Soul
di Peter Docter, Kemp Powers
USA, 2020
genere, animazione
durata, 100'
"Il paradiso può attendere". L’affermazione mutuata dall'omonimo film del 1978 diretto da Warren Beatty potrebbe essere uno degli slogan con cui riassumere l’assunto che ci cela dietro l’ennesima meraviglia di Casa Pixar. “Soul”, questo il titolo del lungometraggio diretto da Peter Docter, ruota attorno al sogno dell’insegnante di scuola media Joe Gardner (cui nella versione originale presta voce Jamie Foxx), deciso a tutto pur di non mancare l’appuntamento della vita rappresentato dalla possibilità di mettere a frutto il proprio talento suonando nel quartetto Jazz più famoso della città. E qui risulta utile tornare per un attimo al titolo del film perché quello scelto dal regista è sì il riferimento all’anima musicale del film e a quella del suo personaggio principale, pianista dalla classe sopraffina, ma ancora lungi dall’essere compresa e riconosciuta, ma anche un'allusione alla materia fantasmatica di una storia in bilico tra cielo e terra, luogo dove l’anima di Gardner nel frattempo vorrebbe tornare dopo essersi staccata dal corpo a causa dell’incidente mortale di cui rimane vittima il protagonista.
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Scandito da un viaggio allo stesso tempo fisico e esistenziale, fiabesco e filosofico, e incentrato su due personaggi da buddy movie, con Gardner chiamato suo malgrado a fare da mentore a un’allieva intelligente e ribelle conosciuta con il nome di 22 (Tina Fey), “Soul” è una favola sull’amicizia e sul senso della vita - ancora una volta individuato dal motto relativo al carpe diem latino - la cui classicità è tale da far nascere oramai spontanea la percezione di trovarsi di fronte a uno spettacolo che non perde nulla, ma anzi ha qualcosa in più sia in termini formali (tridimensionalità e immaginari movimenti di macchina sono all’altezza del migliori film di finzione) sia delle argomentazioni rispetto al resto del cinema d’autore.
In questo senso “Soul” mette a frutto nel migliore dei modi la possibilità di poter tradurre senza alcun limite la fantasia dei suoi autori consegnando alle immagini una rappresentazione della vita capace di riempire gli occhi dello spettatore con una serie di performance visive - in particolari quelle post vita presenti nel corso del pellegrinaggio ultraterreno dei protagonisti - degne delle più riuscite produzioni Pixar. Non senza menzionare la peculiarità di una sceneggiatura, che qui come in altri lavori della major americana evita riferimenti diretti ai fatti della Storia trasfigurandoli in modo più nascosto quando si tratta di rileggere la contemporaneità attraverso pensieri e fatti comprensivi dei dubbi e delle paure scaturite dall’inconscio collettivo cui “Soul” offre una catarsi lenitiva delle vicissitudini del tempo presente. Per cui, fermo restando la nostra gratitudine nei confronti della Festa del cinema di Roma che ha scelto il film per aprire l’edizione 2020, è davvero un peccato che al di fuori della manifestazione capitolina chi lo vorrà vedere lo potrà fare solo attraverso la piattaforma Disney che lo distribuirà in esclusiva a partire dal 25 dicembre prossimo venturo. Nel buio della sala e sul grande schermo “Soul” è destinato a imprimersi nella memoria con ben altra suggestione.
Carlo Cerofolini
(pubblicata su ondacinema.it)
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