domenica, maggio 12, 2019

VENEZIA 75 - WHAT YOU GONNA DO WHEN THE WORD'S ON FIRE



What You Gonna Do When the World's On Fire?
di Roberto Minervini
USA, 2018
genere, documentario
durata, 123'


Got to give us what we want (uh)
Gotta give us what we need (hey)
Our freedom of speech is freedom or death
We got to fight the powers that be
("Fight the Power" di Public Enemy)


Roberto Minervini è un regista abituato a non piangersi addosso: lo dicono i fatti e soprattutto lo dimostra il modo in cui il l'autore di "Stop the Pounding Heart" è riuscito a realizzare i suoi film, trovando in America ciò che gli era stato negato nel nostro paese. L'annotazione è importante, perché questo approccio Minervini lo riserva anche ai suoi film che, al di là di ambientazioni e tipologie umane, risultano sempre propositivi e colmi di vita, pronti a reagire alle difficoltà produttive (del regista) e sociali (dei personaggi) dentro le quali vengono alla luce. Problematiche che si ripresentano anche nel nuovo lavoro per la delicatezza del tema (il razzismo e l'intolleranza praticati nei confronti della popolazione di colore) e per i rischi di incolumità fisica connessi con la necessità del regista di integrarsi con gli abitanti di uno dei quartieri più depressi di New Orleans per raccontare la protesta della comunità afro americana attraverso tre "esperienze", indicative del clima di malcontento e di tensione che si respira negli Stati Uniti di Donald Trump. 

In questo senso "What You Gonna Do When the World's On Fire?" è forse il film più politico realizzato dal regista marchigiano poiché questa volta ad avere la meglio sulla cosiddetta "Invenzione del reale" - espressione rubata al critico e produttore del film Dario Zonta - c'è l'importanza del messaggio e la volontà di divulgarlo senza filtri, con un impeto e un'aggressività paragonabili a quelli delle migliori canzoni rap. Dunque, se in altre occasioni, la forma documentario era stata contaminata da stratagemmi che (seppur in parte) la ordinavano ai principi di fluidità e coerenza impiegati dal cinema di finzione, questa volta tali aspetti risultano ridimensionati: all'interno delle singole sequenze, con i movimenti della mdp e le aperture sull'ambiente limitati allo stretto indispensabile e nella prevalenza di campi contro campi sui volti dei personaggi, verso i quali Minervini si rapporta con una vicinanza di riprese destinata a essere il segno della totale adesione alle vicissitudini dei personaggi; più in generale, utilizzando un montaggio che enfatizza il clima di "guerriglia" con stacchi netti tra una scena e l'altra. 

Nel dare spazio alla protesta di fronte alle ingiustizie di un sistema persecutorio che non si limita a togliere speranze e lavoro ma anche la vita ("La polizia sparava, mi buttavo a terra per non essere colpito" ha detto il regista nel corso della conferenza stampa), Minervini realizza un film rigoroso e scomodo anche per una Mostra come quella di Venezia che, però, ha avuto il merito di metterlo in concorso. In un momento in cui nel cinema essere un interprete di colore non è più uno svantaggio e dove attori come Chadwick Bozeman e Michael B. Jordan rappresentano un'alternativa anche estetica al modello (Wasp) dominante, "What You Gonna Do When the World's On Fire?" costituisce un'anomalia non da poco, a cominciare dalla scelta di rinunciare al colore - fondamentale in film come "Black Panther" e "BlacKkKlansman" - per un bianco e nero anni Settanta che sembra rievocare le consapevolezze di quell'epoca, indirettamente suscitate dal razzismo e dall'intolleranza dell'America trumpiana, ma soprattutto nel senso di ribellione che si sprigiona dalle parole di Judy, la barista costretta a chiudere il suo locale, e da quelle dello slogan (Black Power) che scandisce le azioni dei militanti delle Black Panthers.


Se poi di fronte allo schematismo della progressione narrativa qualcuno storcesse la bocca, bisogna ricordare che il pregio di un'opera come quella di Minervini non è di non far sentire il peso della sua durata, ma di non fare marcia indietro anche quando la realtà risulta meno "fotogenica". Senza dimenticare che, alla pari di quelle di cineasti come Wang Bing, anche le immagini realizzate da Minervini non nascono per caso, ma sono il frutto di un rapporto di stima e di confidenzialità nate dalla condivisione di un pezzetto del medesimo vissuto. Riuscire a trasformarlo in un cinema d'assalto nella maniera in cui lo è "What You Gonna Do When the World's On Fire?" diventa qualcosa di straordinario e irripetibile.
Carlo Cerofolini
(pubblicato su ondacinema.it)

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