martedì, novembre 27, 2007
My Blueberry nights
E' evidente che la trasferta americana e' diventata nell'immaginario d'autore un momento imprescindibile della carriera cinematografica. Scoperta di un mondo altro ed affascinante e insieme verifica necessaria all'universalita' della propria visione, resta da verificare se tale spinta nasca da genuina ispirazione e dalla voglia di mettersi in discussione o rappresenti invece un palliativo per nascondere i segni di un disagio piu' profondo. In questo senso, My bluberry Nights, piu' che un invito al movimento rappresenta, con tutti i suoi limiti, l'occasione per riflettere sulla crisi di un regista solitamente a suo agio nella rappresentazione emozionale di mondi lontani (Happy together)e luoghi dell'anima ( In the Mood for love). Certo non si pretendeva l'afflato e la coerenza del modello Wendersiano, autore inarrivabile di un cinema che non puo' prescindere dal viaggio, mentale e geografico, e che da' il meglio di sé quando si confronta e si nutre dell'America come contenitore del nostro immaginario, ma perlomeno era necessario un cambiamento di prospettiva, una presa di coscienza del mutamento in atto. KAR WAI guarda senza vedere, affidando alle immagini il compito di costruire una storia che non c'e'. Descrivere l'amore e la sua mancanza, seguire il gioco degli amanti nel viaggio sublime e periglioso della vita, raccontare gli sguardi ed i silenzi di chi vive ogni gesto come fosse l'ultimo, necessita' di una struttura invisibile ma presente, capace di dare forma all'ineffabile e concretezza a cio' che e' impalpabile, liberando le parole dai limiti imposti dal linguaggio. Invece il regista rimane prigioniero di quello stile che gli ha dato la fama, costruendo immagini perfette ma vuote, riflesso di un mondo autoreferenziale e mortifero. La luce calda ed avvolgente dei neon eternamente accesi, la melodia jazz dell'attrice/cantante dal volto perennemente imbronciato non bastano a giustificare un'operazione di cui si fa fatica a trovare il senso e che per lunghi tratti appare come una gentile concessione di un genio alle prese con manie di onnipotenza.
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