lunedì, luglio 13, 2015

VELENI - CONVERSAZIONE CON NADIA BALDI E ROBERTO HERLITZKA


L'inizio delle riprese di "Veleni", il nuovo lungometraggio di Nadia Baldi, è stata l'occasione per incontrare l'autrice e Roberto Herlitzka, uno degli interpreti del film. Quello che segue non è solo il resoconto di un esperienza in corso d'opera ma anche una riflessione sullo stato dell'arte del cinema italiano. 

 Per prima cosa sarebbe ideale dare un'esposizione della trama del film


N: è un film ambientato in un luogo dove sono rimaste solo donne. Tutto ruota attorno a questo universo femminile, che è lasciato solo per la guerra o per l'emigrazione e si inventa un nuovo modo di vivere e sopravvivere, ma all'interno di questa comunità ci sono due donne, Bianca e Eleonora, che hanno girato il mondo e hanno imparato l'arte del sublime, in sostanza hanno imparato a usare erbe funghi, droghe e veleni, e sono tornate al loro paese con questi stratagemmi chimici e fanno sì che il film ruoti attorno a queste cose, con una serie di avvenimenti che creano un alone di mistero attorno a ciò che loro fanno: il film inizia con un funerale del medico del paese, marito di Bianca. Nel film si capisce che oltre al suo lavoro ma anche l'uomo è un appassionato di psichiatria, al punto da intrattenere uno scambio epistolare con Jung e si comprende che l'indagine del dottore era proiettata sul femminile, da cui la gelosia delle due donne, coinvolte sentimentalmente con lui. Inoltre in questo paese esiste un collegio dove è stato lasciato il figlio di bianca quand'era piccolo perché creava noia, e dato che le due donne si volevano divertire non volevano il bambino tra i piedi. Il bambino è assennato e educato e in questo collegio cresce sotto la tutela del rettore, un personaggio particolare, con una visione drastica della disciplina, ma che riesce a far intravedere spiragli di libertà e conoscenza. Il bambino, cresciuto, diventa professore del collegio. A questo punto non credo che si sia capito nulla.
R: non si deve capire nulla.

Pynchon diceva che nulla di realmente importante può essere detto in modo semplice. Il film sarà ambientato nel liceo Albertelli, per quanto riguarda le scene del collegio, poi le riprese si sposteranno in Cilento.

N: le scene saranno girate per quattro giorni a Roma, poi andremo nel Cilento, per collocare questo paesino che ancora vive di palazzi storici, case abbandonate – e meravigliose, tra parentesi –  che danno l'idea di ciò che è stato.

La volontà sembra quella di voler racchiudere narrativamente i personaggi e le vicende in un microcosmo.
N: la loro casa, il loro palazzo nobiliare, diventa l'ambientazione di questi eventi. Che avvengono fra il paese, la casa e il collegio.

 
Avendo sempre scritto di anteprime o film già visti mi trovo in difficoltà su un set, e immagino la difficoltà del dover iniziare un lavoro così ambizioso.

N: la verità è la cosa più difficile da ottenere, spesso si rischia che tutto diventi finzione, mentre è necessario il contrario; il compito arduo non è solo di chi fa gli allestimenti – abbiamo la fortuna di lavorare con Carlo Poggioli che sta lavorando con Sorrentino e Mariangela Caggiani, che è una grandissima scenografa – ma anche degli attori, a cui spetta il ruolo più difficile. Perciò servono grandi attori, come il qui presente, il più grande di tutti.

La storia sembra volersi concentrare sulle figure femminili, quasi a voler generalizzare il punto di vista femminile e proporne la diversità come chiave di lettura per il presente e il futuro, similmente a ciò che Muraca aveva fatto con il suo film, affermando che solo le donne possono vincere la mafia.

N: è da un po' di tempo che mi dicono che faccio spettacoli con le donne, e questa cosa non l'ho mai capita dato che lavoro sempre con Roberto e ho la fortuna di poter collaborare con lui. Dal mio punto di vista è un mondo tanto enigmatico e incomprensibile da essere affascinante.
R: io ho fatto Casanova e lì c'erano molte donne. Sono però ancora relegate a una posizione subordinata. E per quanto ribelli sono ancora coperte da questa cappa

Il ruolo di Roberto Herlitzka nel film è quello di un inflessibile rettore che però rivela spiragli di umanità...

R: il mio, come ha detto la regista, è il ruolo di un rettore di un collegio ecclesiastico gesuita ed è anche il terzo prete che faccio in poco tempo, perché ho fatto un cardinale con Paolo Sorrentino, un prete con Bellocchio e adesso lo faccio qui con Baldi...quindi credo che tra poco mi daranno una laurea in teologia. È un personaggio simpatico perché apparentemente è molto rigoroso ma è sfaccettato e ha un alto comprensivo. Bisogna riuscire a fare questa scena – che non racconto –  facendo trasparire tanto la durezza quanto l'affabilità, affabilità che cercheremo di ottenere attraverso l'ironia, la nostra arma migliore.

Il sodalizio lavorativo tra i due si è tramutato in molti progetti comuni, e si conferma nell'alchimia che traspare da ogni loro opera.

R: mi piace innanzitutto perché è una donna e le donne mi piacciono, poi perché essendo una donna ha una certa sensibilità e fantasia che si avvicina a quella che dovrebbero avere gli artisti, provvisti di un lato femminile più comunicativo. Poi lei dice che io sono come Leonardo da Vinci...
N: come Mozart
R: ovviamente io devo contestare questa frase. Però tutto sommato mi trovo abbastanza bene, ma allo stesso tempo ho una responsabilità maggiore perché recitare al livello di Mozart non è cosa facile. Per ora però abbiamo funzionato e funzioneremo ancora.

 

La difficoltà di una trama intricata però non impedisce l'emergere di una sensibilità artistica che prende le mosse dal testo e si rivela nell'ispirazione.

N: io non penso mai al perché, è frutto di una serie di fattori anche intangibili, e quando mi chiedono perché ho fatto una determinata scelta, io dico che non lo so. Tutto quello che si fa nell'arte è riconducibile all'ispirazione, se di arte si può parlare.
R: parliamone, perché dire arte non è un modo per vantarsi, ma anzi per essere umili: uno fa dell'arte e sa che punta a qualcosa di estremamente difficile. Non è un mestiere, bisogna mettercisi dentro dalla testa ai piedi, mentre un mestiere comune può essere fatto con disinteresse.

Soprattutto in un paese dove l'arte per l'arte viene subordinata alla logica del profitto ed è quindi difficile fare film. Forse più che in altri paesi.

R: io credo di no perché, grazie a Dio, se gli Italiani si mettono insieme fanno un film e lo fanno da Italiani, quello che è difficile è farsi accettare dagli altri, non da quelli che lo fanno, perché sono gli altri che non lo ricevono. Lo buttano via, se il film è particolarmente bello.
N: sono d'accordo.

 
In particolare nell'ultimo periodo, complice la serialità e la scarsa attenzione alla scrittura rispetto alla magniloquenza della regia, si ha l'impressione che la mediocrità sia stata accettata come livello base.

N: come dice Ruggero Cappuccio non si fa sì che il pubblico si innalzi all'arte, ma è l'arte ad abbassarsi, questo è in sostanza ciò che è accaduto. Il pubblico viene educato alla non-arte...
R: più che alla non arte alla non cultura, perché l'arte può venir fuori spontaneamente,  la cultura ha bisogno di essere coltivata.

Cosa difficile a farsi quando la riuscita di un'opera è legata al capitale investito.

N: non sono d'accordo, sicuramente i soldi sono un problema, ma non sono tutto.
R: se non ci sono si può fare a meno, ma se li si usa bene aiutano molto.

Il problema della serializzazione del cinema, causata dalla pressione dei forti budget che esigono un ritorno, è anche il motivo che ci porta ad avere dei non-film, reimpasti di vecchi cult dal forte impatto mediatico, un processo che non accenna ad arrestarsi.

N: io personalmente, come ho detto, non so perché faccio tutto ciò ma preferisco andare avanti piuttosto che lamentarmi e subire il disagio della società,  vivo con gioia anche la difficoltà del mestiere  avvalendomi di compagni dal mio stesso entusiasmo, cosa che ci porta ad ottenere comunque grandi risultati. L'altro giorno mi hanno chiesto cosa direi a un giovane che vuole fare il regista. Per prima cosa ho detto che consiglierei di non farlo, ma se dopo tutta la negatività scoprissi che lui lo sta facendo comunque, penserei di aver individuato un vero artista. Credo che sia nella difficoltà e nella negazione che emerga il vero regista e il vero artista. Colui che vive di questo innamoramento, qualcosa che hai dentro e nessuno può fermare, ne soldi ne problemi

Un vecchio cliché del giornalismo sarebbe chiudere l'intervista con dei consigli ai giovani, ma parlando più in generale io suggerirei di soffermarsi sulle difficoltà di fare arte
.

N: io dico ai miei ragazzi che ci vuole carattere e non talento, ma è sempre difficile, lo è sempre stato e sempre lo sarà.
R: io sono d'accordo, e dico che se uno vuole fare davvero l'artista è innamorato dell'arte, ma poi lo è anche di se stesso, c'è un narcisismo spietato in questo, per cui si procede malgrado tutte le difficoltà, cercando di non soccombere.
Michelangelo Franchini

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