillazioni del mercato farmaceutico preso d’assalto dalle spasmodiche richieste del Viagra, di cui Jamie è il fortunato venditore e che in qualche modo sembra condizionare gli umori dei due amanti.
Sulla scia di un film come “Amore al 90°” in cui gli alti e bassi di una coppia dipendevano dai risultati della squadra del cuore del protagonista anche qui l’originalità del testo consiste soprattutto nel mettere in relazione le alchimie del cuore con la chimica del medicinale, contrapponendo il vitalismo naturale dei due amanti con quello artificiale ed un po’ forzato derivato dal Viagra. Ed è soprattutto nella sua fase più sbarazzina, quella in cui gli opposti stentano a conciliarsi, in cui le ritrosie fanno a gara con l’attrazione che il film e gli attori danno il meglio di sé: così se da una parte l’accostamento di due attori che si erano già sfiorati nell’ormai famoso Brokeback Mountain risulta credibile soprattutto perché riesce a trasmettere il divertimento ed il piacere di quelle situazioni e nonostante Edward Zick, regista d’attori, sia bravo a raffreddare l’ atmosfera, inserendo momenti di puro pragmatismo se non di cinismo legati ai tentativi di Jamie e dei suoi colleghi di vendere il prodotto anche a costo di immani sacrifici (come quello di andare a letto con una segretaria bruttina ma indispensabile per arrivare all’obiettivo), il film non riesce ad andare fino in fondo, ad esplorare quel rapporto con uno sguardo svincolato dalle convenzioni del cinema mainstream. Sarà per la voglia di strafare o forse per evitare di offendere il pubblico pagante con un eccesso di libertinaggio (per l’occasione la Hathaway esibisce un topless diventato materiale di culto per gli internauti) la storia ad un certo punto fa marcia indietro, precipitando nel cinema dei sensi di colpa e del dolore, un po’ sul modello di Love story, un po’ assecondando la moda dei telefilm ospedalieri, con Maggie resa inabile dal morbo e Jamie distrutto dal dolore e dai tentativi di salvarla da un destino senza futuro. Tra inserti che alla maniera del cinema verità (peraltro ricercata anche nella scelta di una location come Pittsburgh famosa per le sue tradizioni in campo medico) illustrano il decorso della malattia e lasciano spazio alle testimonianze di persone realmente malate il film sembra quasi volerci far sentire le conseguenze di una vita presa con leggerezza e fuori dagli schemi, come se la libertà sessuale manifestata dalla coppia fosse la causa di questo triste conclusione. L’epilogo finale, con un aggiustamento in corso d’opera che sembra voler salvare capra e cavoli, della serie fate pure le vostre cose ma con una certa moderazione, non serve a farci passare la sensazione di un tradimento consumato a mente fredda. Più che un brutto film “Amore ed altri rimedi” è un occasione mancata, un'altra commedia da mettere nell’archivio di un anonimato di cui si può facilmente fare a meno.
giovedì, febbraio 24, 2011
IL CIGNO NERO - BLACK SWAN
Regia: Darren Aronofsky
Nina (N. Portman), ballerina del New York City ballet, è ambiziosa e molto competitiva.
Il regista e coreografo Thomas Leroy (V. Cassel), dopo aver licenziato la prima ballerina (W. Ryder) le affida il ruolo di protagonista in una versione del Lago dei Cigni.
Aronofsky dopo aver affondato la mdp nella carne martoriata di Mickey Rourke in The Wrestler (2008) torna con questo Black Swan, riprendendo in un certo senso il discorso iniziato nel film precedente, trasformando il ring in palcoscenico, e ammiccando, forse, a David Cronenberg.
Storia di rivalità artistica, della competizione all’interno di un mondo delimitato, di un morboso rapporto tra madre e figlia.
Nina è una ragazza che ha conosciuto solo disciplina e rigore, che ha visto la propria esistenza soffocata dall'ambizione e da una madre frustrata che ha riposto su di lei ogni aspettativa.
Cigno bianco o cigno nero, bene e male convivono nella mente malata di Nina, introversa e casta e allo stesso tempo allucinata e paranoica.
Thriller dai contorni psicologici, probabilmente (anche) una parabola sulla perdita d'identità.
Il Cigno nero deve qualcosa alla letteratura (Dostoevskij) e soprattutto a quel capolavoro assoluto che è La Pianista (2001) del maestro Michael Haneke.
Le scene esplicite(?) di sesso saffico (per i puritani statunitensi, che minacciavano il boicottaggio) hanno convinto i produttori ad investire solo 13 milioni di dollari (quando la Portman si è incrinata una costola, per pagare il medico da far arrivare sul set è stata sacrificata la roulotte in dotazione alla stessa attrice).
Qualche luogo comune sul competitivo mondo del balletto classico e sulla sessualità, non scalfiscono questo buon film che merita la visione.
Per gli amanti delle curiosità, la bravissima Portman piange anche in questa occasione.
Film in sal dal 25 febbraio 2011
(127 Hours)
GENERE: Biografico, Drammatico, Avventura
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna, USA
REGIA: Danny Boyle
Body
(Body sob 19)
GENERE: Drammatico, Horror, Thriller, Mystery
ANNO: 2007
NAZIONALITÀ: Thailandia
REGIA: Paween Purikitpanya
Ladri di cadaveri
(Burke and Hare)
GENERE: Commedia, Horror
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna
REGIA: John Landis
Manuale d'amore 3
GENERE: Commedia
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Giovanni Veronesi
Ramona and Beezus
GENERE: Commedia, Family
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Elizabeth Allen (III)
Shelter - identità paranormali
(Shelter)
GENERE: Horror, Thriller
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Måns Mårlind, Björn Stein
Unknown - senza identità
(Unknown)
GENERE: Drammatico, Thriller
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Jaume Collet-Serra
giovedì, febbraio 17, 2011
Film in sala dal 18 febbraio 2011
(Love and Other Drugs)
GENERE: Commedia, Sentimentale
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Edward Zwick
Come lo sai
(How Do You Know)
GENERE: Commedia, Drammatico, Sentimentale
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: James L. Brooks
Il cigno nero - Black Swan
(Black Swan)
GENERE: Drammatico, Thriller
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Darren Aronofsky
Il grinta
(True Grit)
GENERE: Drammatico, Western, Avventura
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Joel Coen, Ethan Coen
Il padre e lo straniero
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Ricky Tognazzi
Sono il numero quattro
(I Am Number Four)
GENERE: Azione, Fantascienza
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: D.J. Caruso
The Shock Labyrinth: Extreme 3D
(Senritsu meikyû 3D)
GENERE: Horror, Thriller
ANNO: 2009
NAZIONALITÀ: Giappone
REGIA: Takashi Shimizu
Un gelido inverno
(Winter's Bone)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Debra Granik
martedì, febbraio 15, 2011
INTO PATRADISO
Regia: Paola Randi
Alfonso D'onofrio (Gianfelice Imparato) è uno scienziato a cui l'università non rinnova il contratto di lavoro.
Per poter riottenere il suo posto di ricercatore, su suggerimento di un amico, Alfonso si rivolge al politico Vincenzo Cacace (Peppe Servillo, fratello di Toni e cantante degli Avion Travel) che intrattiene pericolosi rapporti con una boss della camorra.
Il politico Cacace raggira l'ingenuo Alfonso e lo coinvolge in una guerra tra camorristi, braccato da alcuni killer, Alfonso si rifugia in un vecchio palazzo abitato integralmente da immigrati provenienti dallo Sri Lanka, ritrovandosi esule in Patria.
Commedia nera surreale e a tratti stravagante che l'esordiente milanese Paola Randi infarcisce di leggerezza e ironia smorzandone i toni tragici.
Into Paradiso vuole essere metafora dell'integrazione e dell'accoglienza, utilizzando amicizie improbabili, amori impossibili, convivenze forzate.
Ottima prova di Gianfelice Imparato che sa essere mattatore senza risultare invadente.
Qualche caduta nella sceneggiatura, ma nell'insieme un esordio coraggioso e apprezzabile, al pari di alcune ottime trovate come la proiezione delle immagini sugli oggetti.
Pellicola a metà tra Mio Cognato (2002) di A. Piva e Tano da morire (1997) di R. Torre.
Il titolo del film fa riferimento al palazzone in cui si svolge la storia che si trova nel quartiere Cavone a Napoli.
lunedì, febbraio 14, 2011
IL DISCORSO DEL RE
Regia: Tom Hooper
Edoardo VIII (Guy Pearce), figlio maggiore di Giorgio V è destinato a sedere sul trono dell'impero britannico, ma preferisce abdicare pur di sposare l'amata Wally Simpson, già divorziata e con una pessima fama, "costringendo" il fratello Albert, timido e balbuziente a diventare re.
In un tempo in cui un primo ministro si dimetteva per non aver colto in tempo la gravità della situazione politica (la minaccia Hitler); in un tempo in cui decoro e competenza risultavano essere valori necessari per governare; in un tempo in cui un' intera Nazione è chiamata a stringersi al suo re per non finire sepolta dalle macerie della storia, Giorgio VI, a causa della propria balbuzie, si sente e, soprattutto, appare agli occhi dei suoi sudditi, inadeguato a ricoprire il ruolo di guida della Nazione.
Nel momento più importante del secolo scorso, vacilla e balbetta mentre i dittatori fascisti di Germania e Italia usano la loro voce per esaltare le folle.
Dopo essersi fatto curare dai medici di corte senza risultati apprazzabili, l'amorevole moglie Elisabeth (Helena Bonham Carter) lo affida alle cure dell'attore mancato Logue (Geoffrey Rush) reinventatosi logopedista, che con dei metodi poco ortodossi, ma assai efficaci, cercherà di aiutare il nuovo re.
Il discorso del re riesce a trasmettere perfettamente le difficoltà di un uomo obbligato a dare di sé un' immagine solenne, ma in realtà goffo e impacciato perché frenato dalla balbuzie.
Questo è possibile grazie alla bravura di Tom Hooper che con la sua grande tecnica schiaccia la mdp sul volto di Colin Firth, abbassa i soffitti e restringe gli spazi, toglie il respiro, fa mancare l'aria, soffoca il protagonista sullo schermo, per poi strozzarlo con la balbuzie.
Bella sceneggiatura di David Seidler (a sua volta un balbuziente).
Pellicola solida e raffinata, recitata con grande stile.
Candidato a 12 premi Oscar.
domenica, febbraio 13, 2011
Che bella giornata
di Gennaro Nunziante
Siamo sempre alle solite perché di fronte ad un fenomeno commerciale e di consenso come quello portato a casa da Che bella giornata, miglior film italiano di tutti i tempi in termini di incassi, superiore persino al mitico La vita è bella, qualsiasi approccio puramente cinematografico appare riduttivo rispetto ad un cinema che più o meno inconsciamente chiama in rassegna aspetti e sentimenti che appartengono al paesaggio umano della nostra penisola.
Personaggio televisivo catapultato sulla ribalta di celluloide, Checco Zalone ha avuto il merito di non strafare, di mantenersi con i piedi per terra riproponendo il personaggio che lo ha reso famoso, una specie di Mister Magoo meridionale che si muove leggiadro ed inconsapevole lungo il binario di una follia surreale ma bonaria, fatta di non sense lessicali alla maniera di Nino Frassica, e stereotipi prelevati direttamente dall’immaginario cinematografico di una certa commedia italiana di serie b, soprattutto quella degli anni '80, dei Banfi e poi del primo Abatantuono, entrambi meridionali, entrambi alieni al mondo al quale devono rapportarsi, eppure come Zalone eternamente vincitori grazie alla capacità tutta cinematografica di ribaltare i difetti in virtù.
Ed alla stregua di chi l'ha preceduto nello strapotere al botteghino, anche Che Bella giornata, come già Pieraccioni e molto del cinema di Benigni, riprende un canovaccio in cui lo sviluppo della storia dipende in gran parte dal tentativo del protagonista di conquistare la controparte femminile, solitamente distratta da urgenze costruite ad hoc, per catapultare il primo in situazioni più grandi di lui e che proprio per la loro esagerazione diventano il principale motivo di ilarità.
In questo caso Checco, improbabile addetto al servizio di sicurezza della Madonnina del Duomo di Milano - lavoro conquistato grazie all’aiuto della madre, un altro must dell’uomo italico perennemente dipendente la figura materna - si innamora di Zara, una ragazza marocchina che lo avvicina nel tentativo di organizzare insieme al fratello un attentato terroristico proprio nel sito che lui deve sorvegliare.
La drammatica attualità dell’incipit, inserita nel mondo farsesco costruito dagli autori, perde qualsiasi gravità per diventare uno degli elementi su cui il film gioca le sue carte.
Se infatti il personaggio di Zalone è di per sé un outsiders, portatore di anomalie in un contesto di apparente normalità (l’identificazione/empatia avviene infatti al di fuori dello schermo, con lo spettatore che guarda la vicenda seduto nella sala e non con i coprotagonisti di una storia che per far ridere deve necessariamente vivere di opposti), allora l'ignoranza rispetto ad una verità conosciuta dal pubblico (la pianificazione della strage) diventa un detonatore emotivo che Zalone sfrutta per enfatizzare le caratteristiche di un personaggio inaffidabile ma vincente, capace di mettere in subbuglio con la forza della propria incoscienza forze dell'ordine e gerarchie religiose, organizzazioni terroristiche e moltitudini turistiche, e nel contempo riflette sulla soglia di una sanità mentale il cui confine finisce per diventare sempre più labile, al punto da non sapere più chi è sano e chi è malato.
Perché, ed è questa la lezione che si potrebbe ricavare dalla visione del film, se l’esistenza è assurda la cosa migliore è farsi gioco di essa, sbeffeggiare lei e chi le crede, alzando ancora di più il livello di anarchia che la presiede.
Una ribellione confermata da un finale in qualche modo anticonformista, con l'eroe che fallisce nel suo intento (a differenza degli illustri colleghi sempre a segno quando si tratta di materia amorosa) ma riparte più forte di prima, entrando a far parte della scorta papale del quale, lo si intuisce da un pacca sulle spalle e dal riferimento culinario, ha già preso le misure.
Ineccepibile sul piano della simpatia ed anche spigliato nel riferirsi alla stretta attualità, Che bella giornata non riesce però a diventare film, rimanendo legato ad una logica tutta televisiva che risolve la trama in una serie di episodi anche simpatici ma costretti ad incassare in tempo breve la dote di risate che ci si aspetta da questo genere di intrattenimento.
Inoltre a fronte della carica eversiva che investe il personaggio principale fa riscontro un buonismo generalizzato che non risparmia nessuno, dal Vescovo che cerca in tutti i modi di evitare il licenziamento dell'incapace Checco, ai terroristi islamici coinvolti in una cena meridionale che appianerà le differenze culturali, ma anche l'antipatico Colonnello dei Carabinieri coinvolto in una serie di gag del tipo torte in faccia e gavettoni che lo allontanano quasi subito da quella fisognomica trasformandolo in una creatura da slap stick comedy, simile ad una comica di Buster Keaton: niente di male, se non fosse che il cinema è un'altra cosa.
venerdì, febbraio 11, 2011
the green hornet
di Michel Gondry
The Green Hornet (dal serial radiofonico americano degli anni 30) è tanto lontano dal cliché del cavaliere oscuro afflitto da gravi travagli interiori o dai traumi infantili quanto dalle rivoluzioni genetiche che stravolgono la vita e rendono gli amori difficili: Britt Reid è uno spensierato ramPollo che conduce una leggera e gaudente vita-party dove i soli turbamenti riguardano il perseguimento della felicità attraverso collezioni (di ragazze e popolarità) e colazioni (preparate come dio comanda).
Possiamo tirare un sospiro di sollievo… finalmente non c’è nulla di serio in questo eroe che ha molti difetti ma non quello più stupido comune a tutti i super eroi, ovvero essere buoni e ricattabili: non è seria la sua missione, i principi sono quelli di uno sfaticato superficiale e goliardico che fa della giustizia un hobby da edonista e, a partire dal nome “calabrone verde”, non è seria la sua genesi, frutto dell’incontro casuale con Kato, il meccanico/maggiordomo cinese fan di Bruce Lee (nel serial televisivo the green hornet degli anni 60 Kato era interpretato proprio da Lee), un incontro generato a sua volta dal puro capriccio di un apologeta del cappuccino perfetto.
Lo scoppiettante faccia a faccia iniziale tra James Franco – che non compare nei credits – ed il bravissimo e cattivissimo Christoph Waltz è l’antipasto di autoironia e di parodia che anticipa una storia scritta e interpretata in modo intelligente e strepitoso dallo stesso attore protagonista Seth Rogen (Strafumati, Funny People) e messa abilmente in scena dal francese Michel Gondry (Eternal Sunshine, Be kind rewind) che qui ha il talento di sparire, perché senza essere invasivo mette la propria poetica “artigianale” al servizio dei mezzi immensi della produzione americana e a sostegno delle idee geniali di un autore/attore originale e incontenibile,
insomma Gondry dà cuore e anima al caos lasciandolo magicamente scorrere fluido e compatto e trasformando il guazzabuglio prolisso del super-anti-eroe ricco e cretino in un film di 2 ore molto divertente.
Voto: 8
giovedì, febbraio 10, 2011
Film in sala dal 11 febbraio 2011
(Burlesque)
GENERE: Drammatico, Musical
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Steve Antin
Gianni e le donne
GENERE: Commedia, Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Gianni Di Gregorio
Il Truffacuori
(L'arnacoeur)
GENERE: Commedia, Romantico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Pascal Chaumeil
Rabbit Hole
(Rabbit Hole)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: John Cameron Mitchell
Sanctum 3D
(Sanctum 3D)
GENERE: Azione, Thriller
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Australia, USA
REGIA: Alister Grierson
Senna
(Senna)
GENERE: Biografico, Documentario
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna
REGIA: Asif Kapadia
martedì, febbraio 08, 2011
Frankie & Alice
Tutti al suo servizio dunque, a cominciare da un alter ego dall’effetto assicurato se è vero che i personaggi borderline come quello di Frankie Murdoch, una ragazza affetta da disturbi bipolari, sembrano sintonizzati sull’emotività delle platee così come su quella dei giurati, e proseguendo con un compagno di merende, Stellan Skarsgård nella parte dello psichiatra, tanto professionale quanto parsimonioso nell’evitare la ribalta di una vicenda in cui la dialettica medico/paziente deve essere necessariamente a favore del secondo e per finire da un regista carneade, tale Geoffrey Sax, capace di tralasciare qualsiasi iniziativa per modellarsi sui desideri fotogenici della sua divina. Il risultato è una serie interminabile di scene madri in cui il susseguirsi degli sdoppiamenti schizofrenici (Frankie che diventa Alice) si alterna allo struggimento per un destino apparentemente già deciso. Ambientato nell’America degli anni 70 più per giustificare il razzismo a monte della tragedia che per motivi filologici (la vicenda parrebbe ispirata ad una storia vera), il film latita anche nella ricostruzione del panorama storico, affidato esclusivamente alla presenza di brani musicali inconfondibili, ai pantaloni a zampa di elefante ed alla vaporosa capigliatura della protagonista. Eccessivamente castigata anche quando non sarebbe richiesto, vedasi il prologo in cui Frankie ancora ignara di quello che l’attende si esibisce come stripper in un locale per soli uomini con la telecamera che mantiene lontana dall’oggetto del proprio desiderio, la Berry satura la scena con una performance così paradigmatica da annullare qualsiasi effetto sorpresa e toglie al personaggio con delle scelte quanto meno discutibili -la schizofrenia è resa in maniera così bonaria da uniformare le opposte tendenze- quel minimo di empatia capace di tenere desto l’interesse. Uscito in America alla fine di dicembre per alimentare le speranze di un eventuale candidatura della sua star, "Frankie & Alice" non ha fatto fatica a rientrare nei ranghi di un anonimato ampiamente giustificato.
lunedì, febbraio 07, 2011
The Constant Gardener
E’ un lasso di tempo brevissimo, quanto basta per guardarsi negli occhi e fiutare un linguaggio del corpo dissimulato dalle necessità di uno spazio comune. Ed è proprio in quella dimensione collettiva che si verifica la magia, la capacità di trasformare note da stadio in musica da camera. E’ un amore a prima vista, un colpo di fulmine che lascia indietro le future incomprensioni. Il buon senso e la conoscenza reciproca devono fare un passo indietro rispetto all’energia dell’attrazione. Il matrimonio repentino, la gravidanza travagliata, il viaggio in Africa al seguito del marito diplomatico sono gli accessori che trasformano il quotidiano in qualcosa di più grande. Quello che segue appartiene ai romanzi di spionaggio, alle teorie cospirative del grande Fratello, ad una lotta di denaro e di potere in cui saranno coinvolte una multinazionale farmaceutica, il governo inglese ed un manipolo di personaggi senza scrupoli decisi a tutto pur di favorire la sperimentazione di un farmaco nocivo. Una partita giocata all’ombra delle grandi corporation umanitarie, degli slogan perbenisti e terzomondisti in cui le motivazioni di Tessa, paladina dei più deboli troverranno terreno fertile e purtroppo, un destino senza futuro. Ma come spesso accade nei cicli naturali anche qui la morte significa rinascita e dovremo dire riscoperta poiché il motivo del lutto e l’indagine per individuare i mandanti del delitto diventeranno per Justin l’occasione di conoscere veramente la persona che gli stava accanto e sulla quale, per un momento pur breve, aveva dubitato. Rivestito delle caratteristiche del film di genere, la fonte della storia è infatti l’omonimo libro dello scrittore John Le Carrè, The Constant Gardner è in realtà uno spaccato sull’ambivalenza delle relazioni umane una grande romanzo d’amore in cui la presenza assenza della persona amata, sottratta al protagonista ed a noi spettatori all’inizio del film e poi riproposta con una serie di flash back ed attraverso le azioni dell’inconsolabile marito, è il paradigma di quella dialettica emotiva in cui il rapporto con la persona amata deve passare inevitabilmente per la sua negazione. In bilico tra la storia dei grandi numeri ed un intimismo che trascolora in un romanticismo tout court The Constant Gardener è anche l’occasione per il suo regista, Fernando Meilleres (The city of God), di tornare sulla geografia delle nostre dimenticanze, sui luoghi necessari al benessere ingordo del mondo occidentale. Colorato in maniera iperrealista da una fotografia che esaltando i colori netti e luminosi rimarca la vitalità di un paesaggio saccheggiato ma ancora vitale, il film si avvale della performance di due attori, Ralph Fiennes e Rachel Weisz, capaci di dare credibilità alle alchimie del cuore lavorando di sottrazione ed esaltando il valore dello sguardo. Per questo film la Weisz ha vinto l’Oscar come miglior attrice non protagonista. Sicuramente meritato.
(dedicato all'amico Joachim che mi ha lasciato un po' piu' solo)
sabato, febbraio 05, 2011
NON C'ERA NESSUNA SIGNORA A QUEL TAVOLO
Regia Lorenzo Conte - Davide Barletti
Il nuovo lavoro di Lorenzo Conte e Davide Barletti ci racconta di Cecilia Mangini (Mola di Bari 1927) saggista, critica cinematografica e soprattutto una delle più importanti esponenti del cinema documentario italiano.
Il suo lavoro più noto è probabilmente La canta delle marane (1961) dove la sua mdp scruta i gesti e gli sguardi di un gruppo di ragazzini della periferia romana, mentre il commento di Pier Paolo Pasolini ne racconta le storie e i sogni.
Altri lavori che vanno sicuramente ricordati sono Stendalì (1960), testimonianza sul lamento funebre in lingua grika, All'armi siam fascisti (1962) e Essere donne (1965).
Nel documentario di Barletti e Conte riprendono vita le immagini di un Italia apparentemente lontana nel tempo: quella degli anni '60, del boom economico, con le sue lacerazioni sociali e i suoi drammi.
Una porzione di storia del nostro Paese ci viene riproposta attraverso l’occhio di una delle protagoniste della stagione più ricca e vitale del cinema italiano.
Barletti e Conte confezionano Non c'era nessuna signora a quel tavolo alternando le immagini dei documentari con il commento appassionato della stessa Mangini legando il tutto con immagini di vecchi proiettori e fasci di luce che mettono in risalto quella polvere che solo apparentemente ricopriva il materiale che viene proposto allo spettatore.
L'opera di Cecilia Mangini basterebbe da sola a soddisfare l'appetiito di appassionati e spettatori che guardano al cinema con interesse, ma Barletti e Conte oltre a compiere un'operazione colta si preoccupano anche di fornire alcuni strumenti di approccio al tema, ottenendo il risultato di ridare vita ad un intera epoca e ai suoi protagonisti.
http://www.fluidproduzioni.com/mangini/
venerdì, febbraio 04, 2011
ANOTHER YEAR
di M. Leight
Se fosse un colore avrebbe la classicità del Fumo di Londra; ed invece è un film, per giunta importante, vista la firma del suo regista, un abituè dei palmares festivalieri e da anni uno dei massimi umanisti del cinema mondiale.
Anche questa volta era annunciato come uno dei favoriti tra i film in concorso all’ultimo festival di Cannes ed invece a conti fatti “Another Year”, una storia corale incentrata sulle vicissitudini di una donna delusa dalla vita e sulle reazioni di chi le sta vicino, si dimostra un lavoro poco ispirato e soprattutto senza la naturalezza delle opere precedenti.
Leigh sembra più interessato alla costruzione della cornice piuttosto che allo sviluppo della storia. Avendo a che fare con una drammaturgia da teatro cechoviano, di cui riprende non solo il rapporto tra lo scorrere del tempo e lo stato d’animo dei personaggi ma anche una certa staticità nell’azione, il regista rende evidente le sue scelte dividendo la vicenda in quattro quadri corrispondenti alle omonime stagioni, utilizza la luce naturale ed anche quella artificiale, (nell’ultimo quadro, quello invernale desaturato dei colori primari per corrispondere all’atmosfera di dolore per una morte improvvisa) e si mantiene sempre all’interno di un cinema da camera, fatto di interni domestici e piani americani, saltuariamente interrotto dallo stesso campo lungo che, riprendendo scene di vita contadina sembra alludere al ciclo naturale della vita. Un allestimento tanto impeccabile quanto schematico che fa il paio con il dipanarsi di una vicenda che non esce fuori da un naturalismo privo di sorprese ed un fiume di parole che non aggiunge nulla a quello che vediamo.
Tra nevrosi ed insoddisfazione, il film procede capitalizzando la bravura dei suoi interpreti, specialmente quelli femminili ma si conclude senza nessuna variazione rispetto al punto di partenza.
02/01/11
giovedì, febbraio 03, 2011
Film in sala dal 4 febbraio
(Another Year)
GENERE: Commedia, Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna
REGIA: Mike Leigh
Biutiful
(Biutiful)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Messico
REGIA: Alejandro González Inarritu
Femmine contro maschi
(Femmine contro maschi)
GENERE: Commedia
ANNO: 2011
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Fausto Brizzi
I fantastici viaggi di Gulliver in 3D
(Gulliver's Travels)
GENERE: Commedia, Avventura
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Rob Letterman
Into Paradiso
GENERE: Drammatico
ANNO: 2010
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Paola Randi
mercoledì, febbraio 02, 2011
VENTO DI PRIMAVERA - La Rafle
titolo originale: la rafle (la retata)
un film di roselyne bosch
vento di primavera, di rose bosch, mette in scena una storia realmente accaduta, personaggi che sono realmente esistiti, nel preciso contesto storico del nazismo. siamo in francia, è il 1942.
verrebbe da dire che si tratta dell'ennesimo film sull'orrore dell'olocausto - su cui tanto si è scritto e girato - e che poco di nuovo potrebbe dare al cinema, ma vento di primavera racconta un fatto che ha macchiato la francia per sempre e lo fa mettendosi dalla parte dei bambini.
come sappiamo spesso non sono i temi affrontati a rendere un film un buon prodotto quanto come li si racconta.
nel tentativo di riportare all'attenzione del grande pubblico la deportazione, voluta dal regime collaborazionista del maresciallo vichy, di circa 13.000 ebrei che si erano rifugiati a parigi, bosch focalizza l'attenzione sui bambini: dai loro occhi apprendiamo i fatti, partecipiamo allo strazio che li ha travolti insieme alle loro famiglie, cerchiamo risposte che non troveremo e ci sentiamo assaliti dal medesimo senso di abbandono e smarrimento.
i bambini, che con la loro innocenza e purezza d'animo guardano l'orrore degli adulti senza poter comprendere, rappresnetano il motore della pellicola. gli adulti ne sono i comprimari.
il medico ebreo eroico (jean reno) che non pensa nemmeno per un secondo di salvarsi e che invece assiste fino alla fine i propri compagni, oppure l'infermiera cattolica (melanie laurent) che non abbandonerà i bambini ebrei nemmno nello sfinimento della propria malattia, non sorreggono il film ma ne sono sorretti, perchè vento di primavera è un film corale, di molti piccoli occhi che non si arrendono alla morte e che ci testimoniano una forza vitale preziosa.
dei cira 25.000 ebrei destinati al rastrellamento solo una parte si salvò grazie al prezioso aiuto dei cittadini francesi che accettarono di nasconderli. i rimanenti furono condotti al vélodrome d'hiver da dove partirono per quello che fu il loro ultimo viaggio. di essi ritornarono solo venticinque persone e nessun bambino.
film di denuncia, di memoria, crudo ed autentico, l'opera di bosch ha la precisione del documentario ed il pudore dei prodotti televisivi destinati alle famiglie.
i colori sono saturi, la luce è intensa e giocata sempre sul limite tra finzione e realtà.
dal ritmo sostenuto e mai scevro di delicatezza, il film rivela senza mostrare troppo.
bosch non cede mai all'evidenza, ma piuttosto spiega lasciando ampio margine di intuizione allo spettatore, senza abbandonarlo alla supposizione.
sappiamo bene che fine faranno le vittime, quali orrori subiranno e possiamo immaginare cosa hanno dovuto affrontare. proprio in questa non evidenza, in tal non esplicitare, risiede la forza emotiva del racconto.
jean reno, un po' imbolsito e sgualcito, è piuttosto intenso, così come lo è melanie laurent (la bionda vendicatrice del tarantinato Inglorious Basterds), che dà vita ad una donna sensibile, determinata e dalla grande forza interiore.
vento di primavera è un film sui bambini e sulla loro forza, sulla forza dell'amore umano e del credere nella vita.
un buon prodotto per tutti, per non dimenticare mai.
LAST NIGHT
un film di Massy Tadjedin
I motivi della tentazione sono spesso caratterizzati dalla mancanza di luce: che la si interpreti in maniera metaforica, associando l’accecamento della ragione ad un buio primordiale fatto d’istinto e poco altro, oppure scegliendo la strada di un realismo che la nasconde alla vista del quotidiano, il deragliamento dei sensi è di per sé un animale notturno abituato ad orientarsi senza bisogno di accessori.
Ed è proprio questa sobrietà espressiva, continuamente ribadita nell’essenzialità degli ambienti così come dei personaggi, mai sopra le righe seppure emotivamente surriscaldati dalle diverse contingenze- la coppia del film si ritrova per una notte separata ed in compagnia di un potenziale amante - unità alla scelta di concentrare l’azione della storia nello spazio di un unico arco notturno a rendere intrigante un film come Last Night.
Immersi nella notte urbana, illuminata quel tanto che basta per riconoscere un linguaggio del corpo fatto di gambe che si incrociano e sguardi che si perdono, i quattro protagonisti danno vita ad una quadriglia sentimentale in cui perdersi e ritrovarsi è una costante così come la luce ed il suo opposto, continuamente in contrasto, come la ragione nei confronti dell’istinto.
Una lotta alla pari se non fosse che cedere alla propria essenza è il solo modo per essere se stessi, per rimanere attaccati ad una natura continuamente tradita dalle menzogne del giorno dopo. Diretto con eleganza da Massy Tadjedin il film integra perfettamente ambienti e personaggi con una simbiosi che aiuta a dilatare i limiti di un discorso in cui le reticenze prevalgono sull’azione e si avvale di una fotografia di un tipo che ha lavorato con David Lynch e che qui riesce a trasformare le pareti del quotidiano in autentici non luoghi capaci di enfatizzare la centralità delle figure umane.