Gli occhi di Tammy Faye
di Michael Showalter
con Jessica Chastain,
Andrew Garfield, Cherry Jones
USA, Canada, 2021
genere: biografico,
drammatico
durata: 126’
La vera storia della
telepredicatrice Tammy Faye e del suo ruolo nell’America degli anni 70/80 a
fianco del marito Jim Bakker è al centro del film di Michael Showalter “Gli
occhi di Tammy Faye”.
La donna in questione
viene presentata fin dall’infanzia non troppo semplice in una numerosa famiglia
allargata a seguito del secondo matrimonio della madre. Tammy è l’unica figlia
nata dal primo matrimonio e deve continuamente “combattere” con questa
situazione. Addirittura non può nemmeno entrare in chiesa, a detta della madre,
perché ricorderebbe ai fedeli e ai presenti in generale, il “cattivo passato”
della donna. Ma questo non ferma Tammy che, da sempre determinata, decide di
sfidare tutto e tutti e di entrare in un luogo sacro nel quale riceve una sorta
di vocazione (resa come un attacco di panico). Da quel momento la vita della
giovane sembra essere segnata. Durante gli studi universitari la giovane
conosce Jim che decide di sposare immediatamente, abbandonando gli studi e
tornando a vivere a casa con i genitori.
I due, nonostante la non
convinzione della madre di lei, iniziano a muoversi attraverso gli States per
predicare e ispirare le comunità cristiane. Nello specifico, mentre Jim si
occupa della predicazione, Tammy intrattiene il pubblico, soprattutto quello
più giovane con dei giochi e dei simpatici siparietti usando dei pupazzi. Non
passa molto tempo che i due sono notati dal Christian Broadcasting Network
(CBN) di Pat Robertson. Nel giro di pochissimo la coppia diventa presentatrice
di un popolare spettacolo per bambini: Jim e Tammy. Ma da quel momento qualcosa
si incrina, sia nel loro rapporto che nel loro pensiero e nel loro modo di fare
e di porsi nei confronti degli altri e del proprio pubblico.
“Gli occhi di Tammy
Faye”, come suggerisce il titolo, è un film che va visto percorrendo due
binari: quello narrativo e quello visivo. Gli occhi di Tammy Faye sono sia
quelli che guardano la propria storia e, quindi, la relazione con Jim, la
nascita dei figli, l’evolversi del proprio credo e la diffusione delle proprie
idee attraverso il mezzo televisivo, ma sono anche gli occhi “critici” dello
spettatore che è come se entrasse in quelli della protagonista. Appropriandosi
del senso principale della donna, che basa gran parte della propria esistenza
sull’apparenza, il pubblico ha la reale percezione di quello che sta accadendo
e sa come reagire e come comportarsi. Ecco che il personaggio della madre,
seppur talvolta in maniera esagerata, contrastando la figlia in tutto e per
tutto, è quello più facilmente comprensibile e quello con il quale empatizzare
fin dall’inizio.
Occhi che non sono solo
protagonisti come mezzo attraverso il quale osservare la “scena”, ma sono anche
elemento portante della vicenda. Essi sono, infatti, sia costante che
evoluzione della storia. Sono la
costante perché rimangono impressi come caratteristica propria del personaggio,
ma sono, al tempo stesso, anche l’evoluzione perché continuamente trasformati e
mutevoli, arricchiti da un trucco spesso eccessivo che li mette in mostra. Come
a sottolinearne l’autenticità. Nonostante tutte le vicissitudini, realmente e
cinematograficamente accadute, Tammy Faye risulta, a conti fatti, il
personaggio deciso e autentico mostrato fin dalla prima scena. Forse l’unico
che non nasconde segreti, se non quello di non essere mai abbastanza apprezzata
e valorizzata.
Al di là, però, di questa
considerazione, il film di Showalter non scava a fondo. Si ferma in superficie,
puntando tutto sull’interpretazione davvero ottima di Jessica Chastain che
veste i panni della protagonista e che, soprattutto grazie a un trucco
incredibile, sembra talvolta irriconoscibile. Molto nella parte, anche se non
in maniera impeccabile. Accompagnata da un Andrew Garfield nel complesso
convincente. Una coppia, quella di Faye e Bakker, che ha e avrebbe molto da
dire, ma il cui potenziale non è stato sfruttato a sufficienza. Manca
l’approfondimento vero e reale dei personaggi. Lo spettatore deve intuire, deve
dedurre e non viene spinto troppo oltre. Deve immaginare un po’ tutto, anche i
personaggi stessi che arrivano quasi a scomparire, come i figli.
Sicuramente un make up
degno di nota e di riconoscimenti, vero elemento degno di rimanere in mente al
termine della visione.
Veronica Ranocchi
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