sabato, giugno 17, 2017

THE DESCENT - DISCESA NELLE TENEBRE

The Descent/ Discesa nelle tenebre
di Neil Marshall.
con Shauna MacDonald, Natalie Mendoza, Alex Reid, Saskia Mulder
GB, 2005
genere, avventura, orrore
durata, 100’


L'orrore è uno stato d'animo primario e imbattersi in lui è un po' come fare valutazioni sui fenomeni sismici. Ovvero: è consentito un qualche margine di manovra in merito al quando; è esclusa qualunque possibilità riguardo al se. Di più: le infinite sfaccettature della psicologia umana permettono all'orrore di esprimersi secondo multiformi schemi narrativi che trovano nel Cinema il più ideale dei compagni di giochi. Non c'è, infatti, campo di applicazione che possa dirsi esente dalla chiave/versione orrorifica della sua rappresentazione e a cui il Cinema non strizzi di continuo l'occhio restituendo prodotti finiti sempre nuovi e stimolanti. Questo per dire - e compresi gli esiti più paradossali, sgangherati o genericamente trash - quanto e come l'horror sia molto di più di un genere letterario o cinematografico ma, appunto, un comune sentire oscuro, un presentimento spiacevole intorno al sospetto che la realtà, o ciò che definiamo tale e in specie quella più ovvia, più rassicurante - il quotidiano - preveda pieghe e recessi informi, pre o post umani, la cui innegabile capacità di attrazione/repulsione è pari solo al monito di quel tale che la sapeva lunga per cui, all'incirca,quando scruti a lungo l'abisso, l'abisso scruta dentro di te (F.Nietzsche in Al di là del bene e del male).


E letteralmente nell'abisso rovista e ne viene fagocitata la compagine muliebre (metonimia dell'umanità intera) di "The descent"/"Discesa nelle tenebre" (2005) del britannico Neil Marshall, autore di altre pellicole interessanti, tipo "Dog soldiers" (2002), "Doomsday" (2008) e "Centurion" (2009). L’opera, finanziata con un ammontare risicato - qualche milione di sterline - genitrice di un seguito (inedito da noi) e un ipotetico terzo capitolo, risulta nel suo complesso vincente perché in grado di dire qualcosa d'interessante sulla paura - e sui comportamenti sovente sconcertanti da essa innescati - scorticando le (spesso) comode alternative sedimentatesi con gli anni sul genere nel tentativo di reinventarlo per abradere - non solo metaforicamente - la carne viva degli eventi, dei personaggi e delle implicazioni messi in scena. Il solo fatto, ad esempio, non tanto di collocare il motore dell'azione entro la cornice monumentale e silenziosa, arcana e sfuggente degli spazi selvaggi e remoti di una zona montuosa (la catena dei Catskill negli Stati Uniti evocata nella vicenda, sebbene gran parte delle riprese siano state effettuate sul suolo britannico), quanto di chiamare quegli stessi scenari a interagire scompaginando, confondendo, inibendo il comportamento dell'elemento umano, demolendo il luogo comune inerente le cartoline d'ambiente, gli sfondi rifugio, genericamente la Natura come approdo consolatorio al termine di una catena di eventi spaventosi, la dice lunga sull'intuizione di Marshall contenutisticamente affine, usando un’immagine, all’estrarre dalla tasca e scagliare nel torbido specchio d'acqua dell'horror un paio di ciottoli dal profilo tagliente

Per scendere a patti con un grande dolore forse un anno può bastare. Tra i succedanei più a portata di mano, comunque, c'è l'immersione nella pace e nei colori del paesaggio, meglio ancora se tutto questo si riesce a condividerlo con degli amici. Tale è, più o meno, il ragionamento fatto dalla protagonista Sarah/MacDonald, allorché accetta l'invito della coetanea Juno/Mendoza (a cui si uniranno poi altre ragazze: Beth/Reid, Rebecca/Mulder, Holly/Noone e Sam/Buring, a comporre un gruppetto di sei unità) a partecipare a una esplorazione speleologica. Le circostanze sembrano filare fin quando la spavalderia indotta dall'eccitazione, un incidente improvviso, una menzogna, consegnano il drappello al cuore della montagna mentre, man mano che ci si addentra, comincia a materializzarsi la presenza di qualcosa...


Marshall lavora abile sui tempi e accresce la tensione alternando il ritmo delle scene tra brevi stasipreparatorie e improvvise accelerazioni, stringendo via via le inquadrature a isolare efficacissimi primi piani delle ragazze stravolte dal terrore quanto ricoperte di sangue, indi privilegiando i colori brillanti a contrasto col buio circostante e adattando i dialoghi sulla linea di un crescentedistanziamento che dai battibecchi iniziali inerenti le scelte da prendere per risolvere il puzzle della segregazione forzata, passando attraverso la rivelazione di episodi del passato che svelano reciproci dettagli inconfessabili, approda a una esplicita e violenta ostilità verbale che troverà immediata attuazione nei comportamenti. Altro asso nella manica di "The descent" è la capacita di trattare figure archetipiche - il buio (luogo/contenitore classico della paura); la discesa (itinerario a ritroso dentro se stessi dal cui dipanarsi, spesso e volentieri, emerge il peggio); la grotta/ventre materno (incubatrice dalla quale non necessariamente scaturisce qualcosa di meraviglioso); la solidarietà/ostilità di gruppo (allegoria in scala dei rapporti interni alle comunità umane); la costrizione coatta (per contrasto, anelito insopprimibile di liberazione, esaltazione dello spirito auto-conservativo); l’Altro (secrezione del Male che è in noi e che la Natura ci ritorce contro) - rifiutando l'impianto simbolico e filosofico di tanto Cinema affine, per puntare senza esitazioni su una loro declinazione immediata, fisica, annotando cioè di continuo le trasformazioni che un frangente estremo imprime sui corpi inducendoli alternativamente al riflesso scomposto, alla resa, allo scatto brutale e ferino, e riversare, infine, l'insieme dell’intollerabilità di questa condizione sulla comitiva femminile - protagonista dall'inizio alla fine - arricchendo, di fatto, l'intera operazione di una straordinaria forza reattiva primigenia che lambisce/si fonde/stride di continuo con l'energia altrettanto arcaica e generatrice della Natura, mater/matrigna per definizione.

Film crudele nel senso etimologico del termine "The descent" si offre come irreconciliato meccanismo ad eliminazione reso ancor più inquietante dal contesto naturale e avventuroso in cui si consuma: resoconto di un orrore che non può essere esorcizzato ma pretende e ottiene di essere vissuto fino in fondo. E se tra i suoi brandelli, magari, alcuni personaggi riescono a scoprire aspetti di sé ancora ignoti, non è per nulla detto che da essi possano anche risorgere. (Nota: per gustare la sinistra coerenza dell'opera di Marshall, occorre confidare nella versione circolata fuori dal mercato USA, in parte non rimaneggiata o addolcita nel finale).
TFK

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