martedì, novembre 08, 2011

VI edizione del Festival internazionale del film di Roma


Il festival ai tempi della crisi: fra ristrettezze economiche e necessità organizzative il bilancio di una manifestazione che continua a scommettere sulla varietà delle sue proposte. E intanto è arrivata alla sesta edizione
Strangolato dagli opportunismi della politica e costretto a confrontarsi con due omologhi di consolidata tradizione, il Festival internazionale del film di Roma è riuscito ancora una volta a portare a casa il risultato grazie ad un impegno, dei responsabili e dell'organizzazione tutta, in grado di trasformare l'entusiasmo dei presenti in una festa cinematografica. Un'energia che ha riempito le sale, creato file interminabili, riscaldato il red carpet, frequentato da un divismo a scarto ridotto: segno dei tempi, ed insieme tendenza capace di riportare il cinema, quello vero, al centro dell'attenzione, con buona pace del gossip odaiolo.

E parlando di settima arte bisogna dire che anche quest'anno nella capitale se n'è vista parecchio, variamente sparpagliata tra concorso ufficiale e sezioni collaterali. In generale, se escludiamo quelle dedicate ai giovani ("Alice nella città") ed alla contemporaneità (i documentari di L'altro cinema/Extra) sicuramente le più interessanti per completezza e novità di sguardo, il festival si è distinto per la sua eterogeneità, di genere e di fruizione, alternando anche all'interno della stesso contenitore una varietà di opere veramente impensabile da altre parti. E lasciando da parte il cinema italiano, di cui parleremo più avanti, e concedendo al concorso ufficiale il compito di riassumere le caratteristiche della kermesse, possiamo sicuramente dire che il festival ha fatto di tutto per riportare il cinema alla gente: infatti con la sola eccezione dell'estenuante film cinese "Love For Life", storia d'amore funestata da una mortale pandemia, e di "Magic Valley" dell'americano Jaffe Zinn, pregevole ma celebrale riflessione sulle radici del male con una struttura narrativa simile a quella dell' Haneke de "Il nastro bianco", la selezione ha suscitato l'empatia dello spettatore, stimolandola con le forme di un cinema abituato a riempire le sale. Da quelle horror di "Babycall" del regista Pal Sletaune, con Naomi Rapace (un meritato premio come miglior attrice) impegnata a difendere il figlio da un marito violento e costretta a mettersi in discussione alla luce di inquietanti apparizioni, alle atmosfere psicologicamente instabili ed apparentemente noir di "La Femme Du Cinquième" con Hethan Hawke e Kristin Scott Thomas. Non è mancata la commedia declinata secondo i modelli dello humor britannico nel ridanciano "Hysteria", storia che si diverte a ricostruire l'invenzione del vibratore seguendo le vicende di un allegra coppia di dottori, oppure venata di sentimento nell'incontro tra il ferramenta misantropo interpretato da un grande Riccardo Darin, ed un misterioso cinese in cerca di un parente nell'argentino "Un Quento Chino" del pluripremiato Sebastian Borensztein (vincitore del concorso e premio speciale del pubblico) così come il dramma intimista nel disperato e artistico, per le performance clownesche ed acrobatiche del suo protagonista, "Voyez Comme Ils Dansent" di Claude Miller (vincitore del gran premio della giuria) con due donne alle prese con la misteriosa scomparsa dell'uomo da entrambe amato. Azione, sentimento ed un pizzico di filosofia sono invece la ricetta vincente del sorprendente "Poongsan" del coreano Juhn Jaihong, il film amato dal presidente della giuria Ennio Morricone, scritto e prodotto da Kim Ki Duk.

Discorso a parte merita il cinema italiano presente in massa nel concorso con ben quattro titoli.
Esclusi dalla lista dei vincitori ma sostenuti dal pubblico, che li ha attesi con grande trepidazione, i nostri si sono contraddistinti per la volontà di evitare il confronto con i problemi della contemporaneità, preferendo rifugiarsi nell'elegiache rimembranze di un nostalgico passato ("Il cuore grande delle ragazze" di Pupi Avati), nella psichedelia colorata e favolistica degli anni 70 ("La kryptonite nella borsa"), in un paesaggio mitico ed ancestrale ("Il paese delle spose infelici"), nel silenzio interiore della propria incomunicabilità ("Il mio domani"). Impeccabili dal punto di vista tecnico, e supportati da performance attoriali di livello, il nostro cinema ha denotato, soprattutto fra gli esordienti (Mezzapesa e Cotroneo), la mancanza di un segno distintivo.
Ed ancora una volta la figura migliore l'hanno fatta, fuori concorso, il mestiere di Roberto Faenza con un film girato in lingua inglese ("Un giorno questo dolore ti sarà utile") e l'orgoglio di Giuliano Montaldo, nel diseguale ma apprezzabile "L'industriale", in cui con forti accenti dostoevskijani si descrive la parabola pubblica e personale di un imprenditore dei nostri tempi.
Chiaroscuri di una manifestazione in bilico tra le richieste di un mercato sempre più omologato e la necessità di trovare una propria identità nella proposta di un cinema qualitativamente superiore.

L'auspicio è quello di un compromesso che salvaguardi l'arte senza penalizzare lo spettacolo.

PUBBLICATO SU ONDACINEMA

Elenco dei premi principali:

Premio Marc’Aurelio della Giuria al miglior film: Un cuento chino di Sebastián Borensztein

Gran Premio della Giuria Marc’Aurelio:Voyez comme ils danset di Claude Miller

Premio Speciale della Giuria Marc’Aurelio: The eye of the storm di Fred Schepisi

Premio Marc’Aurelio della Giuria alla migliore attrice: Noomi Rapace per Babycall

Premio Marc’Aurelio della Giuria al miglior attore: Guillaume Canet per Une vie meillure

Premio Speciale alla colonna sonora della Giuria Marc’Aurelio: Ralf Wengenmayr per Hotel lux

Premio BNL del pubblico al miglior film:Un cuento chino di Sebastián Borensztein

Premio Marc’Aurelio al miglior documentario per la sezione L'Altro Cinema | Extra: Gril Model di David Redmon e Ashley Sabin

Premio Marc’Aurelio Alice nella città sotto i 13 anni:En el nombre de la hija di Tania Hermida P.

Premio Marc’Aurelio Alice nella città sopra i 13 anni: Noordzee Texas di Bavo Defurne

Premio Marc’Aurelio Esordienti: ex aequo Circumstance di Maryam Keshavarz – La Brindille di Emmanuelle Millet

Premio Marc’Aurelio - Acting Award: Richard Gere

4 commenti:

Veronica ha detto...

Hai ragione, ho trovato il Festival di Roma davvero pieno di vita. Rispetto alle edizioni precedenti cresce e, almeno io, l'ho percepito come una vera festa. Molto cinema e poco divismo, per fortuna.
Però Love for life mi è piaciuto parecchio ;).

Anonimo ha detto...

..Ciao Veronica, benvenuta...è vero, nei confronti di questo festival ci sono molti pregiudizi..ed invece è evidente il clima festoso...altrove è una sorta di messa, qui tutto è più colloquiale..ma vero..e poi c'è buon cinema...e che mi dici di Poongsan?..

nickoftime

Veronica ha detto...

Purtroppo a causa degli orari della metro A mi vergogno di dire che non ho potuto assistere alla proiezione di Poongsan, che volevo tanto vedere...! Sul fronte orientale ho visto From up on Poppy Hill e quella cosa orribile di Dead Men Talking.

Anonimo ha detto...

eheh...capita di non poter vedere tutto, bisognerebbe essere ubiqui..per mè che non frequento spesso il cinema far east Poonsang è stata una vera rivelazione..poetico e filosofico al tempo stesso...ma anche "Magic Valley" non mi è dispiaciuto...ed il film di Miller sopratutto per la magnifica e misteriosa presenza del protagoista maschile..

nickoftime