lunedì, aprile 26, 2021

Nomadland. La recensione del film di Chloè Zhao

Nomadland

di Chloè Zhao

con  Frances McDormand

USA, 2021

genere, drammatico

durata, 108


L’ascesa di Chloé Zhao


Nomadland di Chloé Zhao è innanzitutto la conferma di una poetica che in soli tre film (Song my Brother Taught Me e The Rider – Il sogno di un cowboy, gli altri due) ha piantato le sue radici nell’immaginario del cinema americano contemporaneo  al punto di imporsi forse anche al di sopra delle aspettative della stessa regista. Abituata a lavorare in regime di indipendenza con budget e troupe ridotte all’osso e con largo uso di attori non  professionisti, la Zhao ha infatti appena finito di girare un blockbuster, Marvel (Gli Eterni) pieno zeppo di star ed effetti speciali, e questo la dice lunga sulla suggestione esercitata delle sue direzioni presso i gestori della grande macchina hollywoodiane.


La capacità di conciliare spinte opposte 


Provare a immaginare per quale ragione i Mogul degli Studios se ne siano innamorati equivale a chiedersi  che tipo di storia sia Nomadland e in quale rapporto si ponga con le istanze del proprio tempo. E qui veniamo a uno dei nodi centrali del film, perché nel raccontare la scelta di Fran (Frances McDormand), decisa a vivere una esistenza nomade, perennemente in viaggio di stato in stato sulle strade di un Paesaggio da western americano, Nomadland approda a una sintesi capace di conciliare pulsioni opposte: da una parte il desiderio di intimita’ e di raccoglimento e nel complesso di vita minuta che per la donna e’ esigenza caratteriale ma anche necessità contingente (dettata dalla volontà di metabolizzare un recente lutto); dall’altra il senso di infinito e la voglia di libertà che in Nomadland scaturiscono dal contatto con la natura e di conseguenza dal rifiuto delle pratiche urbane. 



Blockbuster dell’anima 


A suo modo, dunque, Nomadland e’ un film epico perché attraverso l’ esperienza individuale della sua protagonista si confronta con uno dei miti del grande paese e cioè con una frontiera – geografica ma anche simbolica –  la cui novità non consiste  più nell’essere un territorio estraneo ma al contrario quasi familiare, quello in cui meglio di altri ci si può riconoscere e sentire a proprio agio.





Da Into The Wild a Nomadland


A differenza dell’Alex Supertramp di Into The Wild che all’inizio del millennio si faceva antesignano dei nuovi ribelli in aperta critica con il modello di società borghese, la fuga dal mondo di Nomadland ha perso lo slancio eversivo non discriminando il sistema ma venendoci a patti (ad esempio, Amazon in cui saltuariamente lavora Fran) in  un quadro generale di rassegnazione che però non fa venire meno lo spirito indomito con cui la protagonista asseconda là proprie attitudine. Afflato non dissimile dalle figure raminghe ma sempre solidali e avvertite tipiche del cinema, ad esempio, di una come Kelly Reichardt, vedasi tra gli altri Wendy e Lucy o il recente First Cow.


Così vicino, così lontano


In continua dialettica tra vicino e lontano, tra primi piani esistenziali e prospettive illimitate, tra interni ed esterni, Nomadland mette insieme la capacità di raccontare l’uomo e il suo spazio spingendosi agli estremi delle sue possibilità, dunque stupisce fino a un certo punto trovare Chloe Zhao a capo di una storia – quella realizzata per conto della casa delle idee – che a occhio e croce mette in campo le stesse dinamiche traslate su un piano cosmico e fantascientifico. Ai posteri L’ardua sentenza: per adesso godiamoci Nomadland, sicuro protagonista della prossima notte degli Oscar.




Ps. L’arte di Frances McDormand 


Guardare la faccia di Frances McDormand in Nomadland e riconoscervi la vita di una persona. E’ una sensazione questa  che si rinnova ad ogni nuovo incontro, il che,  in generale, fa  pensare che per un attrice come lei  stare davanti alla mdp con così tanta credibilità non sia solo una questione di talento ma dipenda anche dalla coerenza delle sue scelte, a cominciare da quelle relative ai ruoli da interpretare e soprattutto a quelli da rifiutare. A ben vedere la Fern di Nomaland potrebbe essere parente stretta della  Mildred Hayes di Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri, il che è tutt’altro che casuale.


Tratto dall’omonimo libro di Jessica Bruder,  Nomadland ha vinto il Leone d’Oro alla 77a Mostra del cinema di Venezia; ha ottenuto 4 candidature al Golden Globes e tra gli altre 5 candidature agli Spirit Awards.  


Carlo Cerofolini

(pubblicato su taxidrivers.it)



1 commento:

Unknown ha detto...

Sì, be', un gran bel rilancio del mito della Frontiera. Gli americani ci tengono sempre ai loro due, tre miti creati a tavolino, e lanciano nell'iperspazio qualsiasi favoletta che li racconti bene. Hanno provato a fiondare anche "Revenant", ma non gli ha detto bene (e neanche "Into the wild" ha affascinato più di tanto).
Qui sì, ci sono riusciti, hanno centrato l'obiettivo impallinandolo come dei cecchini. Gran bella operazione culturale mainstream camuffata.

Lidia