mercoledì, giugno 19, 2013

L'UOMO D'ACCIAIO (MAN OF STEEL)

L'uomo d'acciaio (Man of Steel)
di Zack Snyder
con Henry Cavill, Russel Crowe, Kevin Costner, Diane Laine
Usa 2013
genere, fantastico
durata, 143'

Da Richard Donner a Zack Snyder, da "Superman"(1978) a "Man of Steel" (2013). Gli antipodi della genealogia di Superman sono gli indicatori di modi diversi ed in parte opposti di intendere l'eroe inventato da Jerry Siegel e Joe Shuster. Il primo, derivato dai comics colorati e pop dei 70s, era il frutto di un epoca che aveva bisogno di liberarsi dalle scorie di una guerra "sporca e mediatica", e che, cinematograficamente parlando, si preparava a ripristinare il potere degli Studios sostituendo il movimento della nuova hollywood con il filone dei blockbuster. Il secondo invece, è invece figlio della rivoluzione operata nel mondo del fumetto americano, ed in particolare su quelli di genere super eroistico, da un capolavoro come "Watchmen", la graphic novel realizzata da Gibbson e Moore, ed anche dal lavoro di artisti come Frank Miller, David Mazzucchelli, Chris Claremont, capaci di rifondare il mondo Marvel e DC Comics, riformulandone scenari e psicologie. Differenze abissali di una continuità (tra i lungometraggi in questione) all'insegna della meraviglia e della spettacolarità, che però nel caso di questo "Man of Steel" deve fare i conti con l'assuefazione della spettatore medio, abituato a frequentare prodotti all'avanguardia dal punto di vista degli effetti speciali e della CG. Se infatti nel 1978 ai produttori di Superman bastava dare seguito allo slogan "Crederete che un uomo può volare", permettendo a Clark Kent di solcare i cieli con una verosimiglianza mai vista prima di allora, adesso i poteri sovrannaturali per quanto realizzati con la perfezione delle nuove possibilità non basterebbero da soli ad accontentare le aspettative degli aficionados.

Sarà per questi motivi che Zack Snyder e Chistopher Nolan, qui in veste di produttore, hanno pensato di riunire presente e passato, modernità e tradizione, con la trama che miscela le vicende dei primi due capitoli, con la fuga di Kar El (il nome vero di Superman) dal pianeta morente, e successivamente la minaccia del generale Zod e dei suoi accoliti (come nel secondo capitolo, sempre diretto da Donner), a far da contraltare alla cupezza ed al senso di solitudine cheda un pò di tempo sembrano diventati i tratti indispensabile nella gestione dei nuovi "messia" cinematografici.

Non potendo lavorare sulla rifondazione del mito, comunque accentuato nei suoi aspetti cristologici dalla consapevolezza di Clark di un'eccezionalità che non preserva dal sacrificio e dal dolore, Snyder si applica soprattutto sugli aspetti iconografici ed emotivi. Il risultato funziona a fasi alterne: è superlativo nella scelta di sviluppare la parte iniziale della storia, concependo una rappresentazione escatologica del pianeta Krypton visionaria quanto basta per rafforzare il contrasto tra la natura "divina" che appartiene di diritto a Kar El, con quella umana, acquisita nel corso dell'esperienza terrestre. Si perde un pò quando sull'esempio di Nolan - ripreso nel modo di filmare gli scontri urbani, ed in un alto tasso di realismo ottenuto con la decisione di girare il film con telecamera a spalla - invade lo schermo con un fuoco di fila che mette insieme la musica invadente di Han Zimmer, ed i combattimenti tronitruanti ed interminabili modello "Trasformers", destinati a monopolizzare la seconda parte del film, ridotto a quel punto ad un leit motiv monotematico e ripetitivo. Interpretato da un Henry Cavill a cui fa difetto il carisma,  "Man of Steel" si avvale della presenza di Russel Crowe nel ruolo che fu di Marlon Brando, e di Kevin Kostner - al suo ritorno sugli schermi -  nella parte del padre putativo di Clark. A loro il film si affida per aumentare una densità psicologica in parte compromessa dalla preponderanza della componente spettacolare e dal timore di scontentare il pubblico più giovane. In questo senso "Man of Steel" ha raggiunto i suoi obiettivi.

1 commento:

tfk ha detto...

Eponimo tra i piu corposi del trans-umano (Superman/superuomo/oltreuomo), icona suo malgrado (sic) pressoché di tutto - da quella più ovvia a base di ricami fascistoidi o maramaldeggiamenti pseudo-nicciani, a quella più pop di muscolare gay, passando per quella religiosa di Salvatore in articulo mortis che vive, diparte, resuscita pero' non ci abbandona,"Superman", tra pre/sequel, remake, reboot, torna stavolta "formato" Snyder (sempre criticato molto al di la' dei propri demeriti: per dire, e' magnifico l'incombere ostile di certi immani macchinari, così come taluni rallentamenti di passo all'interno d'inquadrature non-action, nonche' la suggestione di alcune soluzioni cromatiche e le sparse quanto improvvise desolazioni) onusto di mirabilie tecnologiche e inguainato nel costume "poroso" caro alle generazioni di supereroi più recenti, e dopo una riuscita introduzione/ricostruzione delle origini e un promettente interludio arricchito dalla lancinante meraviglia della voce di Chris Cornell che pare preludere ad una apertura su territori magari solitari ma intriganti, via via si arena dove il suo "doppio" originario - il primo kryptoniano di Donner interpretato dal fu Reeves - centrava il non marginale bersaglio nella dimensione dell'ironia (carattere) e dell'ingenuità (messinscena), per dare libero sfogo alle ossessioni messianico-escatologiche del duo Goyer/Nolan, oramai di scarsa digeribilità dopo un abbondante e reiterato dosaggio distribuito in un così limitato numero di anni (in specie Nolan) e che finiscono per irrigidire il personaggio, costringerlo in una camicia di forza tematica ed espressiva che lo fa oscillare quasi esclusivamente tra il pensoso e il sempre e solo votato alla causa/sacrificio. In altre parole: ciò che si acquista dal lato del realismo alimentato dal sovrappiù filosofico che nobilita ed esalta l'aura drammatica, lo si perde da quello della sfumatura e dell'imprevedibilità. In sintesi: se "uomo d'acciaio" doveva essere, l'acciaio vince di due incollature abbondanti. Amen. [Gli attori: sorvolando sul protagonista, il volenteroso quanto semi inerte Cavill, bisogna registrare la petulante presenza di Crowe (padre genetico) equilibrata da quella discreta di Costner (padre acquisito). Al solito ottimo Shannon, selvatico e insidioso. Sempre elegante e misurata la "vecchia ragazza" Diane Lane. Gustosa e impertinente Amy-occhi-blu-Adams (ma questo e' un debole, allora non vale)].