giovedì, febbraio 28, 2008

30 giorni di buio

Il revival dei morti viventi continua e, dopo gli umanoidi di I am Legend arrivano i nazi vampiri di "30 giorni di buio". Il riferimento alle condizioni meteo che fanno di Borrow, un villaggio dell'Alaska identico a quelli immaginati nei film di J.FORD ,il luogo ideale dove dimenticare tutto (ed infatti i personaggi vi dimorano in uno stato lisergico, immersi in un presente a tenuta stagna che in qualche modo li preserva dai pericoli dell'inconscio). L'apertura quasi simbolica, con quel tramondo tanto bello quanto effimero è l'ultima scintilla di poesia, simile alla porta oscura dell'Inferno dantesco prima dell'immersione in un mondo di tenebre e di sangue, in cui la lotta contro il male si trasforma ben presto in una resistenza ad oltranza fino alla prossima alba.
Forte della lezione dei maestri del genere (Carpenter ma anche Romero) presenti non solo nell'evocazione del titolo ed in alcune citazioni (la nave su cui viaggiano i manigoldi. la nebbia che preannuncia l'arrivo del diavolo,la cittadina isolata e sotto assedio) ma anche le caratteristiche produttive che esaltano l'abilità nel valorizzare risorse finanziarie da B-movie (Carpenter in "Fantasmi da Marte" ci ha insegnato che la notte è un ottimo antidoto che valorizza gli effetti speciali e nasconde le carenze scenografiche). Uno stile fluido ma solido, che si increspa quando il buio si avvicina (ve lo ricordate il capolavoro della Bigelow ?, se no andatevelo a riguardare poi mi dite) con primi piani raggelati e bradisistiche accelerazioni che stimolano il subconscio dello spettatore. Il film vive sui contrasti psicologici (gli spazi sconfinati del territorio e quelli angusti e claustrofobici delle vittime così come nell'antitesi degli sguardi, quello dei vampiri, che si rinvigorisce con l'oscurità anteposto a quello cieco delle loro prede)e visivi (il sangue che scorre sul biancore della neve e le improvvise fiammate che interrompono il colore della notte), il cui effetto straniante riesce a trascinarti all'interno di una situazione senza uscita. Il regista costruisce uno spettacolo appiccicoso che inchioda alla sedia con una fantasia che si ciba di quotidianità (ancora Carpenter)- si pensi alla doppia valenza del potente Caterpillar, macchina infernale nell'incidente che cambia il destino della bella protagonista e successivamente strumento salvifico in una sequenza da sfida all'OK CORRALL (ancora Western- ed un mestiere che gli consente di tenere sempre alta la tensione.la visione del male come entitàsconosciuta eppure reale così come la rappresentazione sacrificale della vita necessaria alla continuazione della specie, sono la naturale conseguenza degli avvenimenti e non il frutto di una riflessione premeditata che dovrebbe secondo i soloni della 7 arte , ma qui per fortuna non accade, (anche se la visione della famiglia come proprietà privata grida vendetta), creare il messaggio capace di nobilitare l'anima pulp di questo tipi di prodotti ed invece finisce quasi sempre per imbrigliarne l'istinto. La faccia di Harnett, ripresasi dalla paresi facciale di Black Dhalia,è quella giusta per rendere credibili le emozioni di un uomo alle prese con qualcosa che sfugge alla sua comprensione

mercoledì, febbraio 27, 2008

Film in sala da venerdi' 29 febbraio

Persepolis
Persepolis
regia: Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud
genere: animazione
prod.: Francia, USA

Rec

Rec
regia: Jaume Balaguero'
genere: horror
prod.: Spagna

Jumper
Jumper
regia: Doug Liman
genere: avventura
prod.: Usa

Rendition - Detenzione illegale
Rendition
regia: Gavin Hood
genere: thriller
prod.: Sudafrica

Il mattino ha l'oro in bocca

Il mattino ha l'oro in bocca
regia: Francesco Patierno.
genere: commedia
prod.: Italia

Tutta la mia vita in prigione

In Prison My Whole Life
regia: Marc Evans
genere: documentario
prod.: Gran Bretagna

Prospettive di un delitto
Vantage Point
regia: Pete Travis
genere: thriller
prod.: Usa

La rabbia
La rabbia
regia: Louis Nero
genere: drammatico
prod.: Italia

Fine pena mai
Fine pena mai
regia: Davide Barletti, Lorenzo Conte
genere: drammatico
prod.: Italia

Forse Dio e' malato
Forse Dio e' malato
regia: Franco Brogi Taviani
genere: drammatico
prod.: Italia

Il futuro non è scritto - Joe Strummer
Joe Strummer: The Future is Unwritten
regia: Julien Temple
genere: documentario
prod.: Gran Bretagna

Lo scafandro e la farfalla

"Ho appena scoperto che a parte il mio occhio ho altre due cose che non sono paralizzate: la mia immaginazione e la mia memoria". Questa battuta del protagonista a mio avviso riassume il senso del film, la sua impostazione scenica e l'emozione centrale che lo attraversa. Schnabel trova la chiave intepretativa vincente per racontarci la storia straordinaria di Jean Dominique Bauby, un uomo coraggioso, vitale e di sorprendente ironia, che ha affrontato un destino cinico e perverso con lucidita' e poesia, con la forza dell'amore per la vita e una dose irrinunciabile di humor.
Dopo il bell'esordio di "Prima che sia notte" (con uno Javier Bardem molto ispirato) e la delusione di un "Basquiat" venduto allo star system (le premesse erano ottime, il cast tirato a lucido e di grande spicco, la regia di molto visionario talento, ma il risultato fu un lungometraggio superficiale e un po' specchietto x le allodole....) Julian Schnabel ritorna in grande forma per parlarci di uomini, di vita e di poesia.
Colpito da ictus all'eta' di 43 anni, Jan Dominique Bauby, aiutato da un team di infermieri, fisioterapisti, ortofonisti e medici di eccellente livello professionale e soprattutto umanita', riesce a trascorrere l'ultimo anno di vita con grande coraggio e forza, combattendo contro un male feroce, nonostante la condizione di vita vegetativa quasi assoluta nella quale si ritrovò costretto a vivere e la quasi totale incomunicabilita'.
Per evadere da questa trappola si aggrappa ai suoi pensieri, alla memoria, alla fantasia (tutte meravigliose farfalle) e ricomincia a vivere intensamente e con verita' i giorni, le gocce di ore, le microparticelle emozionali dei minuti, nella sorpresa personale di assaporare sensazioni mai provate.
Bauby - e' innagabile - ha molto sofferto ma ha anche saputo utilizzare quello stato di blocco per rileggere la propria vita e scoprirne il lato nascosto, la linfa autentica che la ha attraversata.
"Ero cieco e sordo" dice a se stesso ad un certo punto.
Nonostante i successi nella vita professionale e le altalene emotive con donne bellissime e figli stupendi, Bauby si rese conto di come non era riuscito davvero a vivere con senso autentico e di quanto in realtà si fosse trascinato tra le cose.
L'uomo Bauby prende coscienza di se' e trova l'energia per compiere atti straordinari in una condizione fisica allucinante. E proprio durante questa prigionia sommersa scrive un diario bellissimo di se stesso (diario dal quale e' trato il film).
Schnabel riprende gran parte delle sequenze in soggettiva e utilizza il suono come principale mezzo esplicativo delle scene e delle emozioni. Il montaggio aiuta motlo bene a ricostruire il passato ed a dipanare il presente.
Un film molto visivo, di intense sensazioni, molto immaginario, fantasioso. Molto Schnabel, direi. E certamente molto Bauby.
Dopo il film ho letto il libro e ho potuto apprezzare a tutto tondo l'eccellente lavoro registico e di sceneggiatura.
E ho acquistato "Il conte di Montecristo": ma solo vedendo il film capirete il perche'!
Il film perfetto, che avrei tanto voluto saper scrivere.
Bella la colonna sonora, bella la fotografia.
Molti direbbero "certo, con un soggetto non originale così forte, bello e pronto da utilizzare, non si può sbagliare". Ed invece direi che sta proprio li' la difficolta', nel mettere in scena una storia cosi' intensa e di profondo insegnamento. Il rischio che si corrre è quello di sminuire tutto, di renderlo melenso, patetico, clichè.
Schanbel dirige sopra le righe, sopra le regole.

Sweeney Todd


Tornato a Londra per vendicarsi del giudice Turpin che lo ha separato dall'amatissima moglie e da una figlia appena nata, Sweeney Todd, (alter ego dell'uomo che prima dell'efferato evento fu Benjamin Barker, interpretato da un Depp tornato a livelli d'eccellenza dopo un periodo di odiose faccette), un barbiere che usa i rasoi come fossero un appendice naturale delle mani (Burton ha nostalgia di Edward?), si allea con una donna dal fascino perverso ed ambiguo, sinceramente innamorata dello scapigliato protagonista, il cui truce aspetto e la postura in perenne agitazione ricorda i ritratti dell'uomo di penna Vittorio- volli sempre volli fortissimamente volli- Alfieri , afflitto dalla stessa ansia esistenziale e sempre sul punto di esplodere in maniera definitiva (il paragone spiacerebbe alla sua nuova compagna che parlando di poeti, ma anche gli attori definiti già bolliti non sono da meno, afferma la loro tendenza ad essere morti prima del tempo), e decisa ad aiutarlo nella sua voglia di rivalsa.
Premendo l'acceleratore sul genere musical in costune (siamo in pieno ottocento)di assoli e duetti canterini (La fabbrica del cioccolato al confronto era solo un tentativo) che lo dotano di un apparato emotivo altrimenti latitante ma cosa più importante, decide di rompere con il passato per quanto riguarda i toni, che si colorano di un pessimismo mai visto in un film burtoniano, con esecuzioni sommarie surreali ma crudeli, enfatizzate dalla carne delle vittime, messa in bella mostra, analizzata da ogni parte, quasi concupita allo scopo di deturparla per poi darla in pasto ai golosi avventori nella topaia divenuta un ristorante alla moda (suprema ironia nei riguardi di un consumismo privo di gusto e senza spirito critico), che i due gestiscono sotto la Barberia (una vera e propria camera della morte ) in cui , con un organizzazione che almeno nella meccanica precisione sembra rifarsi a certe pratiche di sterminio nazista, il barbiere uccide i malcapitati clienti. Talmente alto è il tasso di negatività e di sangue che scorre davanti ai nostri occhi , con la telecamera che ci costringe a guardare il fluido che schizza (estetica tarantiniana desunta dal carton manga inserito in Kill Bill) dalle gole tagliate come l'acqua di una fontana impazzita, che sembra quasi di assistere ad un esagerazione figlia della provocazione di un artista arrivato al bivio, coscientedel manierismo di chi ripete se stesso ad oltranzae desideroso di esplorare nuovi terrtori. Solo così, accettando questo punto di vista si può promuovere un film come Sweeney Todd, che rimane comunque un prodotto del "vecchio Burton" per quanto riguarda il solito apparato delle meraviglie: dalle scenografie dell'oscarizzato Dante Ferretti(ma perchè anche io come altri continuo a citarlo da solo, senza aggiungere il nome di Francesca Lo Schiavo, anch'essa artefice di tanta beltà? Forse, mi rispondo, perchè la sua freakkittudine farebbe a pugnicon la bellezza assoluta delle loro creazioni), così bravo da far sembrare la città ed i suoi recessi come il prodotto di una patologia malata, alle soluzioni visive (dal sogno di una vita impossibile riassunto da quadretti gioiosamente surreali e così stranularti da desiderare un altro film che sviluppi solo quelli, con Deep, marionetta senza fili trascinato catatonico sull'altare dall'intrepida compagna, per finire con gli stratagemmi che ruotano intornoa ai malaffarri del protagonista), alla fotografia che riflette le pulsioni del personaggi, con i colori desaturati a far prevalere i grigi ed i neri e dove il sangue che sembra vernice sembra la classica ciliegia sulla torta, a quelli caldamente impastati e decisamente dorati di chi ancora ha da chiedere alla vita. I temi esistenziali (l'amore declinatro inm tutte le sue forme e la vendetta) insieme a quelli di schietta attualità (la giustizia , incarnata dall'odiato avversario è un leviatano superficiale e meschino che colpisce a casaccio ed assicura il mantenimento dello status quo ma nache la sopraffazione, vista come forma di cannibalismo sociale che non risparmia nessuno secondo il motto "Homo Homini Lupus") non sono supportati dall'impianto narrativo che gira per quasi tutto il film attorno ad un idea fissa (L'ossesione di Todd nei riguardi del Giudice), e poi di colpo la esplica i maniera frettolosoa, annullando tutta l'enfasi preparatoria con un finale che sembra quasi rubarci un altro pezzo di storia, quello in cui si dà il tempoi la feroce assassino di riprendersi dall'ebbrezza di sangue, oppure di conoscere qualcosa di più della figlia, a sua insaputa miracolosamente ritrovata, e del di lei salvatore, un giovane cavaliere con la faccia da cherubino, così innamorato da spezzare le redini del male e, perchè nò, cercare di comprendere un pò meglio il comportamento della stregosa dark lady interpretata dalla Carter (uguale alla Marla di Fight Club e finalmente tornata a far splendere il suo fascino perverso) che ci viene portata via, in una delle scene più belle del film, sull'entusiasmo di un valzer inaspettato e tristemente lugubre

NON E' UN PAESE PER VECCHI

Non è un paese per vecchi
di Joel, Ethan Coen
con Javier Bardem, Josh Brolin, Tommy Lee Jones
Usa, 2007
genere, thriller, noir, drammatico, western
durata, 122'


Per Llwelyn (Josh Brolin ancora convincente dopo il ruolo delloo sbirro corrotto di American gangster) veterano del Vietnam la guerra non è ancora finita:sposato ad una donna bambina che probabilmente ha smesso di amare, deve tornare a combattere quando un pericoloso serial killer si mette sulle sue tracce per recuperare quei soldi rubati sul luogo di un orribile carneficina provocata da un mancato scambio di droga nel deserto texano. L'occasione della vita si trasforma in un orgia di sangue che ha il suono dell'arma ad aria compressa (in realtà è una bombola piena d'aria usata per ammazzare i bambini prima della macellazione) adoperata dallo spietato assassino ed il colore del sangue dei cadaveri seminati lungo la strada. Bell (Tommy L.Jones,attore che sembra non recitare) uno sceriffo disilluso e prossimo alla pensione,si mette sulle loro tracce nella speranza di fermare il massacro.

Il ritratto della provincia americana diventa ancora una volta allegoria di un mondo insensato e caotico in cui la morte è l'unica certezza. Questa volta i Cohen radicalizzano il loro cinema sfrondandolo oltrechè dai manierismi dell'ultima ora, anche di quel sorriso beffardo e surreale (ove si eccettui l'impossibile taglio di capelli del carnefice) che da sempre caratterizza le loro storie. La prateria infinita e disabitata è il luogo di perdizione in cui la morte si consuma a sangue freddo, lontano dalle leggi degli uomini e dove il male incarnato dalla figura di Anton Shigur (Javier Bardem con la faccia da pugile suonato e lo sguardo che raggela) una macchina di morte che ricorderemo per un bel pezzo, agisce secondo esigenze oscure e metafisiche. Tutto il film è dominato dalla sua presenza che assume fin da subito connotati apocalittici (quello che sta arrivando non si può fermare dicono quelli che gli si oppongono) e metafisici (la sua apparizione all'inizio del film così come quella che lo vede scomparire dopo l'incidente d'auto prima dell'epilogo, come se non fosse mai esistito, porteranno con se le ragioni della sua esistenza). 

A fargli da specchio c'è un umanità che non sa più stare insieme, divisa dall'odio razziale (in questo caso sono i messicani a pagare lo scotto), dall'indifferenza (di questi tempi scavare delle fosse nel giardino di casa è diventato normale dice lo sceriffo riferendosi ad una serie di omicidi commmessi con la complicità indiretta di una comunità apatica e chiusa in se stessa) e la mancanza d'amore (è il contesto e non i gesti a rivelarci l'esistenza dei legami coniugali). Come animali, ed il film non manca di sottolineare quest'analogia, gli individui si riconoscono per il marchio di sangue inferto sui loro corpi dalle atrocità della guerra (l'americanità ha i dati anagrafici di quella combattuta in Vietnam) e dall'assurdo della vita. 

Travolto dagli eventi, incapace di scegliere (lo so che sto mettendomi nei guai ma ormai è così è la sola spiegazione che il protagonista riesce a trovare di fronte alla moglie spaventata dalle sue decisioni). Llwelyn ritrova se stesso ed il suo antico vitalismo nel momento in cui decide di guardare in faccia alla realtà e sceglie di affrontarla anche a rischio della propria incolumità. E' la paura della fine e le ferite del suo corpo e non la normalità dell'esistenza che lo fanno sentire vivo. I Cohen traducono queste pulsioni in un cinema lineare e pulito che procede per accumulazione e si carica di una tensione claustrofobica e disturbante quando la cinepresa abbandona gradualmente gli spazi circostanti e si concentra sui protagonisti che isola all'interno di ambienti limitati ed angusti che trovano un apoteosi di macabra ordinarietà nella scena in cui Shigur ripreso di fronte all'abitazione della sua ultima vittima mentre si pulisce le scarpe dal sangue del suo lavoro, con la telecamera che lo incornicia per sempre a quelle pareti, in un accostamento che fa della casa la tomba domestica delle nostre speranze, e dove la notte prevale sul giorno a sottolineare il progressivo svanire di qualsiasi punto di riferimento. 


Tutto diventa a loro misura e lo sguardo si sofferma sulla metodicità dei loro gesti, in un continuo parallelismo di metodi e movimenti (si pensi al confronto delle posture, quello di Shigur pesante e catatonica ma anche implacabile opposta a quella sinuosa e sfuggente figura del suo avversario) e sulla natura delgi oggetti in continua mutazione, sempre differenti da quello che sembrano (i paletti della tenda che diventano un arpione,la moneta usataper il testa o croce uguale ad un vaticinio, le manette come un nodo scorsoio, il congegno di rilevamento la materializzazione di un araldo di morte), per arrivare ad una resa dei conticosì spettacolare ed antiemotiva, con il corpo sul pavimento appena inquadrato e riconoscibile solo dagli indumenti, che ribalta completamente le prospettive di chi guarda, togliendo alla vicenda il suo ruolo di primo piano per ridurla a realtà infinitesima, cellula di un organismo universale destinato ad irreversibile entropia. Una presa di coscienza che ci fa abbandonare il ruolo di semplici spettatori , rendendoci compartecipi di una sorte che è metafora della nostra essenza. Premiato con 4 premi Oscar "Non è un paese per vecchi" sembra ricalcare la formula usata da Scorsese per The Departed ma in questo caso il risultato si mantiene più vicino alle corde dei suoi autori (predilezione per la caratterizzazione di personaggi ordinariamente eccentrici e mescolanza dei generi cinematografici) e porta alla ribalta uno dei massimi scrittori statunitensi contemporanei, quel C. Mac Carthy, autore dell'omonimo libro di cui hollywood sembra decisa (è in produzione un altro film tratto dal suo romanzo "La strada")a servirsi per rivitalizzare il suo cinema

sabato, febbraio 23, 2008

Riparo

Riparo si presenta come uno dei pochissimi prodotti italiani del 2007 che vale la pensa di essere visto al cinema e che, pur nei limiti produttivi e realizzativi, tenta di raccontare, con coerenza e decisione, realta' difficili come l'amore omosessuale femminile e l'integrazione razziale degli immigrati in Italia.
La storia e' ambientata nel profondo Nord italiano e riesce, nonostante il forte rischio, a non cadere negli stereotipi.
Riparo e' il nuovo interessante progetto del regista Marco Simon Puccioni - gia' autore di "Quello che cerchi" - realizzato in un momento in cui il cinema italiano sembra proprio moribondo, dove nemmeno gli autori sono in grado di tratteggiare storie che raccontino con franchezza la nostra Italia contemporanea ed i suoi tanti problemi sociali e di coscienza.
Il film non e' politico, ma porta a riflettere sulla difficile convivenza tra progresso ed integrazione razziale, tra realizzazione dei propori desideri e giudizio degli altri, tra progetti privati e convenzioni sociali.
L'amore tra le due protagoniste (ben interpretate da Antonia Liskova e Maria De Medeiros) e' rappresentato con pudore e delicatezza e si evolve verso un cambiamento sostanzale delle due donne e della loro visione delle cose: il loro gia' precario equilibrio viene definitivamente destabilizzato da Anis, un giovane immigrato magrebino, che piomba nel loro quotidiano come un'apparente non voluta ragione di svolta. Il film racconta un percorso di crescita e di cambiamento per tutti i personaggi coinvolti, che in alcuni casi lascia l'amaro in bocca.
Finalmente, come purtroppo non sempre accade, le due amanti sono femminili, due donne consapevoli della propria femminilita' e che non si confondono con icone androgine.
Alcune imperfezioni di fondo mi hanno fatto storcere il naso, ma non hanno indebolito la struttura.
"Io ho scritto la sceneggiatura, il soggetto invece è opera di Monica Lametta e Clara Ferri. Quando cercavo l’ispirazione per un secondo film ho letto questo soggetto ed ho trovato che contenesse i temi che frequento di più, che mi sono più cari: il discorso sulla famiglia, le famiglie alternative, il rapporto con l’altro, con lo straniero, con il diverso. Il rapporto che si crea tra i tre personaggi di questa storia è in genere poco indagato dal cinema. Anche nel mio film precedente ho lavorato con un ragazzo preso dalla strada perché mi piace anche la recitazione "non intellettuale". Naturalmente è piacevole lavorare con un’ attrice come Maria de Medeiros o con Antonia Liscova che hanno invece molta esperienza -Maria soprattutto ha fatto moltissimi film- e che ti possono regalare dei momenti interessanti, frutto della loro capacità di leggere il personaggio e di dare delle coloriture particolari. Con degli attori così mi trovo a dover dirigere molto poco." (Marco Simon Puccioni)

Leggi l'intervista al regista (da cinemaitaliano.info)

Caramel

Caramel, l'opera prima di Nadine Labaki, conquista il cuore e diverte con dolcezza.
In una Beirut contemporanea le storie di un gruppo di donne in cerca della propria felicita' e della realizzazione dei propri sogni. Ognuna delle protagoniste intraprende un percorso privato eppure comune che le condurra' verso la comprensione di loro stesse e dei limiti cosi' tremendi, eppure affascinanti, degli esseri umani.
Layale (Nadine Labaki, anche sceneggiatrice del film) e' innamorata di un uomo sposato, Nisrine (Yasmine Al Masri) sta per sposarsi ma non sa come dire al futuro sposo che ha gia' perduto la verginita', Rima (Joanna Moukarzel) non riesce ad accettare la propria omosessualita', Jamale (Gisèle Aouad), e' ossessionata dall'età e dall'invecchiamento, Rose (Siham Haddad) ha sacrificato i suoi anni migliori e rinunciato all'amore per prendersi cura della sorella Lili (Aziza Semaan). Il film, affresco delicato e corale di una ricerca incessante della felicita' personale, celebra l'amicizia, l'amore, il fascino e la forza tutte al femminile.
Le donne sono le protagniste assolutee; gli uomini, spesso relegati ai margini e piuttosto sgualciti, le guardano con stupore e ammirazione.
La messa in scena offre uno sguardo amorevole e critico su una realta' urbana difficile e povera, ma che non ha perduto la speranza. La Beirut che si muove sullo sfondo e' rumorosa, polverosa, scassata e piena di contraddizioni.
"Agli occidentali il Libano appare come esempio di un paese aperto, libero ed emancipato, ma non è sempre vero. Dietro la facciata, le donne sono ancora costrette a molti vincoli, al timore costante degli sguardi della gente e dei giudizi che impediscono loro di vivere la vita come vorrebbero. Per questo sono piene di sensi di colpa e di rimorsi, anche per cose che altrove possono apparire normali, come l’omosessualità femminile. I personaggi del film rappresentano queste contraddizioni e rubano costantemente attimi di felicità, sentendosi poi colpevoli." (Claudia Resta)

La scelta delle attrici e la caratterizzazione dei loro personaggi ricorda molto da vicino il Pedro Almodovar di Volver e le icone sexy-grunge del Tarantino di Grindhouse, nonche' una certa cinematografia arabo-francese ambientata nella Francia degli anni '50.
Ottime le musiche originali (di Khaled Mouzanar) e l'intreccio narrativo, gradevoli i dialoghi.
Mai volgare, ne' eccessivo, Caramel e' permeato da una pulsante sensualita' e da uno humor raffianto e legggero.
Un tocco di favola non guasta e si esce dalla sala commossi e soddisfatti.

martedì, febbraio 19, 2008

Il petroliere

L'America di Andersson è da sempre un Paradiso perduto non solo per le citazioni bibbliche(le colpe dei padri ricadono sui filgi dice la voce over di Magnolia) ed i riferimenti religiosi (la dissoluzione del nucleo famigliare è il peccato originale che nega la vita)continuamente richiamati ma anche per la condizione di esilio che afflige la sua umanità. Briciole di esistenza destinate all'oblio se non intervenisse la presa di coscienza di sè e degli altri che, in una condivisione esistenziale simile a quella descritta da Leopardi nella sua Ginestra, li emancipa da cotanto dolore.In questo senso le coordinate umane e psicologiche del "Cercatore di petrolio"impersonato in maniera sciamanica da D.D.Lewisnon si discostano da tali premesse; anche qui il passato familiare è all'origine di tutto ed è qualcosadi oscuro e doloroso.
Un nodo mai risolto a cui si risponde con un esistenza irrequieta e raminga fatta di pozzi di petrolio e paternità acquisite,di visioni profetiche e sguardi accecati dall'odio e la paura; un movimento sistematico ed ossessivo che è ricerca ed insieme fuga da quella risposta di amore che neanche Dio vuole soddisfare. L'incontro con il predicatore(Paul dano splendidamente ambiguo), è lo scontro tra due ossessioni (di Dio e dell'affermazione di sè)che si manifestano per antitesi visive (il petrolio è caratterizzato da un evidenza oggettiva a cui corrisponde un Dio antimaterico)e comportamentali (il predicatore è l'uomo dell'affabulazione, il petroliere del pensiero che diventa fatto)che finiscono per essere la faccia della stessa medaglia e di una sorte comune. Anderson si immerge nella Storia con precisi riferimenti temporali (siamo a cavallo tra 800 e 900)e filologici(la ricostruzione degli ambienti e delle atmosfere sembrano uscire da un album fotografico dell'epoca)che filtra attraverso uno sguardo lucidamente moderno (basti pensare all'uso ancora una volta vincente dell'apparato musicale creato da Gymmy Greenwood, chitarrista dei Radiohead, un crogiuolo di suoni e rumori che sembrano provenire dall'alba dei tempi e da una dimensione mai esistita)ed allo stesso tempo antico, per la presenza degli archetipi della modernità americana(la Ferrovia, la conquista del territorio e delle anime, la Frontiera e l'Etica protestante di matrice calvinista)di cui il film si serve per cristallizzare il momento della svolta, quello in cui il potere economico e quello religioso unirono le proprie forze in un patto di mutuo soccorso e di reciproca leggittimazione. La prosperità economica come segno evidente della Grazia di Dio, la fede come oggetto di scambio e chiave di accesso ai beni terreni sono i parametri di questa alleanza destinata a rinnovarsi nel tempo. La regia riesce a farci sentire la forza primordiale che muove il protagonista (un uomo che sembra condividere gli enigmatici silenzi dello spettacolo naturale che lo circonda)ed insieme il tormento che precede l'estasi dell'epifania petrolifera, sovrapponendoli al realismo del paesaggio che si carica di valenze simboliche ed evocative fatte di colori (magnifica fotografia di Bob Elswitt)che esplodono sullo schermo ed oggetti disposti nello spazio con una geometria di metafisica precisione. Forma e sostanza di un opera che si pone nella continuità di quel cinema della New Hollywood di cui si sentiva la mancanza. Un capolavoro.

Film in sala da venerdi' 22 febbraio

John Rambo
Rambo
regia: Sylvester Stallone
genere: azione
prod.: USA, Germania

Sweeney Todd: il diabolico barbiere di Fleet Street
Sweeney Todd: The Demon Barber of Fleet Street
regia: Tim Burton
genere: musical
prod.: USA, Gran Bretagna

Non e' un paese per vecchi
No Country for Old Men
regia: Ethan e Joel Cohen
genere: drammatico
prod.: USA

Un uomo qualunque
He Was a Quiet Man
regia: Frank Cappello
genere: commedia
prod.: USA

mercoledì, febbraio 13, 2008

Caos calmo

(di Fabrizio Luperto) Pietro Paladini ha 43 anni, sua moglie Lara muore all'improvviso durante le vacanze estive.
Lui non c'è, in quel momento è in mare e, per un crudele scherzo del destino, sta salvando la vita ad una donna.
Sua figlia ha 10 anni e frequenta la quinta elementare.
Pietro la accompagna il primo giorno di scuola e decide di aspettarla fino alla fine delle lezioni.
Anche il giorno dopo rimane lì ad aspettarla, e il giorno dopo ancora.
Aspetta, come se fosse l'unica cosa da fare.
Pietro in realtà aspetta l'arrivo del dolore, che non arriverà mai.
E' questo a sconvolgerlo, il dolore che non prova per la morte della moglie.
Il CAOS CALMO è quello dei bambini: una confusione priva di drammi, che il protagonista osserva all'uscita della scuola.
Ed è proprio osservando il CAOS CALMO di sua figlia e dei suoi amichetti, che Pietro cerca di esiliarsi dal mondo, di distaccarsi dalle tensioni della sua attività lavorativa, sforzandosi di rimettere ordine nella propria esistenza.
Moretti, che per la terza volta recita in un film non diretto da lui, è praticamente perfetto nel ruolo di Pietro Paladini.
Inutile dire che Moretti dal punto di vista interpretativo, sa solo interpretare se stesso, se a questo aggiungiamo che è anche co-autore della sceneggiatura ne risulta che il film diventa molto "moretti-style".
2 le scene chiave per "leggere" il film: il confronto con la posta elettronica della moglie morta, che Pietro decide di non leggere e cancellare, per paura di essere dilaniato da quello che potrebbe scoprire e l'ormai famosa scena di sesso che tanto sta facendo discutere i vescovi (ma quando la smetteranno di "mettere le mani" nelle mutande degli italiani?) senza motivo apparente, visto che si tratta di una normalissima scena dove 2 persone adulte e consezienti fanno l'amore.
Scena di sesso dicevamo, che rappresenta la rinascita, il ritorno alla vita del protagonista.
Il regista Antonello Grimaldi (Il cielo è sempre più blu - serie tv Distretto di polizia) dirige abbastanza anonimamente.
Ottimo Alessandro Gassman.
Alla base della storia c'è il romanzo di Sandro Veronesi.

lunedì, febbraio 11, 2008

Cloverfield

(di Fabrizio Luperto) Ennesimo film del filone catastrofico, tornato in produzione dopo la "tregua" imposta dagli eventi dell'11 settembre.
L'idea alla base del film è quella di raccontare la terrificante vicenda grazie al RITROVAMENTO DEL MATERIALE GIRATO "nell'area un tempo nota come Central Park" da un gruppo di giovani.
Iniziamo subito col dire che questa idea spacciata dal produttore J.J. Abrams come originale e innovativa, non è, nè originale, nè innovativa.
Andiamo indietro di qualche anno: THE BLAIR WICTH PROJECT è del 1998 e il film della coppia Myrick-Sanchez racconta di 3 studenti che vanno tra i boschi inseguendo la leggenda di una strega ritenuta responsabile della sparizione di alcuni bambini.
Ovviamente faranno una brutta fine, ma tutto verrà alla luce grazie al RITROVAMENTO DEL MATERIALE GIRATO dai 3 ragazzi.
Andiamo ancora più indietro nel tempo: CANNIBAL HOLOCAUST l'italianissimo stracult supercensurato di Ruggero Deodato è addirittura datato 1979.
Nella pellicola di R. Deodato 4 giovani reporter scompaiono in amazzonia eil RITROVAMENTO DEL MATERIALE GIRATO ci mostra come sono stati uccisi e mangiati dagli indigeni.
Quanto sopra per ribadire ancora una volta che quando si parla di "film di genere", tutti, ma proprio tutti, attingono a piene mani dai lavori anni '60-'70 degli "artigiani del cinema" italiano (che facevano di necessità virtù) e il tanto celebrato produttore di LOST e di questo CLOVERFIELD non fa eccezione.
Il film è ben strutturato, a tratti anche piacevole, a patto che lo si "inquadri" per quello che è, vale a dire un film di serie B girato con un budget da categoria superiore.
"Sorprendente" come l'autore delle riprese, anche in pieno pericolo riesce a tenere la sua handycam quasi sempre all'altezza giusta e addirittura riesce a fare qualche primo piano.
Bellissima la trovata della testa della statua della libertà mozzata, ma ahimè anche questa si era già vista sul manifesto di 1997: FUGA DA NEW YORK di J. Carpenter del 1981.
(Fabrizio Luperto)

Film in sala da venerdi' 15 febbraio

Parlami d'amore
Parlami d'amore
genere: commedia
regia: Silvio Muccino
prod.: Italia

Il petroliere
There Will Be Blood
genere: drammatico
regia: Paul Thomas Anderson
prod.: USA

Lo scafandro e la farfalla
Le scaphandre et le papillon
genere: drammatico
regia: Julian Schnabel
prod.: Francia

Lontano da lei
Away From Her
genere: drammatico
regia: Sarah Polley
prod.: Canada

lunedì, febbraio 04, 2008

Film in sala da venerdi' 8 febbraio

30 giorni di buio
30 days of night
regia: David Slade
genere: horror
prod.: USA

La guerra di Charlie Wilson
Charlie Wilson's War
regia: Mike Nichols
genere: drammatico
prod: USA

Caos calmo
Caos Calmo
regia: Antonello Grimaldi
genere: drammatico
prod.: Italia

Asterix alle Olimpiadi
Astérix aux jeux olympiques
regia: Frédéric Forestier
genere: drammatico
prod.: Francia, Spagna, Germania

L'innocenza del peccato
La Fille Coupée En Deux
regia: Claude Chabrol
genere: drammatico
prod.: Francia

Non c'è più niente da fare
Non c'è più niente da fare
regia: Emanuele Barrresi
genere: commedia
prod.: Italia