martedì, giugno 19, 2012

Le paludi della morte


Non è sempre una questione di stile e neanche di contenuti. Talvolta le ragioni del cinema sono influenzate in maniera determinante dagli aspetti personali. Insomma ognuno di noi ha la sua storia. Quella di Ami Canaan Mann, figlia del più famoso Michael è quasi un classico nel mondo del cinema perché seguire le orme paterne, accontentarsi di ricreare l’universo nel quale si è cresciuti appartiene alla logica delle cose specialmente quando si è chiamati a confermare il talento del casato. Un dazio da pagare nella prospettiva di un indipendenza che nel caso della regista americana e del suo “Le paludi della morte” (The Texas Killing Field)è ancora lungi dall’essere conquistata. Se infatti la caccia al serial killer con i risvolti morbosi ed esistenziali di cui si colora l’indagine degli agenti Mike e Brian è una dei luoghi più sfruttati dal cinema di genere la stessa cosa si potrebbe dire per quanto riguarda gli aspetti formali della sua realizzazione che riprendendo molti degli stilemi del famoso padre, dall’uso della telecamera digitale efficace soprattutto nella profondità delle riprese notturne di cui il film è pieno alla pulizia di un immagine di geometrica precisione ed anche nella presenza di un paesaggio utilizzato alla maniera del western con le figure umane che sembrano attraversarlo per farcelo scoprire, disegnano l’ennesima parabola salvifica costellata di morti e resistenza umana. 

Caratterizzato da un andamento meditabondo e quasi compassato il film si accende ogni tanto con sparatorie urbane che ricordano l’assedio di Fort Apache oppure in qualche scena di tensione come quella esemplare che a metà del film fa trepidare lo spettatore nella visione di una assalto casalingo in cui una donna con figlioletto è minacciata da misteriosi assalitori. Un mestiere a cui non manca la tecnica ma che avrebbe bisogno di maggiore esperienza per acquisire sostanza. In questo modo gli aspetti legati alla detection, peraltro indeboliti in termini di tensione dalla presenza parallela di due filoni investigativi, quello legato alla morte di una donna di colore e l’altro dedicato ai cadaveri ritrovati nella palude del titolo, finiscono per non integrarsi con i ripetuti scorci paesaggistici oppure con i momenti dedicati all'analisi introspettiva dei protagonisti problematici come si conviene a questo tipo di storie. Il risultato è dispersivo, frammentato, con la ricerca dell'assassino continuamente interrotta da spaccati di vita urbana e sociologia da umiliati ed offesi che non riescono ad incidere. Gli attori fanno il loro mestiere. Jessica Chastain in un altro ruolo da dura è costretta ad un ruolo simil cameo.

8 commenti:

loz10cetkind ha detto...

Figlia di... Non sempre vogliono (o riescono a) dire qualcosa. Così la pellicola si trasforma in un buco nell'acqua...Anche se tutti meritano...una prova ulteriore. Un saluto Nick.

nickoftime ha detto...

ci avevano già provato la figlia di Lynch, il figlio di Cronemberg ed ora quella di Mann..lei avrà sicuramente l'opportunità di rifarsi..questo film è però un'occasione mancata...

bradipo ha detto...

non sto leggendo cose molto lusinghiere eppure questo film mi attrae...

nickoftime ha detto...

infatti il suo appeal in sede di pre-visione è alto..attori, paesaggio. clima..il film perà è a mio parere molto deludente..

Anonimo ha detto...

Mi associo. Un film che vorrebbe ma non fa, dovrebbe ma non può, insomma non ferisce mortalmente lo spettatore come sarebbe lecito aspettarsi da un'opera che porta con sé il glorioso nome Mann, sia pur nelle sole vesti di produttore e di padre della regista.

Stantìo e monocorde come molto spesso può risultare quel tipico sound southern made in usa che fa da colonna sonora alla pellicola, scontato poi nel finale quasi tragicomico.

Il disagio e la rabbia di Sam Worthington sono mal motivati a parer mio, meglio il lavoro fatto sul collega, più spontaneo.

Ottima la recensione, complimenti davvero.

Anonimo ha detto...

Ciao e grazie...sono d'accordo su tutto..anche sulla differenze tra Morgan e worthington..alla prox

nickoftime

tfk ha detto...

La frequentazione assidua di uno stile - peggio ancora se molto caratterizzato - pressoché mai genera qualcosa di nuovo o di interessante. (Rara avis: i Devo che tracannano "Satisfaction" degli Stones e la risputano migliorata. Parallelo, se ci si prende la briga di verificarlo, molto meno fuori luogo di quello che sembra). Alla stretta non sfugge nemmeno la chicca di casa Mann, Ami Canaan, che con "Texas killing fileds/Le paludi della morte" ci scodella... Un episodio di CSI Miami senza neanche il leggendario Horatio Caine. Il nodo e' che il cosiddetto stile " fiammeggiante" di papà MIchael non e' il semplice accostamento o la mera somma di fluidità narrativa, ossessiva ricerca cromatica e sonora, dinamismo della messinscena, ma la puntuale sottolineatura e riflessione sulle trasformazioni che ciò che siamo soliti definire "modernità" imprime nella psiche degli individui e - non secondariamente - nell'ambiente in cui essi sono immersi. Ognuno di questi aspetti declinato - spesso, ma non in via esclusiva - secondo gli schemi esigenti del poliziesco, se non addirittura dell'action puro altamente stilizzato ("Miami Vice") o arricchito di acceti filosofico-psicoanalitici ("Manhunter", "Collateral"). Ciò che in Mann padre e' uno sforzo organizzato di analisi della deriva umana in un mondo sempre più irriconoscibile e ostile perché preda del denaro e della tecnologia, o del loro combinato disposto nelle più angoscianti ibridazioni e che nei momenti migliori ("L'ultimo dei Mohicani", "Insider", "Nemico pubblico") si traduce in quel raro equilibrio tra intuizione e realizzazione che forse solo il cinema riesce a regalare nella forma di un'evidenza assoluta, irriducibile, quasi astratta, in questa seconda opera della figlia (con tutte le attenuanti che devono essere riconosciute ad un quasi esordio, e' ovvio) si stempera in una serie di tentativi abbozzati e subito rientrati circa ambizioni di scavo caratteriale e adesioni sovente forzate agli stilemi più corrivi del genere che costringono il film ad un passo indeciso, frammentario, riducendolo, di fatto, ad un oggetto fondamentalmente irrisolto, in continua perdita di tensione, mai davvero ambiguo, mai davvero inquietante, come pure la materia di cui e' fatta la storia prometteva di essere. Da ricordare: l'irruzione abortita in casa della ragazza madre; l'incedere "alla Welles" di Dean Morgan; il silenzioso lucore maligno delle paludi texane.

Anonimo ha detto...

..K2 grazie per la tua recensione, illuminante e lucida..sono d'accordo sulle sequenze da ricordare..soprattutto quella dell'irruzione casalinga..

nickoftime