domenica, settembre 24, 2017

SASHA E IL POLO NORD

Sasha e il Polo Nord
di Remy Chayé
genere, animazione
Francia, Danimarca 2016 
durata, 83’


Viaggiare. Dove ? La saggezza dei secoli ammonisce: l’unico itinerario degno è quello che si compie scientemente dentro sé stessi. E’ pure vero, però, che se ti trovi nelle condizioni di una come Sasha Tchernetsov, ovvero sei una ragazzina - per di più di nobili origini, quasi promessa a un principe arrogante e ottuso dell’impero zarista nella San Pietroburgo dell’ultimo scorcio del XIX secolo - il periplo per compiersi abbisogna di percorsi preliminari col portato dei quali l’animo cominci a sgranchirsi, ovvero è necessario attraversare certe frizioni imposte dall’esperienza e dalla conoscenza.

La biondissima Sasha è del tipo educato-ma-testardo. Legata al nonno Oloukine, insigne esploratore (ha trovato lui il passaggio a Nord-Est) scomparso da tempo a bordo del rompighiaccio Davaï nel tentativo di arrivare al Polo Nord, sulla scorta di appunti nautici rinvenuti tra le carte del vecchio viaggiatore si convince che le spedizioni inviate per la sua ricerca abbiano preso la strada sbagliata, pregiudicandone il ritrovamento. Nonostante lo Zar in persona, poi, abbia promesso una ricompensa di un milione di rubli all’equipaggio che riporterà in salvo gli eventuali superstiti del Davaï, di fatto, indizi o notizie certe languono e a Sasha ciò che interessa davvero è trovare le risposte giuste a un interrogativo via via lasciato andare, quasi di pari passo all’ingigantirsi d’un pregiudizio nei confronti del prestigio familiare.


Chayé - esordiente nel lungo d’animazione e già collaboratore per opere come “The secret of Kells” di Moore (2009) e “La tela animata” (2011) di Laguionie - sfrutta la progressione classica dell’anabasi per ricalcare (e retrodatare) la narrativa e la memorialistica d’avventura sullo sfondo storico a venire delle esplorazioni polari dei primi del Novecento (le vicende ardite quanto, a volte, tragiche, che saldano in un solo vincolo leggendario i nomi di Cook, Peary, Scott, Amundsen, Shackleton), adattandole alla figura esile ma determinata di Sasha per il tramite di strutture letterarie consolidate, qui restituite in un amalgama talora prevedibile ma efficace: dal piano più vicino al racconto di formazione (la protagonista accetta obtorto collo un impiego da cameriera/tuttofare per pagarsi il transito verso il grande Nord sulla Norge in partenza, dopo esser stata truffata dal secondo ufficiale della stessa); a quello affine al ritratto picaresco con venature onirico-drammatiche (la lunga traversata della banchisa sulle tracce dell’imbarcazione perduta), passando per i toni da romanzo in costume (le grandi stanze e i saloni della dimora avita, le cerimonie ufficiali, l’aplomb aristocratico, le danze).



I vari registri trovano felice espressione in uno stile figurativo caratterizzato da colori pieni e luminosi per cui i contorni sfumano spesso (si noti, per dire, il gioco di chiaro-scuro tra l’incarnato di Sasha e il suo bianco abito di gala o anche la morbida alternanza di riquadri di luce sulla ritrovata calma delle acque dopo la tempesta), mentre forme e volumi s’aprono in una sorta d’indifferenziato - o, se vogliamo, in un continuum - che mira a riprodurre la suggestione d’una realtà in perenne trasformazione entro cui riecheggiano assonanze legate al Cubismo (i profili allungati e semi-geometrici dei volti); all’elasticità e all’eleganza di confine dell’acquerello (i vasti e cangianti paesaggi marini, i cieli imprevedibili e le immobilità rurali); all’immediatezza e all’irruenza dell’affiche (i contrasti decisi degl’interni, la compattezza delle superfici degli oggetti in movimento, le ombre larghe e piatte), in un caleidoscopio controllato e coerente, specchio fedele del cammino che lega lo slancio irrequieto d’una preadolescente alla temporanea serenità d’una giovane donna.
TFK

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