domenica, ottobre 23, 2016

FESTA DEL CINEMA DI ROMA: INTO THE INFERNO


Into the inferno
di, Werner Herzog
genere, documentario
USA, Austria 2016 - 
durata, 105'


Time enough to rot"
- D.Thomas -




In contrasto con una tendenza piuttosto diffusa (e piuttosto consolatoria) del documentario naturalistico-antropomorfico, ancorata di preferenza alle cadenze di una soave quanto dolcemente ammonitrice voce femminile chiamata a dareespressività alla Natura come entità partecipe e non mero sfondo, l'attitudine lucida e franca di un viaggiatore e osservatore instancabile come W.Herzog tronca alla radice qualunque ipotesi d'indulgente mediazione e col suo tipico - benché un tanto ammorbidito dagli anni - atteggiamento romantico/agonistico, affronta l'ordo rerum nell'unico modo sensato e leale per uno che davanti alle sfide non si è mai tirato indietro: lasciar parlare il mondo fisico e disporsi all'ascolto, riservandosi un angolo franco dal quale organizzare la trama di una riflessione e promuovere interrogativi.

Proprio la reiterazione di tale prassi consente di portare a compimento l'ultima avventura in ordine di tempo, in cui l'autore tedesco - per il tramite dell'incontro, da un lato, con la piattaforma Netflix; dall'altro, con le suggestioni di un testo come "Eruptions that shook the world" e la partecipazione del suo autore, il vulcanologo di Cambridge, Clive Oppenheimer - torna a curiosare e a meditare in giro per il mondo sulla colossale potenza, l'inquietante bellezza, l'antica rilevanza simbolica, spirituale ed emotiva, dei maggiori sistemi vulcanici attivi. Già ai tempi de "La Soufrière" (1977), infatti, Herzog non aveva esitato a precipitarsi là dove (La Guadalupa) la Terra aveva deciso di scrollarsi di dosso tregue di apparenti stabilità, concetto, quest'ultimo, la cui scivolosa malìa (ma sarebbe più opportuno dire ostinata illusione) scorre al fondo dell'ennesima peregrinazione cinematografica - stavolta le Isole Ambrym, Vanuatu; il Monte Merapi, Indonesia; l'Erta Ale in Dancalia, Etiopia; le Isole Westman, Islanda; il Monte Paektu in Corea del Nord, per tornare, infine, all'arcipelago Vanuatu, presso le Isole Tanna - all'inseguimento di un'analogia multiforme e ricorrente che avvicina, nel caso, le perturbazioni imprevedibili del magma ribollente al sovrapporsi caotico delle aspirazioni e dei progetti umani; agli scarti ambigui delle intuizioni della scienza e della tecnica: alle ripercussioni oramai incontrollabili della pervasività ossessiva del denaro e degl'interessi... 



Il passo tenuto da Herzog procede allora sulla direttrice che mantiene in costante attrito la materia propriamente naturalistica - indifferente al decorso delle vicissitudini individuali; regolantesi secondo schemi che, a prima vista, vincolati al giogo di una cieca distruzione, sul medio-lungo periodo svelano una concorde tendenza all'equilibrio, tale da sollecitare da millenni la speranza di un'armonia superiore - e quella di matrice culturale - via via che le tappe si susseguono viene alla superficie, oltre al cambiamento a volte radicale a cui i processi geologici hanno sottoposto i territori, il retaggio primevo di culti, leggende, miti, visioni legati alla presenza viva dei vulcani - in un dialogo stretto che, letto in controluce mostra, a mo' di denominatore comune, la medesima persuasione in base alla quale il precipitarsi arroventato delle nubi piroclastiche, il gorgoglìo del magma, il fluire dell'acqua rossa verso l'acqua blu, quella degli Oceani, partecipa di un unico movimento riuscito, in miliardi di anni e col concorso di altre forze, a coniugare la continuità nella trasformazione. Per tale motivo, la stessa allusione contenuta nel titolo dell'opera va letta più in riferimento alle catastrofi volute e costruite dalla specie sedicente sapiens (nonché, tra l'altro, da essa puntualmente replicate nei secoli, aggiungendo così all'inferno dell'esistenza un elemento che si potrebbe definire grottesco se non fosse, in realtà, solo tragico), che ai rivolgimenti periodici tanto violenti quanto alla fin fine necessari per distinguere un organismo senziente da una pietra inerte a spasso nello spazio. Prova ne è l'inserto - quasi un piccolo film a parte - dedicato alla Corea del Nord e girato a margine dell'esplorazione vulcanologica approdata, dopo innumerevoli controlli da parte delle autorità, al cospetto del sacro Monte Paektu, al fine di reperire dati aggiornati sul suo lavorìo interno. In questo paese un popolo intero, da tempo immemore e con l'aggravio di periodiche sanzioni internazionali, sopravvive isolato dal resto del mondo ostaggio di una volontà dispotica, plagiato da una propaganda talmente incessante e ottusa, conficcata a forza negli angoli più riposti del quotidiano, da avere assunto le sembianze di una specie d'ipnotico misticismo di massa, con tanto di pietose estasi di fronte alle onnipresenti effigi dell'uomo-del-destino di turno, Kim Jong-un. In presenza di questo girone dell'insensatezza, ecco che anche l'occhio del più impavido dei registi per un po' si fa cauto, perplesso, riflesso attonito di altri occhi, già vacui, quelli di bambini messi in fila a recitare e a cantare pantomime edificanti, inni patetici al popolo e al governo liberatore.


Ma, si sa, "è difficile distogliere lo sguardo dal fuoco", sia quello metaforico che quello materiale (in relazione al secondo, vedere per credere la ferita sempre aperta dell'Erta Ale). Più di tutto, nota Herzog, è arduo imparare a valutarne la reale pericolosità, in specie quando ci si è consegnati per intero all'ingannevole di una razionalità al tempo arrogante e inerme, capace di fronteggiare l'evidenza così banale ma ineludibile del progressivo sgretolarsi delle condizioni che hanno permesso la nostra permanenza sul pianeta col piglio atteggiato ad un'inebetita sufficienza, ad una distratta impermeabilità, a fronte di una saggezza (tale, si badi, non in virtù di un generico e vacuo primitivismo ma per la stratificazione nel tempo di dolorose memorie collettive) che fa dire al Capo Moses Mael - al termine della programmatica circolarità che ci riporta, come detto, quasi al punto di partenza, a Vanuatu ma presso le Isole Tanna - che "un giorno il grande vulcano erutterà e distruggerà questo mondo". 

Verrebbe da credergli non fosse che, probabilmente, non sarà il vulcano a fare la prima mossa.
TFK
 

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