sabato, ottobre 03, 2015

SOPRAVVISSUTO - THE MARTIAN

Sopravvissuto - The Martian
di Ridley Scott
con Matt Damon, Jessica Chastain, Jeff Daniels
Usa, 2015
genere, fantascienza
durata, 130'


Piazzate a bella posta nelle locandine dei film per stimolare la fantasia del potenziale spettatore, le frasi di lancio che accompagnano i titoli dei film di Ridley Scott vanno spesso oltre i sofismi legati alle ragioni commerciali delle grandi produzioni, per diventare la promessa di qualcosa che davvero esiste all'interno dell'offerta narrativa proposta dalle storie del regista inglese. Abbiamo ancora in mente quella presente nel poster di "Alien" (In Space No One Can Hear You Scream) che prefigurava come meglio non si poteva la tragedia a cui sarebbero andati incontro i componenti della nave spaziale Nostromo, decimati dalla micidiale creatura aliena. E ancora, sempre per dire della coerenza del regista inglese che, per ribadire il potere evocativo di quelle parole, decise di lanciare il trailer del film (nel suo genere una piccola opera d'arte per estetica e suggestione) senza aggiungere alcun suono al cocktail di immagini che lo costituivano. Meritano quindi di essere considerate nella giusta maniera quelle che campeggiano sopra il faccione del naufrago Matt Damon (Bring Him Home), per l'imperativo sotteso alla missione di riportarlo a casa da parte dei suoi colleghi (e quindi del film), dopo che gli stessi, credendolo morto, lo hanno abbandonato sul pianeta Marte. Perché " Sopravvissuto - The Martian" essendo innanzitutto un blockbuster di primo livello per impegno artistico e produttivo - basti pensare a una star come Jessica Chastain, prestata a un ruolo importante, ma comunque comprimario - si premura in prima istanza di mettere in bella vista i segni di una natura spericolata e avventurosa, legata appunto alle qualità di chi, con sommo sprezzo del pericolo e delle responsabilità dovrà sobbarcarsi la operazioni necessarie a evitare al protagonista il supplizio di un futuro senza speranza.


In realtà "The Martian" aspira fin dal principio ad essere qualcosa di più di un film genere, perché la parte più interessante e meno scontata appartiene proprio agli inserti che hanno in minor grado a che fare con gli elementi spettacolari della vicenda, e che sono quelli che si preoccupano di ragguagliare lo spettatore sulle vicissitudini del naufrago e sulle possibilità che egli ha di sopravvivere alla mancanza di risorse, naturali e artificiali, che l'eccezionalità della sua condizione  gli prospettano. E' proprio negli inserti dedicati alle strategie di conservazione adottate da Mark Watney, il film mette in mostra le sue qualità visionarie, quasi tutte indirizzate verso una resa pressoché verosimile del mondo alieno in cui si ritrova il protagonista. E' quindi nella precisione dei dettagli con cui vengono ricostruiti gli interni della base logistica in cui Mark è costretto a vivere (realizzata grazie al supporto della Nasa che ha coadiuvato Scott dal punto di vista tecnico) e nella creazione del paesaggio esterno del pianeta rosso che l'autore dimostra di aver in parte recuperato la lucidità di uno sguardo che, complice forse i molti impegni, era parso un pò appannato negli ultimi lavori. Al contrario "The Martian" , sulla scia di un film come "Gravity", manifesta l'intenzione di proseguire il discorso di una fantascienza più matura e meno vacua, abdicando per esempio all'opzione del confronto/scontro con le civiltà extraterrestri, sostituita dalle istanze ambientaliste e di recupero delle pratiche di coltivazione della terra palesate nella risoluzione da parte di Mark del problema legato alla mancanza di acqua (uno degli spauracchi con cui l'umanità si dovrà scontrare negli anni a venire), necessaria a coltivare il campo di patate improvvisato all'interno della base, oppure dalla necessità di ritornare a uno stato di natura incontaminato e puro, come può essere in prospettiva la vita sul pianeta rosso a cui il film si rapporta in maniera tutt'altro che ostile ma, anzi, lasciando intendere sviluppi positivi in termini di future possibilità abitative.


Rinunciando ai tratti più tipici di certo cinema ad alto budget che non riesce più a prescindere dal tema della vendetta e dall'esibizione di una potenza violenta e mortifera, "Sopravvissuto - The Martian" sembra combattere un altro tipo di lotta, connessa con la speranza di trovare fonti di energia alternative a quelle che già conosciamo. Un bisogno impellente, per ragioni che non staremo qui a spiegare, e su cui però Scott mostra di avere le idee chiare quando, mettendo a confronto l'oggi con il domani, decide di lavorare sugli opposti facendo entrare in dialettica gli spazi angusti e grigi, scelti per rappresentare frammenti dell'esistenza che conosciamo, con i colori caldi e gli orizzonti sconfinati che invece contraddistinguono quelli del nuovo mondo.

E' quindi un peccato che la vivacità di un'immaginazione tutt'altro che banale e la potenza di una narrazione che ben utilizza miti e archetipi tipici del cinema americano (su tutti quello della New Frontier) vengano in qualche modo messi in secondo piano da una dose di patriottismo - presente nelle scene che ci ragguagliano sulle reazioni dei vari personaggi che conducono le operazioni dalla sala operativa -  che in alcuni tratti trasforma "The Martian" in un spot propagandistico in cui traspare, manco a farla a posta, la sapienza e la lungimiranza di chi, e parliamo degli Stati Uniti, si sente chiamato a guidare il resto dell'ecumene. E' quindi un bene che il castway di Matt Damon (ottimo nella parte di un homo faber dalla vitalità contagiosa), che usa il computer al posto del pallone, abbia in dote un senso dell'umorismo in grado, in qualche modo, di smorzare il sentimento d'onnipotenza che il film si porta dietro. Se poi qualcuno, per denigrare il lavoro di Scott, volesse fare appello alle imprecisioni della ricostruzione messa in piedi dal regista (su Marte non esistono tempeste così intense come quella che da l'avvio alla storia e gli spostamenti sulla superficie avverrebbero con saltelli e non camminando normalmente), ricordiamo che le stesse rimostranze, pur esatte, non hanno impedito a "Il gladiatore" di diventare un classico del cinema. Qui non siamo a quei livelli ma il discorso rimane comunque uguale.
(pubblicata su ondacinema.it)

1 commento:

Lidia ha detto...

Ciao amici Cinemaniaci. Ormai sapete che i miei commenti sono sempre ritardatari, anche se forse stavolta i cinemini di zona hanno rispettato le tempistiche nazionali.
A me "The martian" è sembrato una corazzata kotionkin all'ennesima.
Leggo su questo film opinioni differentissime: a chi è piaciuta l'interpretazione di Damon, altri l'hanno trovato inespressivo e scialbo. Alcuni non si sono neanche accorti dei "saltelli" e delle tempeste, ma qualcuno ha accennato che le patate sbucciate non germinano e che il letame non fermentato brucia i vegetali.
All'uscita del cinema due coppie di persone hanno detto (più o meno) "la solita americanata", in termini meno gentili.

Intanto colgo l'occasione per dichiarare che la parola "genere" dovrebbe essere rivista, se non altro per la letteratura di fantascienza. Per i film, io non sono una specialista ma un'appassionata e quindi vi porgo il mio dubbio sic est.

Venendo alle nostre cose non è né il primo film che parla di un disperso. Temo purtroppo però che il disperso più celebre sia Robinson Crusoe, che ha per almeno due secoli tenuto alta la fiamma dell'ingegno umano (leggi: anglofono)che colonizza e civilizza, conquista e manipola, perché tutti abbiamo (leggi: solo loro hanno) il diritto a perseguire la felicità (leggi: la ricchezza).

Io vedo "The martian" di cui ho disgraziatamente anche acquistato il libro, come una pessima, pessima, pessima, pessima copia di "Apollo 13", frullata a "Mission to Mars", "Moon", "Gravity", "Cast away", "Salvate il soldato Ryan", un film a scelta con Adam Sandler e un tocco di Flinstones.

Ma ciò che mi preoccupa di più è l'assoluta mancanza di autocritica, l'autocelebrazione diventatata ormai insopportabile e neanche buffonesca o ormonizzata come in "Con Air", che stasera in tv ho visto cedere anche in un film come "Burn after Reading" dei fratelli Coen, in cui si vorrebbe far credere che certe tragedie avvengono diciamo per inaccuratezza che per decisioni scientemente prese attorno a un tavolo.
Mi spiace, ma dopo aver visto quell'oscenità intellettuale che non ha diritto di chiamarsi film di "American Sniper", io i film non li valuto più con l'occhio dell'analista, ma anche con la pancia, soprattutto se immagino di essere un siriano, e la mia pancia è vuota perché non ho i soldi per comprarmi da mangiare da quando l'America s'è inventata la "primavera araba" per controllare le risorse energetiche del medioriente, venenedo a fare la guerra a casa mia, raccontandomi la favola di Osama Bin Laden e delle Torri Gemelle, esattamente come a noi meridionali fu raccontata l'inesistente epopea garibaldina.
Non scorporo da questo mucchio di film celebrativi pellicole bellissime, come "Fury"e "The imitation game".

Non vi appaia questo giudizio così trinciante poco meditato. Anzi, ci ho ragionato sopra parecchio, e quello che mi pare di poter capire o prevedere da quel che ci passa sotto gli occhi, è che gli USA stanno spremendo i loro creativi non più per sedurre, come fu durante gli anni Ottanta, ma per esercitare il controllo sulle menti della massa.
Riportiamolo a casa? Questa sì che è fantascienza! L'avrebbero lasciato lì, e poi avrebbero inventato una storia qualunque.
Io direi che i termini molto in voga oggi "onesto prodotto di intrattenimento" andrebbero passati ad un setaccio un po' più fine.

Perciò sempre grazie delle considerazioni contenutistiche che rendono le vostre recensioni degli importanti spunti di discussione (almeno per me).
Grazie,
Lidia