Memorie di un viaggiatore
di Antonio Romagnoli
con Saverio La Ruina, Valentina Picello, Alessandro Haber.
Italia, 2015
genere, drammatico
cortometraggio, 14'09"
Tra
le innumerevoli illusioni-metastasi proliferate all'interno del
corpaccione della prassi occidentale, un suo posto di particolare - e
ovviamente delusa - suggestione lo ricopre di sicuro l'idea del viaggio come
itinerario (anche) intimo, utile, per diffusa opinione, a
scoprire/riscoprire aspetti inediti o sepolti di se'. Tale suggestione
avrebbe un certo numero di ragioni dalla sua (e il riferimento e' da
considerarsi inversamente proporzionale allo scorrere delle epoche) se
avesse trovato personalità in cui incarnarsi: ovvero se il viaggio
inteso come autentico sradicamento dalle proprie certezze avesse su
larga scala innescato l'imporsi di quella che da più parti e' stata
definita (con una punta di esausta disperazione, a farci caso, visto il
suo persistere più o meno imperturbabile a rango di lettera morta) etica del viandante (a dire, l'apertura interiore verso il famigerato Altro-da-se' -
nello specifico, verso il suo modo di vedere le cose, le sue
insicurezze, le sue presunzioni, et. - spesso e volentieri, nei fatti,
incapsulato nella più comoda etichetta di "incivile" o "nemico" tout court) e non invece quella in apparenza più tranquillizzante - barattata, tra l'altro, illico et immediate - dell'uomo di mondo, ovverosia, oggi come oggi, del buongustaio, la quale, oltre ad accelerare la tumulazione definitiva dell'avventura, ha sancito l'emergere e il consolidarsi della demenziale dittatura del turismo di massa, causa tra le non secondarie, alla lunga, della tanto temuta (a parole) usura del pianeta, con conseguente ennesima materializzazione dell'universale desiderio inconscio della Fine.
Magari
e' proprio tenendo conto anche di coordinate emotive simili che e'
possibile inquadrare l'incedere astenico-meditativo dell'ultima opera
breve del nostro Antonio Romagnoli, dal titolo "Memorie di un viaggiatore". Su strade assolate
(una parte delle riprese si e' avvalsa del contatto diretto con lo
scabro paesaggio calabro) che nel progressivo sfaldarsi delle loro
prospettive non escludono la più estenuante delle circolarità o
l'ipotesi del viaggio-da-fermo, si sposta calmo, zaino in spalla,
Saverio/S. La Ruina - sguardo attento, leggerezza cauta a sottendere
trascorsi fin troppo istruttivi, il corpo nervoso che pare avere trovato
requie a tensioni ripetute solo negli spazi aperti di un vagabondare
solitario e silenzioso - tipo laconico ma cordiale, in apparente fuga da
un se stesso stanco forse di portare ancora del suo all'ammasso della
frenesia e del rumore di un mondo che oramai non riconosce più come
tale. Ai bordi della strada, ecco che incrocia dapprima Luca/A.Haber,
pronto, dopo l'iniziale, prevedibile diffidenza, ad offrirgli la sua verità nella
forma di una paradossale teoria circa il destino di Jim Morrison;
quindi Maria Chiara/V.Picello, ragazza sfuggente e languida, con la
quale varrà la pena scambiarsi - secondo un rituale involontario di un potlatch delle piccole cose - scampoli di esistenza marginale (una sigaretta, brevi sguardi curiosi eppure schivi, mezzi sorrisi...).
Sostenuto
da un montaggio accorto nel suggerire le intenzioni mutevoli dei
protagonisti e scaltro nell'anticipare possibili compiacimenti, il
lavoro di Romagnoli stenta, nel suo passo in ogni caso aderente ad un
procedere lineare, per l'eccessiva esilità dello scheletro narrativo, la
cui relativa mancanza di peso, per un verso, autorizza via via
la compresenza di troppi sottintesi, in potenza perfino contraddittori;
per l'altro - e di conseguenza - contribuisce a penalizzare i caratteri,
in particolare la figura di Maria Chiara (evocativa e come pericolosamente arresa
ma dal punto di vista drammaturgico poco consistente), risparmiando,
per contro e in parte, quelle di Saverio e Luca: capace di circoscrivere
meglio e quindi supplire alla gracilità in virtù di uno scarto
impresso dalla propria qual costante pensosa distanza, il primo; animato
da un chiaro fervore di fondo (pensiamo alla gestualità e alla consueta
loquela inquieta/borbottante haberiana), il secondo, antidoto mimico e
dialettico alimentato da una spontanea, sorniona irruenza.
Resta
l'impressione di un itinerario lustrale più agognato che con lucidità
perseguito, a testimonianza ulteriore che lo iato scavato tra una
maieutica del viaggio e la sua imperante retorica e' vasto e destinato
ad allargarsi. Ma questo probabilmente Saverio/(Romagnoli) lo sa e -
qui e ora - e' già abbastanza.
[Ad integrazione.
Uno
dei rari frangenti che fa uscire dalla grazia di Dio (?) il Tempo, è
ricordargli che anche lui invecchia. Per tale motivo, da bravo ragazzino
millenario capriccioso, è uso trascinare con sé qualunque cosa osi
manifestarsi al suo interno. Un articolo, poi, transeunte già, diciamo
così, per tare proprie, non ha davvero scampo e viene spazzato via prima
di tanto altro. Tutto ciò per dire che nell'intervallo all'interno del
quale sono state redatte le brevi note riguardanti "Memorie di un
viaggiatore", esso ha trovato modo (e tempo, appunto) di aggiudicarsi il Festival di Villafranca Tirrena (Me). Complimenti all'autore, dunque e, come sempre, ad maiora. Ma questo al Tempo non ditelo].
TFK
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