mercoledì, giugno 06, 2012

Margaret


Parlare di New York e delle persone che la vivono ogni giorno, descriverne i rapporti senza falsare la distanza che le separa una dalle altre. Un problema di prospettiva che nel cinema diventa anche una questione di sostanza. Il rispetto del dramma vissuto da una città ancora nel terrore per una tragedia epocale si può tradurre nella voglia di narrare la condizione degli uomini e il loro malessere dall'interno, eliminando il contorno e rovesciando sullo schermo gli abissi oscuri dell'animo umano, oppure mediare tra ciò che sta fuori, il mondo con la sua alterità, e quello che invece gli scorre dentro, la vita con le sue contraddizioni.
Per raccontare il senso di colpa di una ragazza che si sente responsabile dell'incidente stradale che ha provocato la morte di una donna, Kenneth Lonergan sceglie la seconda e lo fa descrivendo non solo i tentativi della protagonista di ristabilire la verità dei fatti, con l'intento di far licenziare l'autista dell'autobus che ha investito la sfortunata passante, ma anche il paesaggio in cui si compie questo percorso, le strade i palazzi e le persone. Una miscela incandescente destinata a deflagrare quando si verifica il misfatto e in grado di restituire un pezzo di umanità perfettamente calata nel suo tempo e che reagisce sullo schermo come lo farebbe se quella situazione stesse realmente accadendo. Così Lonergan, dopo averci introdotto nell'esistenza ordinaria e apatica di Lisa/Anna Paquin, una studentessa particolare (la vertiginosa minigonna indossata durante la lezione e la franchezza con cui risponde al professore che la rimprovera lasciano intendere una consapevolezza al di sopra della media), mette in moto il destino che si manifesta con un dettaglio trascurabile - la ragazza, interessata allo stetson del conducente, lo distrae facendogli perdere il controllo della situazione - ma capace di determinare un nuovo inizio.
Da quel momento in poi la ragazzina, un po' cresciuta ma confinata dentro il limbo dell'adolescenza, si confronterà con la crudezza del mondo attraverso un'esperienza che porterà a galla un grumo di insoddisfazioni personali che, tanto nel mancato rapporto genitoriale (la madre è un'attrice preoccupata per la sua carriera, il padre risposato e lontano non riesce ad andare oltre un'educazione piena di luoghi comuni), quanto in quello con gli adulti, rappresentato da coloro che in qualche modo saranno investiti dalle conseguenze di quella morte, risulterà drammaticamente conflittuale.

In maniera coerente Lonergan mette in scena un dramma che non si esaurisce nelle facce dei personaggi e negli scarti psicologici che, progressivamente ma in maniera netta, li fanno evolvere - l'apprendistato sessuale di Lisa che passa dal coetaneo già svezzato al professore abilmente sedotto, o, ancora, la decisione della madre di riscoprire la propria femminilità accettando le avance di un suo ammiratore - bensì prende quota con la rappresentazione di uno sfondo che incombe sui personaggi, con il vociare indistinto e rumoroso della folla, che si sovrappone alle interminabili discussioni dei personaggi, e i palazzi monolitici e severi osservatori silenziosi delle vicende umane, che si svolgono all'ombra della loro insondabile presenza.

L'iniziazione di Lisa però è anche un occhio sul mondo e, in particolare su una nazione costretta a fare i conti con la storia e con la consapevolezza di un'innocenza perduta che il film afferma in maniera inequivocabile nelle scene di ambientazione scolastica dove il professore invita i ragazzi a confrontarsi con i temi scottanti della politica estera americana, scatenando il putiferio, oppure quando attraverso il personaggio interpretato da Jean Reno esprime il suo punto di vista sulla questione ebraico-palestinese, altro nodo cruciale della nostra contemporaneità. Una quantità di temi e di spunti che la pellicola fatica a restituire in maniera organica, dando spesso la sensazione di una costruzione troppo programmatica, quando cerca di conciliare la vicenda personale di Lisa con quella delle persone che le stanno accanto. E poi una sceneggiatura che rende troppo vaga e quasi scontata la coesistenza tra il senso di colpa della ragazza e la determinazione con cui cerca di attribuire tutte le responsabilità al conduttore del bus. Forse è per queste ragioni che "Margaret" sembra un film continuamente ripensato, a tratti estenuante, sempre pronto a fare marcia indietro, a rimangiarsi quello che ha detto per intraprendere un'altra direzione. In questo senso non sono state d'aiuto le vicissitudini di un film girato nel 2005 e poi fermato da problemi produttivi risolti solo con l'intervento di amici e colleghi - il montaggio finale è stato realizzato in maniera autonoma dalla coppia Scorsese/Schoonmaker e successivamente approvato da Lonergan - che hanno permesso all'opera di uscire nelle sale. Interpretato da Anna Paquin, abbonata al ruolo dell'adolescente inquieta, "Margaret" può vantare la partecipazione amichevole di un cast all star tra cui vale la pena di citare Matt Damon nella parte del professore sedotto dalla sua studentessa.

(pubblicata su ondacinema.it)

2 commenti:

Cannibal Kid ha detto...

sembra piuttosto interessante..

nickoftime ha detto...

si decisamente..alla fine il risultato è stato un pò inferiore alle mie aspettative ma Lonergan mi sembra sia riuscito a restituire l'emotività di una città che si sforza di convivere con i propri fantasmi..

nickoftime