martedì, settembre 22, 2009

La custode di mia sorella

Il nuovo film di Nick Cassavetes, La custode di mia sorella, racconta la storia di una famiglia americana unita nel dolore profondo di una malattia terminale che la porterà, inevitabilmente, ad una svolta cruciale.
Sara Fitzgerald (Diaz) è un avvocato di successo e madre di famiglia che decide di lasciare la carriera per dedicarsi completamente alla figlia maggiore Kate, affetta da una rara forma di leucemia dall'età prescolare. Sostenuta dalla sorella, dalla presenza paziente di Brian, il marito che la asseconda nella sua caparbietà, e dai due figli minori, Anna e Jesse, Sara vive nell'ossessione di salvare Kate dalla terribilie malattia che di giorno in giorno la consuma.

L'ossessione è tale che accetta la ardita proposta dell'oncologo di concepire un figlio in provetta programmato per essere compatibile con la figlia malata, in modo da disporre in famiglia di un donatore sicuro. E questo figlio è Anna (Breslin).
Jesse è un ragazzo introverso che, suo malgrado, è messo un po' in disparte dai genitori: le attenzioni sono giocoforza tutte per Kate che assorbe così l'energia di tutta la famiglia. Anna vive la sua condizione di salvatrice con l'incosceinza dei bambini ed allo stesso tempo con l'amore incondizionato che solo i fratelli possono provare.
Negli anni Sara costruisce uno stile di vita famigliare basato sulla lotta alla sopravvivenza di Kate. Le scelte di tutti devono, a suo dire, convergere nell'unico scopo di salvarle la vita, a costo di calpestare i diritti di ognuno.
Lo scopo da raggiungere è più grande degli egoismi singoli e tutti devono votarsi parte di questa lotta.
Ma le cose non possono durare così per sempre, proprio perchè il sistema imposto da Sara non è naturale e non fa che alimentarsi della sua incapacità di accettare le prove, seppur violente e terribili, che la vita le infligge.
Un giorno, infatti, Anna, stanca di sentirsi cavia, fa causa ai genitori rivolgendosi ad un affermato avvocato (Baldwin) per riottenere la emancipazione medica.

Nick Cassavetes propone una storia di famiglia intrisa di dramma e afflizione, stretta in un dolore che sembra essere il cuore pulsante di tutto e che mette all'oscuro le personalità dei singoli.
Nonostante il garbo, Cassavetes spesso cade in luoghi comuni durante la descrizione della malattia e delle sue conseguenze, in scene ridondanti di pietà e dolore. L'ambientazione, tipicamente borghese e raccolta in ambienti luminosi e ben arredati, completa il clichè.
La volontà del regista è certamente quella di scandagliare in ogni profondità il dramma, facendo emergere dai protagonisti un'umanità profonda e ferita, e di darne una lettura meno inesorabile e devastante, ma spesso questi tentativi risultano di poco mordente, arenati in scene già visitate dal cinema internazionale e che non propongono molta originalità.
Il risultato è un film corale che commuove la platea e rende coscienti sulle dinamiche di una malattia terminale, ma che in un certo qual modo resta circoscritto ad una predeterminata modalità di racconto, di vedute.
Siamo lontani dallo stile del padre, John Cassavetes, dalla sua malinconia, dalla rabbia, dalla profondità con cui riusciva a mettere in scena le emozioni e a condurre gli attori.
Raccontare un dolore così devastante non è semplice ed il rischio che si corre è sempre lo stesso, cadere nel clichè e nel melenso. Nick Cassavetes orchestra un buon film ma non trova la chiave di volta. E il dramma diventa ben presto un dolore per lo spettatore: il film non lesina lacrime.

Cameron Diaz, per la prima volta in un ruolo dramamtico, regge bene la parte, dando vita ad una donna spaventata e chiusa nella propria ostinazione e che non accetta ciò che le sta accadendo.
Baldwin da voce e corpo ad un avvocato determinato e partecipe al dramma della propria piccola cliente.
La piccola Abigail dimostra naturalezza e autenticità.
Un cast di sicuro valore e stile che da solo non può tenere in alto tutto il film.

1 commento:

nickoftime ha detto...

Il film mi incuriosiva per le prove attoriali, mentre le tue parole sul senso generale dell'opera non mi sorprendono perche' fin qui Cassavetes figlio, a parte un'eccezione , mi ha sempre fortemente deluso.

un abbraccio